A sei mesi dalla vittoria referendaria contro la privatizzazione dell’acqua in Italia, promosso da una coalizione tanto vasta e socialmente radicata quanto squattrinata, il successo della società civile italiana ha fatto il giro del mondo. Ma è possibile tentare qualcosa di simile in Europa e costruire un’alleanza sociale che, nel continente, sottragga l’acqua alla mercificazione? La risposta adesso è si, perché mentre le multinazionali dell’acqua cercano ancora di accaparrarsi la gestione dell'acqua nella maggior parte del globo, a Napoli, unica città italiana che ha appena ripubblicizzato il servizio idrico, è nata la “Rete Europea per l’acqua bene comune”. Sabato 10 e domenica 11 dicembre, infatti, movimenti, sindacati, organizzazioni ambientaliste e dei consumatori assieme a molti altri soggetti sociali provenienti da 9 paesi dell’Unione si sono dati appuntamento, su invito del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, per fissare e condividere un “manifesto” degli obiettivi e degli strumenti in grado di tracciare e difendere di nuovo proprio quel confine, ormai scolorito, fra merci e beni comuni.
La Napoli, capitale italiana dell’acqua, ha lanciato così una nuova sfida per l'Europa, basata sui principi secondo cui acqua e servizio idrico non possono essere soggetti a logiche di mercato e devono essere ricondotti ad una gestione pubblica che non confonda mai più il terreno dei diritti con il terreno dei profitti. Per Tommaso Fattori, rappresentante del Movimento Acqua Bene Comune a Napoli, il momento è storico, perché il referendum e la nascita della Rete europea per l’acqua bene comune hanno dato due indicazioni importanti per il futuro: “Il primo messaggio è che le privatizzazioni e il dominio dei mercati non sono un destino naturale né un evento trascendentale posto al di là della capacità d’intervento degli umani mortali. L’altro messaggio è che, per poter ricondurre i nostri destini a portata di mano, dobbiamo metterci assieme, unirci, costruire reti sociali ampie ed inclusive”.
Si tratta di una scelta cercata e per molti versi obbligata quella di proseguire la difesa dei beni comuni attraverso la Rete europea dell’acqua e che non potrà che “migliorare gli spazi di confronto e di difesa dell’acqua” ha spiegato Fattori visto che “la Bce e la commissione europea, apertamente ridottesi a portavoce del potere finanziario, sono oggi una temibile minaccia per i beni comuni. [...] Ma non c’è salvezza senza Europa perchè il capitale si muove, ancor più potentemente che in passato, in una dimensione sovranazionale. Se non ci poniamo con efficacia a questa altezza, consci che nessun soggetto sociale, per quanto forte, è di per sè autosufficiente, e consci che la dimensione locale o nazionale non basterà ad arginare l’attacco del grande capitale ai beni comuni, ci troveremo più deboli e presto travolti dall’assalto della finanza globale, con il contorno di leggi nazionali e direttive europee privatizzatici” ha aggiunto Fattori.
Anche per padre Alex Zanotelli, infaticabile attivista della battaglia per l’acqua pubblica, la Rete è lo strumento ideale per resistere “ad una vera e propria guerra lanciata delle multinazionali”. “Oggi - ha messo in guardia Zanotelli - invece di imparare a memoria le sette sorelle del petrolio, imparare a memoria il nome delle multinazionali dell’acqua è molto più importante. Stanno facendo una pressione enorme sulla Commissione europea e sul Parlamento europeo tanto che a Bruxelles ci sono 5 mila persone stipendiate per fare lobbing per le multinazionali dell’acqua sui 700 deputati”. Alcuni risultati sono già visibili ha continuato Zanotelli “la Commissione europea è all’avanguardia tra i Paesi che richiedono la liberalizzazione dei servizi d’acqua; e ciò su pressione dell’European Services Forum di cui fanno parte le grandi imprese private dell’acqua europee, che sono le più potenti imprese mondiali del settore tra cui Suez, Vivendi, RWE-Thames Water, Danone. Ma non sono le uniche”. L’obiettivo è lo stesso che spinge molte di queste multinazionali a fare lobbig anche sull’Organizzazione Mondiale per il Commercio (Wto): “includere l’acqua tra i servizi, ovvero farla diventare una merce, qualcosa che si può comprare e vendere. Una volta fatto questo passaggio, è finita”.
Gli interessi nel “bicchiere” non sono pochi: solo il 3% dell’acqua esistente al mondo è potabile. E di questo misero 3%, ben il 2,7% viene utilizzato dalla grande agricoltura industriale. “Resta fuori uno 0,30% che potrebbe valere profitti milionari assetando ancora di più un pianeta che oggi conta 1 miliardo e 400 milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile e che tra 20 anni saranno 3 miliardi” ha concluso padre Alex. Ecco perché nonostante il referendum l’avvertimento che arriva dalla neonata Rete europea e che “I beni comuni e in particolare l’acqua sono ancora in pericolo. L’esperienza insegna come ad ogni attacco speculativo segua un ciclo di privatizzazioni e di saccheggio del patrimonio pubblico”. La nuova Rete europea ha però scelto un cammino che appare quasi rivoluzionario con i tempi che corrono, ossia quello della democrazia. “Contro il capitalismo finanziario dei beni comuni risponderemo utilizzando per primi l’Iniziativa dei Cittadini Europei (Ice), attivabile con un milione di firme da raccogliere in almeno 7 paesi” hanno fatto sapere da Napoli. L’Ice è il primo timido strumento di partecipazione democratica introdotto finalmente nell’Unione e dalla primavera del 2012 permetterà ai cittadini di spingere la Commissione a legiferare secondo la volontà indicata dal popolo europeo. “Il nostro fine, ambizioso, è stato dar inizio a Napoli ad un percorso politico e culturale che porti dall’acqua e dai beni comuni fino a ridisegnare interi pezzi della fisionomia dell’Unione e delle politiche europee”.
Di fatto dal referendum italiano alle piazze degli indignados la richiesta di attivare forme di democrazia diretta sta ormai attraversando il continente. “Ad una finanza che vorrebbe sciogliere il popolo e governarci direttamente, risponderemo avviando una campagna che recupererà pezzi di quella sovranità che ci è stata sottratta, per farci direttamente legislatori e artefici di un’altra Europa”. E non si tratta solo di una battaglia nel diritto e per i diritti fa sapere la Rete europea dell’acqua, perché una solida base di ricchezza collettiva come può essere l’acqua pubblica, “se governata in modo partecipativo, non solo garantisce a tutti l’accesso ai beni fondamentali, ma può costituire anche il fondamento di un’altra economia, sociale e solidale. Un’economia della condivisione e della cooperazione anziché della competizione”.
“Ma il nostro deve essere un impegno mondiale - ha rilanciato Zanotelli - Dobbiamo prepararci ad andare nel marzo 2012 a Marsiglia dove si terrà il Consiglio Mondiale dell’Acqua che è nelle mani della Banca mondiale e delle multinazionali dell’acqua. Noi dobbiamo forzare l’Onu a convocare il suo Consiglio Mondiale dell’Acqua per proclamare al mondo che l’acqua è un diritto fondamentale umano, è un bene comune che deve essere gestito come patrimonio dell’umanità”. Come fare la nostra parte? Il sito Fontanelle.org ci da alcune semplici indicazioni: dal kit per la promozione dell’acqua dal rubinetto a come venire a conoscenza in pochi istanti delle fontanelle più vicine a noi ed evitare di comprare acqua in bottiglia. Per vigilare sugli esiti del referendum e combattere nel piccolo, ma ogni giorno, chi ci vuole sottrarre i beni comuni e trasformare solo in pigri e inerti consumatori.
Alessandro Graziadei
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