Ad un giorno di distanza sono morti la scorsa settimana due differenti protagonisti del panorama politico internazionale, ben separati dalla “frontiera” comunista. Se la morte del leader nord-coreano Kim Jong-il e l’assunzione del potere da parte del figlio, Kim Jong-un, presentano un’importante opportunità per guardare avanti e migliorare il catastrofico primato del paese in tema di diritti umani, secondo quanto dichiarato da Amnesty International, quella di Václav Havel invita a ripartire dalla sua eredità morale. L’ultimo presidente della Cecoslovacchia e il primo della Repubblica Ceca, era stato una figura chiave della pacifica dissidenza cecoslovacca contro il regime sovietico e aveva gettato le basi per l’ingresso nell’Unione Europea, che poi avvenne nel 2004.
Oltre alle immagini di disperazione diffuse dalla televisione di stato, c’è la realtà dei fatti. “Kim Jong-il, come suo padre prima di lui, ha lasciato il 17 dicembre milioni di coreani intrappolati nella povertà, senza accesso a cibo sufficiente e a cure mediche, e centinaia di migliaia di persone detenute in brutali campi di prigionia”, ha dichiarato Sam Zarifi, direttore del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International. Colpe passate e colpe recenti di un regime che, per Amnesty International, ha epurato negli ultimi mesi centinaia di funzionari considerati una minaccia per la successione di Kim Jong-un, mettendoli a morte o destinandoli ai campi per prigionieri politici.
Non si tratta certo di una scoperta recente. Da anni Amnesty International documenta l’abissale mancanza di rispetto dei diritti umani in Corea del Nord. La libertà di espressione e di associazione è quasi inesistente. Centinaia di migliaia di persone che hanno osato opporsi allo stato sono detenute in campi come la nota struttura di Yodok, dove si trovano famiglie fino a tre generazioni. I detenuti sono costretti a lavorare duro, fino a 12 ore al giorno. Allo stesso tempo, oltre un terzo della popolazione soffre per insufficienza di cibo e il sistema sanitario è in grave declino. “Le informazioni che abbiamo ricevuto nell’ultimo anno - ha, infatti, aggiunto Zarifi - lasciano intendere che Kim Jong-un e i suoi sostenitori cercheranno di consolidare il loro nuovo ruolo intensificando la repressione e stroncando ogni possibilità di dissenso”. Tuttavia per l’ormai cinquantenne associazione per la difesa dei diritti umani nulla è dato per scontato: “Con questa transizione, speriamo che il nuovo governo si allontani dalle politiche orribili e fallimentari del passato [...] e che la popolazione nordcoreana non subisca ulteriori privazioni per via dell’attuale incertezza politica” ha concluso Zefiri.
La via è chiara, anche se forse non altrettanto semplice da intraprendere per un regime familiare che guida la nazione dal 1948 e dovrebbe cominciare: “rilasciando immediatamente e incondizionatamente tutti i prigionieri di coscienza, inclusi i loro familiari, detenuti nei campi per prigionieri politici; agendo immediatamente per porre fine alla pratica lavoro forzato, alle torture e ai maltrattamenti dei prigionieri; permettendo senza ulteriori ritardi e ostacoli alle agenzie umanitarie, come il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, di entrare nel paese per assicurare che il cibo arrivi a chi ne ha bisogno affrontando anche il problema della scarsità di cure mediche; ponendo immediatamente fine alle esecuzioni segrete e pubbliche; garantendo che i diritti alla libertà di espressione e religione, tutelati dalla Costituzione e da altri trattati internazionali in materia di diritti umani, siano rispettati e certificati da osservatori delle Nazioni Unite”.
Così mentre anche gli Stati Uniti si augurano che Pyongyang imbocchi questo “sentiero di pace”, i dubbi su questa possibile e illuminata svolta rimangono, anche perché diverse personalità politiche della Corea del Sud hanno espresso la possibilità che nel Nord si apra una lotta per il potere fra il successore designato Kim Jong-un, responsabile dell’esercito, e i suoi zii-tutori, che controllano il partito, aprendo un periodo di grande instabilità, estremamente pericoloso per un Paese che possiede armi nucleari.
Nelle stesse ore in cui Hu Jintao si recava all’ambasciata della Corea del Nord a Pechino per offrire le sue condoglianze ed esprimere la sua fiducia verso il nuovo leader, il Dalai Lama ricordava invece l’ex presidente ceco Václav Havel scomparso a Praga il 18 dicembre dopo una lunga malattia. “Il Tibet e la Cina intera hanno perso un grande amico, un campione della democrazia e un ispiratore per tutti” ha detto il Dalia Lama. Ex drammaturgo, autore di testi fondamentali per la lotta al comunismo sovietico (da ricordare Il potere dei senza potere del 1978) e di quella Charta 77 manifesto fondamentale per la lotta nonviolenta alla repressione di Mosca, Havel aveva ispirato anche la Charta 08, il manifesto per la democrazia in Cina che ha guidato la protesta internazionale contro la detenzione illegale del Nobel Liu Xiaobo, dissidente e docente cinese, condannato a 11 anni di prigione proprio per aver preparato e diffuso quel documento pro-democrazia.
Ma Havel, primo presidente della Cecoslovacchia libera dal comunismo, artefice, dopo cinque anni di carcere, di quella “Rivoluzione di Velluto” che nel 1989 mise fine al regime totalitario di Praga e poi leader della Repubblica ceca, non si limitò alla teoria dei diritti umani neanche dopo il suo ultimo mandato presidenziale concluso nel 2003 e guidò la protesta internazionale contro la Cina e la detenzione di Liu Xiaobo. Anche in questa occasione usò coraggio e pacatezza e ben prima del conferimento del Nobel al dissidente cinese, scrisse una lettera aperta al regime di Pechino chiedendo il rispetto dei diritti umani in Cina e in Tibet.
Havel fu anche il primo leader politico mondiale a invitare il Dalai Lama nella sua nazione come capo di Stato in visita ed anche per questo il leader del buddismo tibetano, saputo del deterioramento del suo stato di salute, è volato a Praga all’inizio di dicembre e ha passato più di un’ora con quello che ha definito “più di un amico per me, per il Tibet e per la Cina intera”. Per Lech Walesa, politico e attivista che in Polonia svolse un ruolo analogo a quello di Havel, l’ex presidente della Repubblica Ceca “è stato un grande teorico della nostra epoca e la sua voce mancherà enormemente all'Europa soprattutto ora che attraversa un periodo di profonda crisi” ed anche per questo il Dalai Lama volle premiare Havel nel 2004 con il premio Light of the Truth, per il suo contributo alla causa del Tibet e alla democrazia mondiale. Così a 24 ore dal Natale il nostro augurio parte da qui: da una possibile alba nella notte coreana e da questa illuminata eredità morale e democratica che va ben oltre i confini della Repubblica Ceca.
Alessandro Graziadei
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