domenica 19 febbraio 2012

USA: riparte dalla Georgia il programma nucleare di Obama

La lezione di Fukushima è già dimenticata? Parrebbe di si! Almeno negli Stati Uniti dove il 9 febbraio la Nuclear Regulatory Commission (Nrc) con quattro voti favorevoli e uno contrario (.pdf) ha dato il via libera alla costruzione di due nuovi reattori nucleari nella centrale di Vogale, a circa 290 chilometri ad est di Atlanta, in Georgia. Le due nuove unità dovrebbero essere operative nel 2016 e nel 2017 e godranno di un incentivo garantito dall’amministrazione Obama grazie all’aiuto del Department of Energy (Doe) che ha elargito un prestito federale pari a 8.3 miliardi di dollari. I portavoce della costruttrice Atlanta Southern Company hanno riferito che il prestito federale “in combinazione con altre manovre finanziarie, ha permesso al progetto di ottenere finanziamenti più economici e un risparmio di 1miliardo di dollari per i contribuenti”.
Un affare? Di sicuro si tratta di una svolta nel programma nucleare americano visto che negli Stati Uniti non veniva autorizzata la costruzione di una centrale nucleare dal 1979, cioè da quando il 28 marzo di quell’anno ci fu la parziale fusione del nucleo del reattore di Three Mile Island, in Pennsylvania. In seguito all'incidente, la Nrc ha adottato standard per la sicurezza più elevati, che hanno determinato un notevole aumento dei costi per la costruzione degli impianti bloccando di fatto i progetti di decine di nuove centrali. Almeno fino ad oggi. Ora a circa sette anni dalla richiesta formale e ad un anno dal grave incidente nucleare giapponese di Fukushima, l’Atlanta Southern Company, ha progetti e finanziamenti pronti per dare il via ai lavori che nei prossimi 5 anni renderanno operativi i due futuri reattori AP1000 di terza generazione costruiti del gruppo giapponese Toshiba e della sua filiale americana Westinghouse. Insieme dovrebbero costare circa 14 miliardi di dollari ed erogare 2.200 Megawatts “sufficienti - secondo un portavoce della Southern Company - per fornire energia ad un milione di case a costi monetari irrisori, una volta in piena attività”.
Kristine Sviniki, uno dei componenti del comitato che ha approvato la costruzione dei nuovi reattori, ha spiegato (cfr. .pdf) che il progetto di ingrandimento della centrale di Vogtle rappresenta un importante investimento anche in termini occupazionali con “4.000-5.000 nuovi posti di lavoro nel momento di picco di attività del cantiere”. Sviniki ha inoltre aggiunto che “non c’è stata nessuna amnesia individuale o collettiva” di Fukushima, ma “un’analisi obiettiva della realtà americana” che conta 104 reattori nucleari operanti in 64 centrali capaci di fornire alla nazione circa il 20% dell’energia richiesta. Metà di questi impianti hanno più di 30 anni.
Nonostante le rassicurazioni su sicurezza ed efficienza e l’entusiasmo di una parte dell’opinione pubblica affamata di posti di lavoro, sono molte, in questi giorni, le critiche al progetto a cominciare da quella, autorevole, dello stesso presidente della Commissione per il nucleare, Gregory Jaczko, che si è opposto al progetto facendo riferimento proprio al disastro avvenuto nel marzo scorso in Giappone. “Non posso approvare questa autorizzazione, come se l’incidente di Fukushima non fosse mai accaduto”, senza contare “che sono state avanzate perplessità riguardo le pareti di contenimento dei reattori AP1000, non abbastanza resistenti per sopportare un attacco terroristico”. Tuttavia, come ha ribattuto Scott Shaw, portavoce della Westinghouse, le pareti sarebbero state ridisegnate dopo l’11 settembre e sarebbero rimaste in piedi durante varie simulazioni di attacchi. Il portavoce ha anche riferito che “il nuovo sistema di raffreddamento progettato renderebbe i reattori più sicuri rispetto ai vecchi modelli: l’AP1000 usa, infatti, per il raffreddamento la forza di gravità e la condensa, non l’elettricità” la cui mancanza, dopo lo tsunami, è stata la principale responsabile del disastro di Fukushima.
Dati rassicuranti, ma ancora insufficienti per l’Alliance for Nuclear Accountability (Ana), una rete nazionale di comunità sottovento ed a valle dagli impianti nucleari degli Stati Uniti. “Quanti si ricordano Three Mile Island? Noi si, per questo pensiamo che il che il Doe debba contenere la spesa esagerata per questi impianti nucleari che sottrae risorse per i programmi di energia sostenibile e non ne accantona per far fronte ai nuovi flussi di rifiuti nucleari”. “Nel programma inoltre - ha continuato l’Ana - non vi è accenno di altri costi, come quelli in termini di rischio per l’ambiente, di smaltimento delle scorie radioattive o di esaurimento dell’uranio, probabilmente terminato ancora prima della chiusura del ciclo di vita dei due impianti stessi”.
Dello stesso parere anche la Women's Action for New Directions (Wand) che assieme ad altre associazione ricorrerà contro la decisione. “Nella grande sfida legale che sarà presentata entro pochi giorni chiederemo di preparare una nuova dichiarazione d'impatto ambientale e dimostreremo che la Nrc sta violando il diritto federale, rilasciando una licenza senza considerare le lezioni del catastrofico incidente Fukushima e senza riguardo per la sicurezza pubblica e l'ambiente”. “L'industria nucleare ha mostrato ancora una volta un totale disprezzo per il pubblico in generale e specialmente per coloro che vivono all'ombra del Vogtle Plant - hanno spiegato gli attivisti -. Andare avanti con questo progetto senza valutare le lezioni apprese è inconcepibile. Coloro che rifiutano di imparare dalla storia sono destinati a ripeterla”.
Così, nonostante “il 2012 sia l’anno dell’Energia Sostenibile per tutti”, come ha affermato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon durante il suo intervento al World Future Energy Summit 2012 incentrato sulle energie rinnovabili per coprire il fabbisogno energetico mondiale futuro, c’è ancora chi continua a scommettere sulla validità dell’energia nucleare e a lavorare in tal senso, nonostante si tratti di un sistema costoso, pericoloso e come per il petrolio, di un’energia “finita”.
Intanto a Fukushima, soltanto la scorsa settimana, la Tepco, la società che gestisce il disastrato impianto di Fukushima, ha comunicato che da alcuni giorni la temperatura all'interno del reattore 2 ha ripreso a salire. La realtà, insomma, sembra smentire le precedenti rassicurazioni delle autorità nipponiche circa la stabilità e la sicurezza raggiunte dai reattori. Così, giusto per ricordare a tutti noi che 12 mesi non sono bastati a risolvere una crisi che mostrerà solo nei prossimi anni e sui Giapponesi le sue più drammatiche conseguenze.
Alessandro Graziadei

Nessun commento:

Posta un commento