Era il 5 maggio quando l’ultima centrale nell’isola settentrionale dell’Hokkaido in Giappone si è fermata per manutenzione, lasciando silenziosi per la prima volta in mezzo secolo tutti i 50 reattori nipponici. Ma il sogno di un Giappone senza l’energia nucleare e i suoi rischi è durato poco più di due mesi, nonostante i livelli record di radiazioni nel sottosuolo dell'edifico del reattore 1 di Fukushima Daiichi comunicati in questi giorni dalla Tokyo Electric Power Company (Tepco) e nonostante i quasi 200.000 giapponesi che hanno circondato il 29 giugno la residenza del primo ministro Yoshihiko Noda per protestare contro il riavvio delle centrali nuclearisull’isola.
Si è trattato di una manifestazione oceanica per gli standard giapponesi (di circa 500 persone nonostante le foto ne dimostrino ben di più per il blog di NewClear il blog delle energie dove il nucleare non è tabù, sponsorizzato da Chicco Testa), che ha evidenziato la crescente ostilità dell'opinione pubblica a proseguire l'avventura nucleare dopo il disastro di Fukushima Daiichi, anche se con lo spegnimento dei reattori nipponici le tariffe energetiche sono immediatamente salite del 10%. La manifestazione è avvenuta a ridosso dell’annuncio dato dalla Tepco il 27 giugno di livelli di radioattività nell'acqua presente nel sottosuolo della centrale nucleare di Fukushima pari a 10.300 millisieverts all’ora. Una situazione che potrebbe complicare ulteriormente i lavori di smantellamento della centrale nucleare a detta della stessa Tepco secondo la quale “I lavoratori non possono penetrare in questi luoghi e dovremo prepararci allo smantellamento con l'aiuto di robot”.
Dove finiranno poi tutti questi materiali così altamente radioattivi è un altro problema non da poco, al momento irrisolto. “Quel che è certo è che per smantellare e smaltire i reattori 1, 2, 3 e 4 danneggiati dal terremoto/tsunami dell'11 marzo 2011 - ha assicurato l’Ecosservatorio - i lavori saranno enormemente complessi, richiederanno 40 anni e lo sviluppo di nuove tecniche speciali mai sperimentate prima. La Tepco, finita in bancarotta dopo la catastrofe nucleare, è stata nazionalizzata proprio il 27 giugno, dopo un aumento di capitale finanziato dallo Stato”. Quindi è lecito pensare che “saranno i cittadini giapponesi a pagare per il disastro nucleare causato dalla disattenzione e dall'opacità e dall'avidità della lobby nucleare privata del Giappone”.
Nonostante tutte queste criticità che hanno portato in piazza la scorsa settimana una parte della società civile nipponica, sulla paura ha vinto il Pil e con l’economia vicino ad un crollo del 5% il Premier Yoshihiko Noda ha annunciato il riavvio, avvenuto mercoledì 4 luglio, dei reattori 3 e 4 della centrale Ohi che serve prevalentemente la città di Osaka ed è gestito dalla società Kansai Electric Power Co (Kepco). Sulla decisione del Governo, che in questi mesi aveva già dato timidi segni di una più ampia riapertura verso il nucleare, incide l’esito della valutazione di una commissione di 12 scienziati giapponesi incaricata di verificare le misure di sicurezzache in giugno valutava soddisfacenti, “anche nell’ipotesi di un terremoto e tsunami”. Noda ha giustificato il riavvio dei reattori nucleari con l’inefficacia delle limitazioni dei consumi chieste ai cittadini, ma l'aumento delle temperature e la domanda di energia non possono escludere aree a rischio blackout nel Giappone occidentale, sud-occidentale e settentrionale.
E in Europa? Per molte associazioni ambientaliste ci sono tutti gli elementi per affrontare seriamente un’uscita graduale dal nucleare: la forte opposizione dell’opinione pubblica, la coscienza dei rischi remoti ma fatali in caso di incidenti gravi, l’ascesa e l’innovazione tecnologica delle rinnovabili, sempre più competitive ed efficienti, come l’eolico. Eppure il bando del nucleare senza appello da tutte le grandi economie occidentali sembra scongiurato. A seguire l’esempio di Germania, Svizzera e Svezia che hanno deciso un’uscita graduale nel corso del prossimo decennio, ci ha pensato solo il Belgio, mentre a livello centrale l’Unione Europea sembra decisa a rimanere neutrale. L’Ue nei giorni scorsi ha respinto, infatti, una petizione dell’European Citizens Initiative (Eci), che chiedeva la dismissione delle centrali nucleari nei prossimi anni da tutto il Vecchio continente e ha specificato che la decisione nell’ambito del trattato Euratom per la promozione dell’energia nucleare, non prevede di accogliere le richieste dei cittadini indirizzate contro l’atomo.
Contro il respingimento della proposta antinucleare la German Federation for the Protection of Environment and Nature (Bund), l’associazione che aveva promosso la raccolta di firme in tutta Europa, insieme ad altri gruppi ambientalisti di undici Paesi europei, è intenzionata a procedere per vie legali. “Staremo a vedere - ha dichiarato un fiducioso Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo diGreenpeace Italia -, ma per l'energia dell'atomo le cose non vanno bene. Nel Regno Unito il Times riporta, da fonti francesi, stime di costi sempre in crescita per i reattori di ultima generazione EPR promossi dalla francese EDF. […] Analoghi aumenti dei costi si registrano in altri Paesi, dalla Lituania agli USA”.
Ma in Italia? Se diamo per il momento vinta la battaglia antinucleare, dopo i risultati del referendum l’amministratore delegato di Enel Fulvio Conti ha annunciato che adesso si punterà sul carbone e, in effetti, la quota carbone di Enel è aumentata al 41% grazie al pieno regime della centrale di Civitavecchia. “È questo il futuro che vogliamo? Un futuro che provoca danni sanitari equivalenti a una morte prematura al giorno? Abbiamo una domanda da rivolgere al prossimo Governo e, quindi, ai partiti che tra un anno andranno alle elezioni - ha concluso Onufrio -: che senso ha la quota di controllo dello Stato (attraverso il Ministero del Tesoro) del 30% di un’azienda come Enel? Un’azienda che nel perseguire i suoi legittimi interessi di società privata, scarica sulla società costi ambientali e sanitari sintetizzati in un rapporto di Greenpeace?
Gli italiani, secondo tutti i sondaggi, sono largamente a favore di energie rinnovabili ed efficienza energetica. E la strada del futuro è quella, non il rilancio del carbone”.
Gli italiani, secondo tutti i sondaggi, sono largamente a favore di energie rinnovabili ed efficienza energetica. E la strada del futuro è quella, non il rilancio del carbone”.
Alessandro Graziadei
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