domenica 23 dicembre 2012

Chernobyl e le sue giovani vittime a 26 anni dal disastro nucleare


Lo sapevate che milioni di persone continuano a vivere in un’area tra Russia, Bielorussia e Ucraina dov’è caduto il 70% del fall-out radioattivo dell’incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986? Una situazione gravissima che provoca ancora oggi un abbassamento delle difese immunitarie e varie patologie tumorali, soprattutto nei bambini restituendoci l’enorme proporzione di un incidente nucleare che ha contaminato una regione di 155.000 km (grande come mezza Italia), evacuato per sempre 366.000 persone e che interessa a 26 anni dal disastro ancora 5 milioni di persone. Oggi la contaminazione da Cesio risulta la conseguenza più rilevante con oltre 40 curie di cesio 137 per km quadrato, una quantità enorme considerando che la presenza di 1 curie/km quadrato è già considerata come fortemente allarmante dalla Comunità europea, seguita da quella da Stronzio, Plutonio e Americio 241 che, presenti nel terreno, continueranno a contaminare il sottosuolo di queste terre per migliaia di anni.
L’occasione per ri-parlare delle conseguenze di Cernobyl la offre una delegazione di Legambiente, che a distanza di anni continua a intervenire sul posto tramite aiuti sanitari e progetti di cooperazione (come quello che ha permesso di realizzare e ampliare il reparto pediatrico di terapia intensiva all’ospedale di Gomel) e che da pochi giorni è tornata da un viaggio nel quale ha siglato un accordo per portare 100 bambini dalle zone fortemente radioattive al Centro Speranza di Vileijka. Si tratta di “Una struttura ecoefficiente in un’area non contaminata, dove oltre a giochi e laboratori creativi, i bambini mangiano cibo non radioattivo - ha spiegato Angelo Gentili, responsabile nazionale di Legambiente solidarietà -. Inoltre i piccoli ospiti vengono monitorati dal punto di vista medico per evidenziare eventuali patologie per poterli poi seguire anche durante l'anno. Una speranza concreta per le vittime innocenti della catastrofe nucleare di 26 anni fa”.
“La situazione che abbiamo visto con i nostri occhi e che ci ha convinto a portare avanti ilprogetto Rugiada per i bambini dei villaggi della Bielorussia è disperata e desolante - ha continuato Gentilini -. La sensazione più chiara che si percepisce è il senso di abbandono unito all'impotenza, l’amara evidenza di una vita senza futuro per sé e per i propri figli”. Nella sola Bielorussia vivono in villaggi ancora contaminati 560.000 bambini, di cui 38.000 da 0 a 5 anni esposti al cocktail esplosivo dato dalla somma di un’elevata contaminazione, alimentazione povera e radioattiva oltre a condizioni igieniche inumane che provocano 6.000 casi di tumore tiroideo all’anno, un aumento vertiginoso degli altri tipi di tumori, delle leucemie ed un forte e generalizzato calo demografico. Del resto ha riferito la delegazione di Legambiente “di Chernobyl non si parla più e la popolazione è abbandonata a se stessa, con il Governo Bielorusso incapace di sostenere i servizi sociali e sanitari perché sempre più strangolato dalla crisi economica”.
In questa occasione la delegazione del Cigno verde è entrata grazie ad un permesso nella “zona morta” nel raggio di 30 km dalla centrale dove sarebbe proibito vivere. “Vi abbiamo trovato 250 persone, tra cui famiglie e bambini che vivono a Gden un piccolo villaggio abbandonato, senza lampioni, senza ambulatorio sanitario, senza scuola, in baracche freddissime a 12° sottozero dove gli abitanti bruciano ancora il legno contaminato per scaldarsi”. “Ho stampati negli occhi - ha concluso Gentili - i bambini e le bambine che abbiamo incontrato, vittime innocenti del nucleare: per loro il rischio di contrarre patologie tumorali è infatti altissimo! Per chi è convinto, come noi, che ogni microdose di radioattività è un'overdose, questo scenario è raccapricciante e ingiusto al tempo stesso”.
D'altra parte dopo quasi un ventennio in cui si è cercato di correre ai ripari di fronte ad una problematica enorme e gravissima, con altissimi rischi sanitari, oggi si tende a dimenticare e minimizzare la gravità della situazione. “Le zone contaminate - ha sottolineato Legambiente - sono nuovamente coltivate e riabitate sia da locali che da profughi ceceni e di altri Paesi dell'ex unione sovietica, i controlli sulla radioattività degli alimenti e quelli sanitari sulle persone fortemente diminuiti o inesistenti” come ha dimostrato la visita di Legambiente al più grande kolchotz bielorusso che produce carne e latte, in un'area a soli venti chilometri da Chernobyl in provincia di Braghin nel sud della Bielorussia.
La situazione è simile in Ucraina. Per l’associazione Soleterre, che dal 2004 ha avviato un programma nazionale di prevenzione diagnostica per i bambini, in collaborazione con la fondazione Zaporuka e il Ministero della Sanità ucraino, ogni anno si riscontrano tra i 1.000 e i 1.200 nuovi casi di tumori infantili. “In aggiunta a questo dato, circa il 30% dei bambini malati incorrono in casi di recidiva e devono ricorrere, per una seconda volta, a un trattamento farmacologico o ad un intervento chirurgico. Circa 1.800 bambini ogni anno richiedono l’utilizzo di sofisticati (e costosi) metodi di diagnosi come analisi di laboratorio, analisi radiologiche, morfologiche e anche moderni metodi di cura: polichemioterapie, trapianto di midollo, radioterapia e terapia intensiva”.
Oltre agli effetti diretti delle radiazioni, le conseguenze dell’incidente di Chernobyl hanno portato alla distruzione delle vite di coloro che furono deportati dalle zone maggiormente colpite dalla nube radioattiva. “Molti ucraini hanno avuto notevoli difficoltà a riadattarsi alle nuove circostanze e continuano a soffrire di alti livelli di stress e disagio psichico, aggravati dall’alto tasso di disoccupazione che affligge il Paese e dalla sensazione di aver perso il controllo sulle proprie vite” ha spiegato Soleterre.
Ora nonostante la gravissima situazione determinata dal disastro nucleare del 1986 - ha affermato Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente - sono in costruzione due nuove centrali nucleari nella zona: una in Bielorussia e una in Lituania. Una scelta assurda che deve essere fermata. Ci appelliamo alla Commissione europea e alla Comunità internazionale affinché s'intervenga in modo risolutivo ed efficace per fermare questa scelta inconcepibile per un territorio già pesantemente contaminato”.

 Sarebbe senza dubbio un segnale importante per non dimenticare queste popolazioni, ormai sempre più sole davanti ad un passato che dopo 26 anni non passa e non passerà.
Alessandro Graziadei

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