domenica 3 febbraio 2013

Canada: i nativi “non restano a guardare”, per il bene dei canadesi!


Dopo le proteste dello scorso dicembre in Canada, lunedì 28 gennaio in tutto il Mondo si sono mobilitate migliaia di persone sotto lo slogan del movimento “Idle No More (Non Resteremo a Guardare) nato nel novembre 2012 da quattro donne della provincia di Saskatchewan per protestare contro gli effetti delle politiche canadesi. Con il cosiddetto Bill C-45, il Governo Harper, ha di fatto tolto ai Nativi Canadesi la propria autonomia sancita dai trattati dell’Indian Act. Con questa legge il Canada indebolisce seriamente molte norme a tutela delle risorse naturali dei territori indigeni, con “un impatto pericoloso per l’ambiente e la società di tutti i nativi” e non solo.
Di fatto il Bill C-45, nota anche come “Legge per la crescita e l’occupazione 2012”, non solo va a modificare l’Indian Act senza consultare Inuit, Métis e le First Nations (gli oltre 600 popoli nativi del Canada), ma introduce emendamenti a più di sessanta leggi in vigore da decenni. Per Nativiamericani.it “Se oggi, tutti i fiumi del Canada sono protetti dall’obbligo di un precedente studio ambientale prima di un loro possibile sfruttamento, con la nuova legge si estende il futuro obbligo di navigazione al 99% di laghi e fiumi del Paese mettendo in seria difficoltà i popoli che vivono di caccia e pesca”, preoccupati che le loro risorse alimentari siano ben presto irrimediabilmente sacrificati nel nome di uno sviluppo tutt’altro che sostenibile. Analogamente un altro emendamento “mira a semplificare il processo di vendita o locazione delle terre indiane al settore privato, legalizzando un saccheggio in nome dell’adattamento al ritmo della vita moderna”.
In questo modo ha spiegato l’associazione ambientalista Salva Foreste “le compagnie petrolifere potranno facilmente sfruttare le sabbie bituminose situate nei territori delle First Nations” o come sta succedendo a nord di Kenora, in Ontario, le compagnie del legno, dall'industria mineraria e dalle dighe potranno espropriare con facilità 2.500 miglia quadrate di foreste, laghi e fiumi. “Per migliaia di anni gli indiani di Grassy Narrows hanno basato la loro vita sulle risorse naturali, preservandole integralmente, ma ora i tradizionali proprietari della foresta vengono cacciati via dai loro territori, i loro fiumi sono avvelenati dal mercurio, la loro forma di vita sradicata”. I Narrows aderendo in questi giorni a “Idle No More” hanno proseguito la loro decennale protesta bloccando pacificamente il sito forestale di Lake Road. “Quando la foresta viene distrutta la nostra gente soffre. Ci appelliamo alla popolazione dell’Ontario affinché si unisca a noi nella protezione della foresta - ha spiegato Judy Blockader Da Silva portavoce dei Narrows - tutti hanno bisogno dalla foresta per avere aria pulita, acqua potabile e un clima stabile”.
Ma in un articolo assai citato, The natives are restless. Wonder why? (I nativi non ci stanno. Chissà perché?) Chelsea Vowel, blogger del popolo Métis, ha indicato come il movimento vada oltre la contestazione del Bill C-45. “Oggi, in varie città e comunità del Paese, le popolazioni indigene si stanno radunando per far sentire la loro voce contro una serie di norme portate avanti in tutta fretta. Norme che minacciano di avere gravi implicazioni per i diritti dei nativi. Ma i problemi da affrontare non sono solo questi. Alla radice di tutto c’è il perdurante, malsano rapporto colonialista che il Governo canadese intrattiene con le popolazioni indigene, che si enuclea in tantissime problematiche, dall’ambiente alla sanità, alle carceri, al divario salariale, ai suicidi, all’istruzione, alla drammatica realtà della violenza sulle donne, e così via”.
Così, dopo che il 4 dicembre un gruppo di capi dell’Assemblea delle First Nations (la principale organizzazione indigena del Canada) sono stati bloccati davanti agli edifici del Parlamento, dove volevano recarsi per manifestare ai deputati la propria contrarietà al progetto di legge, la protesta non si è più fermata. Vista la scarsa attenzione dei media mainstream, Idle No More ha sfruttato i social media per informare sul vasto calendario di mobilitazioni, tanto che l'hashtag idlenomore in queste settimane è trending nell'area canadese di Twitter e la pagina Facebook del movimento è prossima agli 88.000 fan. Alcuni esagerando hanno addirittura battezzato il movimento “Inverno Nativo” parafrasando l’onda rivoluzionaria della “Primavera Araba” che ha scosso il Medio Oriente dal 2011. Tuttavia è indubbio che in poche settimane il movimento Idle no more ha raggiunto le dimensioni di una protesta di massa con raduni che hanno interessato Toronto, Ottawa, Edmonton, Winnipeg, Calgary e tutte le città principali del Canada.
Con il moltiplicarsi di manifestazioni, il blocco di strade, ponti, linee ferroviarie e lo sciopero della fame di Theresa Spence, capo della First Nation di Attawapiskat, nell’Ontario settentrionale, che ha lasciato il suo letto d’ospedale solo giovedì scorso, la situazione ha registrato una svolta. L’iniziativa della Spence accanto alle mobilitazioni della società civile, infatti, hanno portato il Governo canadese a sottoscrivere una dichiarazione che impegna il primo ministro Stephen Harper “a risolvere nei prossimi cinque anni i problemi di alloggio ed istruzione delle First Nations, a riunire assieme i capi indigeni, il primo ministro del Canada ed il rappresentante della regina, per concordare la totale applicazione dei diritti degli aborigeni”. “La popolazione indigena è vissuta fino ad oggi ben al di sotto della soglia di povertà in un paese che è considerato uno dei più ricchi al mondo. Non siamo più Idle (pigri) e le priorità sono state ben stabilite durante queste settimane. Non torneremo indietro, le nostre voci devono essere ascoltate e ora chiedo l’impegno di tutti per portare avanti la nostra agenda” ha concluso la Spence.
Se come ha raccontato la scrittrice nativa Lisa Charleyboysu Survival International gli obiettivi della Idle No More sono stati fin da dicembre “ricostruire la sovranità indigena e proteggere l’ambiente perché tutti i canadesi possano goderne per generazioni”, ora occorre passare dalle parole ai fatti. Per Aaron Paquette, anche lui di origine Métis, l’attuale legislazione neoliberale interessa, infatti, tutti i canadesi, non solo i nativi: “Questo Governo sta tentando di svendere sistematicamente le nostre risorse e di mettere ancora più risorse a disposizione del mercato. Tutto questo va oltre le proteste infuriate dei nativi, qui si tratta di prendere consapevolezza del mondo in cui si vive”. Un tema globale, che ci riguarda tutti, ma per il momento in Canada sono soprattutto i nativi a tentare di salvarci dalla hybris dell’uomo bianco.
Alessandro Graziadei

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