lunedì 20 gennaio 2014

Caruso

Ho studiato a Bologna, erano gli anni ’90 dello scorso secolo. Ho imparato ad amare quella città anche andando di tanto in tanto allo stadio. Prima da curioso, poi da modesto tifoso. Mi aveva conquistato quello stadio piccolo, dove vecchi partigiani e nuovi studenti condividevano la curva. Mi aveva conquistato l’allegria di arrivare allo stadio Renato Dall’Ara a piedi, camminando dietro Lucio Dalla. Mi aveva conquistato lo spettacolo di uno stadio pieno di scolaresche urlanti per interi 90 minuti durante una modesta partita di coppa Uefa, che per via dell’orario infrasettimanale rischiava di essere quasi vuoto, se il comune e la società non avessero proposto alle scuole elementari di occupare gratuitamente le gradinate. Mi aveva conquistato Roberto Baggio che per una stagione aveva saputo tenerci in piedi per tutti i 90 minuti, nuovi studenti e vecchi partigiani, senza distinzione. Mi ricordo di non essermi mai vergognato. Ricordo di essermi divertito. 

Ieri allo stadio non c’ero, sono tornato a Trento da anni, ma mi immagino in curva prima dell’inizio della partita con il Napoli tra ignoranti striscioni sulla squadra e la città di Napoli e mentre altrettanto ignoranti fischi di una parte della curva coprivano le note di Caruso che con la voce di Dalla risuonavano nell’aria. Lucio Dalla scrisse nel 1986 quella canzone quando, in seguito ad un guasto alla propria imbarcazione, si ritrovò a soggiornare in un albergo a Sorrento, proprio nella stessa stanza che anni prima aveva ospitato il tenore Enrico Caruso. Qui i proprietari dell'albergo gli raccontarono degli ultimi giorni della vita del tenore e della sua passione per una giovane a cui dava lezioni di canto. Da quei racconti Lucio Dalla ebbe l'ispirazione per scrivere il brano. Un omaggio a Napoli, ieri mortificato. Ieri allo stadio non c’ero ma ho pensato ad un racconto di Paolo Rumiz ambientato durante l’assedio di Sarajevo. La protagonista, che faceva scuola ai ragazzi della città nonostante la guerra, diceva ai suoi scolari: “Guai se credete che qui c’entrino serbi e mussulmani. Chi ci bombarda sono i primitivi, quelli che ignorano il gusto del vivere e non sanno il sapore celestiale del caffè con lo zucchero in cristalli”. Guai se credete che qui c’entrino bolognesi e napoletani, chi fischia sono i primitivi, quelli che ignorano il gusto del gioco del calcio e non sanno riconoscere il suono celestiale di un omaggio a Napoli fatto da una cantante di Bologna.

Alessandro Graziadei

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