Lo scorso novembre aveva privato la città di Barawe della televisione e adesso ci riprova alzando il tiro. Nel suo comunicato, il gruppo terroristico islamico somalo Al-Shabaab, legato ad Al-Qaeda, ha di fatto fissato per oggi, 26 gennaio 2014, il termine ultimo per “il divieto assoluto nell’uso di internet in Somalia” attraverso telefoni cellulari e cavi in fibra ottica, dando 15 giorni di tempo (dall’11 gennaio scorso) alle società di telecomunicazioni per rispettare l’ordine. Allo scadere dell’ultimatum tutte le ditte che non hanno rispettato le direttive saranno considerate nemici dell’Islam e suscettibili di punizione capitali per non aver reso muto e sordo quell’1,38% dei cittadini che usa la rete, poco più di 126.000 somali. “Qualsiasi azienda o individuo che ignorerà il divieto - si legge, infatti, nel loro comunicato diffuso paradossalmente via Facebook e dalla radio locale Al-Andalus sotto il loro controllo - sarà considerato un traditore al servizio del nemico”, ha chiarito la nota, diretta ad una popolazione dalla bassa connettività, ma in crescita dopo l’introduzione nel 2013 della fibra ottica. Di fatto dal 2013 numerose ditte di telecomunicazioni internazionali stanno penetrando l’allettante mercato somalo attuando ingenti investimenti sul servizio di copertura internet per cellulari e I-Pad nelle principali città, a partire dalla capitale Mogadiscio.
La strategia di Al- Shabaab, che ha sempre fatto un intenso e prolifico uso di internet, non è nuova. All’apogeo del suo potere tra il 2008 e il 2009 per controllare la popolazione e censurare le informazioni aveva proibito i cinema, la televisione, la radio, la musica e tutti i libri, escluso il Corano e altre opere religiose islamiche, ma ora dopo le sconfitte militari subite negli ultimi due anni da parte dell’esercito somalo, sostenuto dal contingente militare dell’Unione Africana AMISOM sotto guida dell’Uganda, sembra aver dato una maggiore enfasi alla sua battaglia contro la modernità. La milizia è, infatti, sulla lista dei “Predatori della libertà di informazione” di Reporters Sans Frontières e ha contribuito a collocare nel 2013 la Somalia, in fatto di libertà di stampa, al 170° posto tra 179 paesi. L’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti all'informazione si è detta indignata, ma non certo stupita per l’annuncio dei miliziani islamisti: “Impedendo al pubblico di utilizzare Internet nelle aree da essa controllate, Al-Shabaab sta lanciando un’offensiva senza precedenti contro la libertà di informazione”, hanno spiegato Reporters Sans Frontières. “Gli obiettivi di questa milizia islamista sono chiari. Si vuole eliminare internet come piattaforma d’informazione e prevenire tutte le comunicazioni. Escludere alcune aree dal resto del paese e del mondo e ridurre le persone al silenzio è intollerabile, ed è anche molto preoccupante che Al -Shabaab consideri internet mobile come strumento per violare la privacy, quando l’accesso è di fatto un diritto fondamentale in molti paesi”.
Pur essendo in forti difficoltà dal punto di vista militare, la minaccia è da prendere molto sul serio visto che Al-Shabaab controlla ancora molte aree nel cento e nel sud della Somalia. Inoltre la sua capacità di effettuare attacchi terroristici nelle principali città, compresa la capitale, rimante tutt’ora intatta. I più esposti sono i giornalisti. Nel solo 2013 sono stati uccisi Mohamed Mohamud, 26 anni, dell’Universale TV, assassinato il 26 ottobre scorso a Mogadiscio dopo aver ricevuto minacce da miliziani di Al Shabaab e Liban Abdullahi Farah Kalsan, corrispondente di Kalsan TV, ucciso nel luglio scorso, nel Puntland, nord della Somalia. I giornalisti locali hanno il sospetto che Liban fosse stato preso di mira dal gruppo terroristico per i suoi servizi sulle elezioni comunali, originariamente previste per la metà di luglio del 2013, ma poi rinviate proprio per problemi di sicurezza. La stessa tragica fine è toccata a Ahmed Mohamed Ali, un altro giornalista di Puntland ed ex collega di Liban, che aveva ricevuto telefonate minatorie a fine luglio, dopo aver indagato sulla morte di Liban. Chiude la triste lista Mohamed Ibrahim Raage, di Radio Mogadiscio e Somali National Television, assassinato il 21 aprile scorso. Dopo un periodo in esilio, Mohamed, 34 anni, era da poco tornato in Somalia a lavorare per alcune emittenti statali. Aveva ricoperto incarichi di governo e parlamentari e stando ad alcune dichiarazioni raccolte fra i giornalisti locali potrebbe essere stato ucciso da militanti di Al-Shabaab proprio a causa della sua collaborazione con i media governativi.
Per il momento la minaccia contro internet di Al-Shabaab ha rafforzato la volontà del AMISOM, in collaborazione con l’esercito regolare somalo, di lanciare nuove offensive militari sui territori ancora controllati dal gruppo terroristico, con l’aiuto degli eserciti Etiope e Keniota che operano all’esterno del contingente dell’Unione Africana, pur mantenendo uno stretto coordinamento nelle operazioni militari. Ma un aspetto importante da evidenziare è che per molte realtà della società civile africana “l’ultimatum di Al-Shabaab ha aperto anche un acceso dibattito sull’efficacia delle operazioni di controllo dei gestori del famoso social network Facebook”. Apparentemente Facebook vieta pagine all’interno del suo network che contengano istigazioni all’odio razziale, ideologie estreme o terroristiche, eppure vi sono decine e decine di pagine Facebook che non rispettano questi standard. Un esempio tra i tanti? A quasi 20’anni dal genocidio in Rwanda il giornale genocidario ruandese Kinyamateka fondato nel 1957, che giocò un ruolo fondamentale nella diffusione dell’odio etnico nel periodo pre-genocidio del 1994 è recentemente ricomparso proprio su Facebook. Pur avendo al momento poco più di 200 simpatizzanti il Kinyamateka versione elettronica diffonde messaggi di odio etnico e incitamenti a rovesciare l’attuale Governo. Tutti i messaggi sono rigorosamente scritti nella lingua nazionale: il Kenyarwanda riuscendo, come altre pagine, a sfruttare il gap linguistico delle lingue nazionali poco conosciute, sfuggendo così al monitoraggio degli amministratori del social network. Secondo alcuni esperti africani l’utilizzo di lingue sconosciute non giustifica però gli amministratori di Facebook che, a loro giudizio, sono colpevoli di negligenza. Un accurato monitoraggio eviterebbe il rischio che anche i Governi (oltre agli estremisti), dinnanzi all’incompetenza di Facebook, decidano di attivarsi direttamente oscurando pagine a loro scelta, aprendo così le porte al rischio di una censura politica della rete ben più ampia di quella minacciata oggi da Al-Shabaab.
Alessandro Graziadei
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