In Europa in materia di ogm si oscilla tra un sì alla coltivazione del mais 1507, un no alla sua coltivazione e la proposta di lasciare in materia di ogm la libertà di scelta ai singoli stati. Una situazione ingarbugliata che è iniziata con la richiesta di immissione in commercio del mais ogm 1507, ai sensi della direttiva 2001/18/CE, da parte della americana Dupont Pioneer. Si tratta, a detta della multinazionale, di una nuova varietà di granturco geneticamente modificato al fine di resistere all’attacco di numerosi parassiti, ed in particolare della piralide, che è da sempre una delle principali minacce per le colture di mais e che l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), dopo essere stata più volte consultata sul nuovo prodotto, aveva autorizzato alla commercializzazione già nell’ottobre del 2012.
Nonostante il parere positivo dell’Efsa il Parlamento europeo, lo scorso 16 gennaio, ha richiesto alla Commissione europea di ritirare la propria proposta di autorizzazione del mais 1507 e la parola era passata a livello politico al Consiglio degli affari generali dell’Unione Europea (l’assemblea dei ministri degli Stati membri e dei Commissari europei competenti per le materie interessate) che avrebbe dovuto decidere circa l’ammissibilità o meno della nuova varietà. Avrebbe appunto, perché l’11 febbraio nonostante per la prima volta ben 19 paesi, inclusa l’Italia (oltre a Francia, Ungheria, Grecia, Romania, Polonia, Olanda, Austria, Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Irlanda, Lituania, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Slovacchia e Slovenia), abbiano votato contro l’autorizzazione alla coltivazione del mais geneticamente modificato 1507, purtroppo non è stato possibile raggiungere la maggioranza qualificata richiesta. La procedura prevedeva una maggioranza di 20 Stati affinché tale decisione potesse legittimamente essere assunta e il voto favorevole di Spagna, Gran Bretagna, Finlandia, Estonia e Svezia e le 4 astensioni di Germania, Portogallo, Repubblica Ceca e Belgio hanno bloccato il no al mais ogm lasciando così la responsabilità della decisione nuovamente (e definitivamente) alla Commissione Europea.
In seguito alla votazione del Consiglio Europeo si sono levate non poche critiche da parte di molte associazioni ambientaliste anche italiane come Greenpeace, Slow Food e Legambiente proprio per il fatto che la mancata decisione potrebbe portare di fatto ad una scelta obbligata della Commissione nel senso dell’autorizzazione al commercio. Ma Legambiente di fronte al no forte e chiaro della maggioranza degli Stati membri dell’Unione Europea a febbraio e del Parlamento europeo a gennaio non ci sta e ha chiesto alla Commissione di ritirare la sua proposta di autorizzazione alla coltivazione del mais transgenico 1507. “Dopo il voto del Consiglio - ha dichiarato Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente - diventa prioritario includere tra le priorità del prossimo semestre italiano di presidenza dell’Unione europea l’approvazione del regolamento di modifica della direttiva 2001/18, in modo da consentire agli stati membri il diritto di vietare sul proprio territorio la coltivazione di ogm anche per ragioni socio-economiche. Un diritto imprescindibile per garantire la sicurezza e la qualità dell’agricoltura italiana”. Per il momento però, nonostante l’Italia, unitamente ad altri 11 Paesi, abbia invitato il commissario alla salute e alla sicurezza alimentare dell’Unione, il maltese Tonio Borg, a ritirare la proposta, affermando che “la Commissione non può ignorare le preoccupazioni legali, politiche e scientifiche del Parlamento Ue e della maggioranza degli Stati membri”, è stato lo stesso commissario Borg ad annunciare l’intenzione quasi obbligata della Commissione di autorizzare la coltivazione, poiché in assenza di una decisione politica, la decisione tecnica dovrà necessariamente basarsi sui pareri favorevoli già espressi dall’Efsa.
Per molte associazioni il giudizio dell’Efsa, però, non sembra essere un criterio sufficiente a garantire la sicurezza pubblica in quanto il voto contrario all’autorizzazione della maggioranza del Consiglio degli affari generali “trova fondamento anche nelle forti lacune della valutazione dei rischi effettuata dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare non solo su lepidotteri e specie acquatiche, ma soprattutto per quanto riguarda la tolleranza del mais 1507 al glufosinato ammonio, caratteristica che porterà sicuramente ad un maggiore impiego di questo pericoloso erbicida” ha spiegato Legambiente. Il glufosinato, infatti, è classificato come tossico per la riproduzione e rientra quindi tra i criteri di esclusione previsti dal regolamento comunitario 1107/2009, criteri, però, che nel caso di sostanze già approvate e sul mercato, si applicano al momento del rinnovo dell’autorizzazione, che per il glufosinato è previsto solo nel 2017.
In attesa della quasi scontata approvazione della Commissione una nuova possibilità è emersa però la scorsa settimana durante il Consiglio europeo sull’ambiente quando i 28 paesi dell’Unione Europea hanno aperto alla proposta legislativa che dà ai singoli stati membri la facoltà di autorizzare o meno la coltivazione di ogm sul loro territorio. Solo un paese è rimasto fermamente contrario, il Belgio, e alcuni stati hanno assunto posizioni più sfumate, in particolare Portogallo, Bulgaria, Polonia e Francia. L’Italia sostiene la proposta presentata dalla presidenza greca dell'Ue sulla coltivazione degli ogm che lascia, appunto, ai singoli stati membri la facoltà di decidere. Per molti che si battono contro le coltivazioni ogm il fatto di avere portato il dibattito sulla decisione di lasciare o meno libertà agli Stati di decidere in materia significa che si è passati allo sdoganamento irreversibile degli ogm stessi, li si è accettati, li si dà per scontati e non scioglie un ulteriore grande problema: come evitare le contaminazioni se un Paese deciderà di permettere le coltivazioni ogm e quello confinante no? E inoltre: come garantire il consumatore se si è sempre più restii a sottolineare nell’etichetta la provenienza ogm negli ingredienti?
Ma forse esiste una mediazione al dilemma ogm sì, no, forse. La ha ben esplicitata un convegno in forma di processo, con tanto di pubblico ministero, avvocato della difesa, presidente del tribunale e cancelliere, organizzato dal Circolo Tombon a Milano sabato 22 febbraio, per decidere se rifiutare o accogliere l’accusa di strage di biodiversità a carico degli ogm. Davanti ad una giuria composta da un gruppo di 16 ragazzi, il ricco e vivace dibattimento fatto da esperti in materia si è chiuso con un colpo di scena: l’improvvisato avvocato della difesa ha sostanzialmente patteggiato, chiedendo a fronte della richiesta di condanna all’ergastolo presentata dal pubblico ministero, una formula dubitativa che è stata quella maggiormente votata anche dalla giuria dei ragazzi. La sentenza ha così previsto “l’applicazione di misure di sicurezza, con obbligo di dimorare presso gli istituti di ricerca che dipendono dal ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, sino all’esclusione di qualsiasi rischio per la biodiversità e la salute umana derivante dal consumo di tali prodotti e alla dichiarazione di cessazione della loro pericolosità sociale”. Una soluzione che coincide esattamente con ciò che da sempre chiedono tutte le associazioni e le persone che si dichiarano contrarie agli ogm e cioè l’applicazione di rigorose misure di precauzione di pari passo con l’implementazione del ruolo centrale della ricerca indipendente. Che sia una mediazione illuminante anche per la Commissione europea?
Alessandro Graziadei
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