Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) sono da diversi anni salite alla ribalta nella cooperazione e molti operatori internazionali, al pari delle stesse Nazioni Unite, ripongono proprio su tali strumenti le loro speranze di raggiungere uno sviluppo umano più rapido, più pervasivo e più efficace tra i popoli del sud del mondo. Lo slogan che è stato spesso ripetuto da molti di questi soggetti solidali racconta che i paesi in via di sviluppo, grazie alle nuove tecnologie, potranno finalmente spiccare il cosiddetto “leapfrog” (salto della rana) innescando un circolo virtuoso. Ma la tecnologia può veramente aiutarci a cambiare il mondo? “Twitter e Facebook hanno trasformato il nostro modo di vivere e relazionarci? Internet ha il potere di democratizzare l’accesso all’informazione? L’educazione dei bambini africani sarà migliore grazie al cosiddetto m-learning (apprendimento tramite dispositivi mobili)? Sono tante le speranze riposte nella tecnologia, spesso considerata e presentata con toni entusiastici (e un po’ frettolosi) come la panacea per tutti i mali”. La realtà, come spesso accade, è meno brillante degli slogan che la raccontano, ha spiegato in un interessante approfondimento Serena Carta che per Volontari per lo Sviluppo (VpS) studia le ICT nella cooperazione.
Un’analisi obiettiva, infatti, non può non chiedersi il motivo di tanta attenzione nei confronti delle nuove tecnologie e in particolare, sarebbe interessante capire perché, dopo aver mancato la gran parte degli obiettivi di sviluppo fissati nei vertici internazionali relativi alla sanità, l’alimentazione e l’istruzione oggi il mondo della cooperazione internazionale appaia ricompattato attorno a questa nuova frontiera: le Information and communication technology, questa volta for development, (ICT4D). La “retorica del nuovo” non sempre aiuta a coniugare tecnologie e sviluppo, ma è un primo e fondamentale passo aver ben chiaro che le ICT4D sono solo un insieme di infrastrutture e strumenti utili nel supportare e amplificare, ma non certo a sostituire, le intenzioni e le capacità delle persone. Capito questo allora “Telemedicina, applicazioni per l’agricoltura, droni per le emergenze, big data… ma anche social business e sharing economy” possono veramente ridisegnare le relazioni tra paesi, dove “il Sud del mondo si scopre, in molti casi, più avanti di noi nell’uso creativo della tecnologia e dei nuovi sistemi di economia sociale. In particolare quella che passa dai cellulari, come succede ad esempio in Africa, secondo mercato mondiale di telefonia mobile (subito dopo l’Asia) e primo per tasso di crescita. Così i vecchi schemi dell’aiuto allo sviluppo appaiono sempre più superati, mentre diventa possibile coinvolgere le popolazioni rurali attraverso semplici sms, attuare scambi economici attraverso i social network o mappare in tempo reale situazioni di crisi con software gratuiti e open source” ha spiegato la Carta.
Qualche esempio? Uno di quelli di maggior successo e anche tra i più datati (1997) è il Grameen Village Phone, in Bangladesh, un paese essenzialmente rurale dove la Grameen Phone in collaborazione con la nota agenzia di microcredito Grameen Bank ha introdotto un nuovo modello di telefonia rurale. Il cuore del metodo sta nell’accesso condiviso ad un telefono cellulare, uno per ogni villaggio, gestito solitamente da una donna alla quale la banca presta il denaro necessario per comprare il telefono, che viene poi utilizzato a pagamento dai suoi paesani. Il servizio telefonico, oltre a mantenere i legami sociali e familiari con chi è dovuto emigrare, permette di consultare i propri contatti nelle città e ottenere informazioni utili sui prezzi agricoli di mercato rompendo il monopolio dell’informazione che appartiene a mediatori e riducendo le possibilità di sfruttamento. Una telefonata in questo caso non allunga la vita (come proponeva una vecchia pubblicità), ma evita il costo di un viaggio in città e permette di ottenere prezzi più equi per i raccolti, oltre a ricordare che la comunicazione e l’informazione sono un diritto universale troppo spesso dimenticato, visto che di recente, 195 associazioni della società civile, hanno chiesto all’Onu di mettere al centro del dibattito sugli Obiettivi del millennio post 2015 l’accesso a un’informazione libera e indipendente.
L’impressione insomma è che le ICT4D, se usate in maniera sobria e adeguata possano davvero fare la differenza. Proprio per questo la presentazione da parte di Volontari per lo Sviluppo lo scorso febbraio al Social Media Week di Milano della campagna #cooperazionefutura, che chiede di immaginare la cooperazione internazionale di domani partendo dalla piattaforma di Ong 2.0, ci sembra particolarmente interessante per contestualizzare la tecnologia in precise metodologie di progettazione e di azione sociale senza per questo idealizzarla. Ong 2.0, nato in modo spontaneo tre anni fa dall’équipe di Volontari per lo Sviluppo grazie a Focsiv, Cisv e altre 12 ong, si è sviluppato moltissimo nell’ultimo anno raccogliendo interesse e consensi e ottenendo a fine 2013 il premio nazionale Sodalitas Social Innovation. “Dal 2012, attraverso i nostri webinar e corsi online abbiamo coinvolto più di 2.500 persone in un progetto nato per formare una nuova generazione di persone, associazioni e ong capaci di vivere il web, comunicare, collaborare, e coordinarsi in rete, realizzando la cooperazione in modo totalmente innovativo” ha spiegato Silvia Pochettino, direttore di VpS e di Ong 2.0. Al momento sono tre gli scenari di futuro che Ong 2.0 lancia sulla sua nuova landing page. “2015: nei dispensari del Kenya i medici stampano in 3D le medicine per la popolazione; 2018: gli open data sono una realtà consolidata, le organizzazioni sono connesse e tutti i dati della cooperazione sono disponibili in banche dati open source e 2020: tutti possono essere maker della cooperazione interagendo da ogni parte del mondo per creare microprogetti reticolari e risolvere i problemi del pianeta”. Solo fantasie? “No - hanno assicurato i VpS - tutto questo è possibile, fin da subito, seguendo le tre parole chiave di Ong 2.0: informazione, formazione e sperimentazione”.
“Ora vogliamo fare un passo avanti, vogliamo chiedere a queste persone di diventare protagonisti, di inviarci idee, proposte, esperienze e progetti per l’utilizzo delle nuove tecnologie e delle metodologie social nella cooperazione internazionale, di iniziare a lavorare concretamente con noi”. “Per questo - ha concluso la Pochettino - Abbiamo avviato lo studio per una nuova piattaforma e una app di Ong 2.0 che aiuti a connettere le esperienze e realizzare progetti sperimentali tra Nord e Sud anche con la finalità di facilitare l’entrata dei giovani nella cooperazione internazionale. È proprio per questo che vogliamo conoscere le idee, le necessità e le difficoltà di chi vive, o vorrebbe vivere, la cooperazione internazionale oggi. E che è in grado, magari, di immaginarla diversa nel futuro”. Intanto chiunque può dare il proprio contributo sul form della campagna di Ong 2.0 oppure con un tweet a @rivistavps, una foto o un post sui canali Facebook e Google Plus utilizzando l’hashtag #cooperazionefutura e anche noi ne abbiamo uno. Se è vero che le nuove tecnologie possono apportare cambiamenti sostanziali nei paesi in via di sviluppo come raccontano anche le esperienze nate all'interno del Network Oneworld, in particolare UK e India, siamo convinti che non basti, a differenza di Nicholas Negroponte (l’inventore di One laptop per child, uno dei progetti ICT4D che ha avuto più impatto mediatico), “lanciare i computer dagli elicotteri per insegnare ai bambini a leggere”. A preoccuparci è soprattutto l’idea che manchi un “governo delle tecnologie” che indichi in modo disinteressato ed onesto la strada migliore da percorrere per garantire una ricaduta reale dei suoi benefici sulle fasce più deboli della popolazione.
Alessandro Graziadei
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