martedì 9 settembre 2014

E tu che water footprint hai?

Qualsiasi ragionamento su ambientale e inquinamento in genere non può che partire dalla definizione chiara e univoca del concetto di water footprint ovvero la “traccia” che consente di misurare l'impatto dei processi di produzione sulla risorsa idrica, ma al problema ogni Paese ha dato fino ad oggi una sua risposta. Adesso la water footprint è finalmente oggetto di una norma internazionale condivisa, la ISO 14046 “Environmental management water footprint. Principles, requirements and guidelines”, nata proprio nei giorni che hanno preceduto l’avvio della World Water Week, conclusosi a Stoccolma il 5 settembre scorso e organizzato dal Stockholm International Water Institute (SWI). L' Acqua è stato il tema conduttore dell'edizione 2014 della Settimana che ha riunito oltre 2.000 tra esperti, operatori, manager e imprenditori di tutto il mondo per scambiare idee, confrontarsi sulle nuove tecnologie, trovare insieme nuove soluzioni per non disperdere una risorsa come l’acqua, rinnovabile sì, ma sempre più limitata, soprattutto in alcune zone del mondo. A Stoccolma ISO ha presentato il percorso di normazione che, avviato nel 2009, ha portato alla costruzione della nuova norma grazie alla partecipazione di diversi Paesi, dall'Australia alla Finlandia, passando per India, Giappone, Corea, Brasile e Botswana. Lo standard pubblicato il 1 agosto 2014 è una procedura che oltre ad assicurare chiarezza e completezza, favorisce il commercio di beni effettivamente rispettosi delle risorse idriche a livello mondiale. Ora, infatti, grazie a questa nuova norma sarà possibile misurare l’impatto che le attività di produzione di materiali e di servizi hanno sulle sempre più scarse risorse idriche mondiali permettendoci di definire gli eventuali danni e programmare le strategie per evitare le ricadute negative sull’ambiente e sulla qualità della vita.
Ma di cosa si tratta? La water footprint o impronta idrica è un indicatore del consumo di acqua dolce che include sia l’uso diretto che indiretto di acqua da parte di un consumatore o di un produttore. L’impronta idrica di un singolo, una comunità o di un’azienda è definita come il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi, misurata in termini di volumi d’acqua consumati (evaporati o incorporati in un prodotto) o inquinati per unità di tempo e collocazione geografica. Per la normativa internazionale, come ha ricordato anche il nostro Ministero dell’Ambiente “il computo globale della water footprint è dato dalla somma di tre componenti: l’Acqua blu che si riferisce al prelievo di acque superficiali e sotterranee destinate ad un utilizzo per scopi agricoli, domestici e industriali”, si tratta quindi della quantità di acqua dolce che non torna a valle dopo il processo produttivo o vi torna, ma in tempi diversi; “l’Acqua verde cioè il volume di acqua piovana che non contribuisce al ruscellamento superficiale e si riferisce principalmente all’acqua evapo-traspirata per un utilizzo agricolo” e “l’Acqua grigia che rappresenta il volume di acqua inquinata, quantificata come il volume di acqua necessario per diluire gli inquinanti al punto che la qualità delle acque torni sopra gli standard di qualità”. L’analisi di questo “tre acque” permetterà così  una più facile quantificazione e localizzazione dell’impronta idrica di un prodotto o di un processo nel periodo di riferimento; la valutazione della sostenibilità ambientale, sociale ed economica dell’impronta idrica, infine, permetterà di individuare delle strategie di riduzione della stessa.
Come ha spiegato Alessandro Manzardo del Dipartimento Ingegneria Industriale dell’Università di Padova (Cesqa ) e coordinatore del Gruppo di lavoro che ha contribuito alla stesura della norma ISO, “Adesso sono due i principi fondamentali della norma, l’analisi dell’impatto sull’intero ciclo di vita del prodotto, dall’inizio alla fine, e la completezza della valutazione. L’intero processo viene infatti analizzato in tutte le sue sfaccettature, tenendo conto delle diverse modalità di interazione”. In alcuni Paesi come la Francia ha aggiunto Manzardo “sono già stati varati dei provvedimenti legislativi che prevedono che tutti i prodotti in vendita debbano riportare in etichetta la carbon footprint, ossia quanta CO2 viene emessa per produrre quel bene o fornire quel servizio, e la water footprint. Lo scopo della norma ISO appena pubblicata è proprio quello di definire un quadro che renda più consapevoli i consumatori, i produttori e i rivenditori in fase di scelta e di acquisto dei prodotti”. L'acqua, infatti è oggi una risorsa indispensabile ma, sebbene rinnovabile, disponibile in quantità limitata quindi va gestita “una necessità comune a cui, però, si sono date risposte diverse con un proliferare di strumenti di water footprint, che hanno generato una certa confusione”. Un esempio? “Abbiamo condotto uno studio su un prodotto, una marmellata biologica di fragole: applicando uno standard, l'impronta idrica del vasetto di marmellata è pari a 240 litri di acqua equivalenti, applicandone un altro risulta pari a 88 litri - ha concluso Manzardo - Da qui la necessità di uno standard internazionale con l’obiettivo di fare chiarezza e dare garanzie ai consumatori”.
La water footprint condivisa grazie alla norma ISO offrirà, quindi, una migliore e più ampia misura volumetrica del consumo e dell’inquinamento dell’acqua dando una chiara prospettiva su come il consumatore e a monte il produttore influisce sull’utilizzo di acqua dolce attraverso un’indicazione sulla sostenibilità spazio-temporale dalla risorsa acqua utilizzata per fini antropici. Ma come ha ricordato l’Ente italiano di normazione (Uni)  “Conoscere l’impronta idrica di un processo aziendale è un vantaggio non solo per i consumatori ma anche per le aziende. Un vantaggio che si traduce in efficienza dei processi produttivi, risparmio di risorse idriche e la possibilità di conquistare nuove fette di mercato, attirando i clienti e i consumatori più sensibili alle produzioni sostenibili”. Insomma si tratta di un’indicazione che non potremmo più far a meno di valutare, se vogliamo esercitare il nostro diritto-dovere ad un consumo più consapevole e critico.
Alessandro Graziadei

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