mercoledì 10 settembre 2014

Le dimenticanze dei media: crisi umanitarie e iniziative nonviolente

Le crisi umanitarie nei media? Ne esistono di visibili, che in ragione della gravità e della rilevanza geopolitica hanno un’ampia visibilità (come le guerre in Iraq e in Afghanistan, la crisi mediorientale e quella siriana); “a singhiozzo”, quelle crisi su cui si accendono i riflettori in concomitanza di eventi significativi e che, terminata l’emergenza, tornano nell’oblio (una su tutti la crisi in Sud Sudan, balzata nelle prime pagine di tutto il mondo solo per le proteste inscenate nel 2012 da George Clooney); e infine esistono anche quelle “invisibili”, che non entrano nei servizi dei telegiornali e se succede è perché sono ricordate in quanto dimenticate (è il caso della Repubblica Centrafricana). È questa una delle tante (e purtroppo prevedibili) indicazioni che emergono dal 10° Rapporto “Le crisi umanitarie dimenticate dai media” (.pdf) presentato la scorsa settimana al Festival della Letteratura di Mantova da Medici Senza Frontiere (MSF).
Negli ultimi dieci anni, ossia da quando MSF e l’Osservatorio di Pavia indagano sulla copertura mediatica delle crisi umanitarie, lo spazio dedicato dai notiziari di prima serata ai contesti di crisi è crollato dal 16,5% nel 2004 al 2,7% nel primo semestre del 2014. L’indagine, che prende in esame la copertura delle crisi umanitarie nei principali notiziari di prima serata della televisione generalista (3 della TV pubblica e 4 della TV privata) nell’arco di un decennio, ci racconta che “i riflettori, quando si accendono, vengono puntati per breve tempo soprattutto su conflitti e atti terroristicimentre l’attenzione maggiore è rivolta a fatti che riguardano il coinvolgimento di occidentali”. Queste crisi, quindi, arrivano nei notiziari solo quando diventano allarmi internazionali, come è il caso dell’Ebola quest’estate. "Se una crisi non è sufficientemente drammatica o non è avvenuta una catastrofe, viene a mala pena considerata dalla nostra informazione, mentre le crisi croniche e per questo meno eclatanti, non vengono raccontate se non sporadicamente" ha ricordato MSF.
“Sono passati dieci anni dalla prima analisi sulle crisi dimenticate ed è tempo di bilanci - ha dichiarato a Mantova Gabriele Eminente, direttore generale di MSF Italia - Se da un lato è indubbio che i telegiornali di prima serata siano sempre più chiusi nei confronti delle crisi umanitarie che avvengono più o meno lontane da noi, è altrettanto vero che in questo decennio il panorama dell’informazione televisiva è molto cambiato. Anche in Italia, infatti, sono nati dei canali tematici dedicati all’informazione, come Rainews o Tgcom24, ma la maggior parte delle persone continua a informarsi tramite i notiziari di prima serata”. Se le crisi non sono nei TG, non lo sono neanche le popolazioni vittime di violenze, sfollamenti, fame e malattie. Nel complesso la percentuale delle notizie dedicate a povertà e malnutrizione è invece all’1,5%, mentre quelle relative alle emergenze sanitarie sono solo 293 in 10 anni, pari all’1% dell’informazione trasmessa. 
Eppure da una recente indagine Eurisko emerge che il 63% della popolazione italiana desidera ricevere dai media più informazioni sulle emergenze umanitarie. “Per questo - ha concluso Eminente -  riteniamo che i TG abbiano ancora una grande responsabilità e un importante ruolo da giocare sulla rappresentazione di crisi che hanno impatti gravissimi sulla vita di milioni di persone e MSF continuerà a sollecitare i media ad accendere un riflettore sulle crisi umanitarie che rimangono nascoste agli occhi del pubblico, perché siamo sempre più convinti che la pressione dei mezzi di comunicazione e dell'opinione pubblica su governi, autorità o attori umanitari e politici, anche in paesi remoti, può fare la differenza e spingere ad agire in favore delle persone in difficoltà”.
Ma il confronto con i notiziari di Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna che offre questo 10° rapporto fa emergere non solo la maggiore attenzione che i notiziari europei dedicano alle crisi umanitarie internazionali, ma anche il maggiore spazio dedicato a contesti e situazioni della società civile non armata, che in Italia sembrano non esistere o fare raramente notizia. Un esempio? Mentre il governo italiano preparava e faceva approvare dal Parlamento l’invio di armi ai combattenti kurdi, negli scorsi mesi in Iraq è nata una mobilitazione straordinaria della società civile irachena. “Le associazioni del Kurdistan iracheno hanno - ha raccontato Un ponte per…  - da giugno hanno stravolto le loro attività ordinarie per alleviare le sofferenze degli 800.000 rifugiati interni giunti dal Nord dell’Iraq, che si aggiungono ai 200.000 kurdi scappati dalla guerra in Siria. Le Ong che rappresentano le minoranze, come la Yazidi Solidarity League, si affannano per dare anche sostegno morale e politico ad un popolo che sta subendo un vero e proprio genocidio. I volontari delle chiese cristiane, caldei e siriaci, sfornano migliaia di pasti al giorno per le famiglie fuggite dalle enclave cristiane della piana di Ninive. Le associazioni di donne denunciano a piena voce i crimini di schiavitù e stupro di cui si è macchiato lo Stato Islamico e sostengono le vittime”. C’è insomma un Iraq solidale e nonviolento che non fa notizia soprattutto quando “la questione degli aiuti, nei media, serve principalmente a sostenere l’idea di un intervento umanitario solo esterno. Come nel caso del ponte aereo di C-130 dell’esercito italiano che ha portato a Erbil acqua e biscotti facilmente acquistabili in loco. Un evidente uso strumentale per sostenere che non si distribuiscono solo armi”.
Le vere emergenze in Iraq non sembrano, quindi, legate alla "nostra" acqua e biscotti, ma piuttosto al sostegno del dialogo nazionale nel processo politico iracheno, affinché il nuovo Primo Ministro al-Abadi cambi corso rispetto al suo compagno di partito al-Maliki, ascoltando le opposizioni e la società civile irachena. “Ci stanno provando gli attivisti dell’Iraqi Social Forum, composto da decine di associazioni, sindacati e reti di tutto il Paese, che stanno impostando un piano strategico di partecipazione della società civile al dialogo nazionale, e di lotta alla discriminazione tra tutte le comunità linguistiche e religiose” ha ricordato Un ponte per…  . In questi giorni sono infatti attive campagne come “Ministri senza quote” contro la pianificazione della politica su basi etniche che chiedono che almeno quattro ministri vengano scelti in base al merito e alle proprie conoscenze della materia, non su basi settarie. È il primo tentativo di mettere in discussione il sistema di quote non scritto, ma varato e consolidato dalle autorità USA dell’occupazione, che gravano ancora sulla politica irachena. Ma, purtroppo, noi di tutto questo, non abbiamo mai sentito parlare in prima serata…
Alessandro Graziadei

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