sabato 13 settembre 2014

Thailandia: minorenne e migrante = detenuto

Centinaia di arresti arbitrari, denunce di tortura, profonde limitazioni alla libertà d'espressione e di manifestazione pacifica, processi irregolari nelle corti marziali: è questa l'atmosfera di paura che si respira in Thailandia, denunciata la scorsa settimana da Amnesty International in un rapporto sulle violazioni dei diritti umani commesse della giunta militare che ha preso il potere il 22 maggio, due giorni dopo la proclamazione della legge marziale. Soprattutto in questo contesto non è facile oggi essere un minorenne in Thailandia. Peggio ancora se sei un minorenne immigrato. Oltre alla minaccia che arriva dal turismo sessuale internazionale (che secondo Ecpat, l’onlus italiana che si occupa di difendere i minori dallo sfruttamento sessuale, nel 2014 ha visto aumentare sensibilmente questo criminale turismo degli italiani soprattutto in Thailandia) e alle allarmanti condizioni del lavoro minorile (tra le più preoccupanti quelle legate al commercio dei gamberi), sono centinaia i minori migranti che sono arrestati ogni anno. A metterlo nero su bianco è il nuovo report di Human Rights Watch (Hrw). Uscito lo scorso 2 settembre con il significativo titolo “Two Years with No Moon: Immigration Detention of Children in Thailand(.pdf)  il report denuncia l’uso strumentale della reclusione dei minorenni messa in atto dal Governo di Bangkok come deterrente per combattere l’immigrazione.  
Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni sono circa 375.000 i bambini immigrati in Thailandia, compresi i figli di lavoratori  provenienti da Paesi limitrofi, minori rifugiati e richiedenti asilo. Molti di loro finiscono reclusi assieme ai genitori senza diritti fondamentali anche nei casi in cui la reclusione immotivata (se non dal “reato di immigrazione”) dura anni. La maggior parte dei richiedenti asilo arriva dalla Birmania e fugge dagli attacchi dell’esercito nelle zone abitate da minoranze come quella dei Rohingya, un’etnia di religione islamica da sempre emarginata, ma dal maggio del 2012 al centro di veri e propri pogrom. Per coloro che arrivano da Paesi confinanti come Laos, Birmania e Cambogia, la permanenza dura solo pochi giorni, al termine dei quali i migranti anche minorenni vengono rimpatriati forzatamente, anche se in patria rischiano la vita. Per altri rifugiati che arrivano principalmente da Pakistan, Sri Lanka, Somalia e Siria la durata della detenzione è nella maggior parte dei casi indefinita e raramente i migranti riescono a godere di un supporto legale per far valere il proprio diritto all’asilo e alla libertà.
Così, mentre i vicini se ne vanno in fretta, coloro che arrivano da Paesi non contigui si trovano davanti a un bivio: o restare in prigione a tempo indeterminato con le loro famiglie sperando prima o poi di poter iniziare una nuova vita o pagare per tornare nel loro Paese dove rischiano di essere perseguitati. “I bambini migranti detenuti in Thailandia - ha affermato Alice Farmer, ricercatrice per i diritti dell'infanzia di Hrw e autrice del rapporto - stanno soffrendo inutilmente in celle sovraffollate, sporche, senza un’adeguata nutrizione, senza istruzione e senza lo spazio necessario per fare esercizio fisico. Queste prigioni non sono luoghi adatti per i figli degli immigrati”. “Mia nipote di cinque anni mi ha chiesto - Per quanto tempo dovrò restare? Passerò qui il resto della mia vita? - Io non sapevo cosa risponderle” ha raccontato a Hrw Yanaal, un migrante recluso con la sua famiglia da sei mesi nel carcere per immigrati di Bangkok.
Di fatto come ha ricordato Hrw le condizioni detentive minano non solo la salute psicologica, ma anche uno sviluppo fisico dei minorenni. “L’alimentazione è insufficiente al fabbisogno energetico dei più piccoli, tanto che alcuni genitori ricorrono al mercato nero e si indebitano pur di assicurare ai propri figli abbastanza cibo - si legge sul Report -. Non ci sono spazi per giocare e muoversi e le celle sono così affollate che spesso i più piccoli non possono sdraiarsi neanche per dormire”. Ignorando la Convenzione del fanciullo, nelle prigioni i bambini sono vittime di violenze da parte di guardie carcerarie e adulti con cui sono costretti a dividere le celle, anche se non appartengono alla loro famiglia. “La cosa peggiore - ha raccontato Cindy, una bambina detenuta dai 9 ai 12 anni era che stavi intrappolato e bloccato. Ogni volta guardavo fuori, vedevo le persone che camminavano per le strade e speravo che un giorno sarei stata al loro posto”.
Per la sua posizione geografica e il boom economico degli ultimi anni, la Thailandia deve fare i conti con il forte aumento dei flussi migratori verso i suoi confini. Per la Farmer però se “Bangkok vuole affrontare le numerose sfide poste dalla migrazione, pur avendo il diritto di controllare i propri confini, deve farlo rispettando i diritti umani fondamentali, compreso il diritto alla libertà dalla prigionia arbitraria, il diritto all'unità familiare e gli standard minimi internazionali per le condizioni di detenzione”. Secondo Hrw, la Thailandia dovrebbe adottare immediatamente misure alternative alla detenzione, come ad esempio centri di accoglienza aperti e libertà condizionate, tutte misure che costano meno della detenzione, rispettano i diritti dei bambini e proteggono il loro futuro. Al momento però, secondo la legge thailandese, tutti i migranti irregolari, anche se minorenni, possono essere arrestati e detenuti. “Data l’attuale crisi dei diritti umani in Thailandia - ha concluso la Farmer - è facile ignorare la condizione dei minori migranti. Ma le autorità thailandesi devono affrontare questo problema, perché non si risolverà da solo”.
Non possiamo non ricordare alla Thailandia come all’Italia, dove nei centri di identificazione ed espulsione il numero di minorenni è sempre molto elevato, che nel 2013 il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo ha esortato i governi a “cessare rapidamente e completamente la detenzione dei bambini sulla base del loro status di migranti”, affermando che tale detenzione non è mai nell'interesse del bambino. Un richiamo che per ora rimane lettera morta.
Alessandro Graziadei

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