A quasi 2 anni dal voto dell’Assemblea Generale che dichiarò la Palestina Stato Osservatore dell’ONU il tempo stringe a Gaza e occorre ricostruire quello che è rimasto in piedi dopo la quarta invasione di Gaza da parte di Tel Aviv in 8 anni (2006, 2008-2009, 2012). A ricordarlo è stato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, riferendo il 21 ottobre scorso al Consiglio di Sicurezza dell'Onu la situazione della Striscia osservata personalmente pochi giorni prima durante la sua ultima visita a Gaza, la prima dopo i 51 giorni di conflitto della scorsa estate. La Striscia, assieme a Gerusalemme, Ramallah e il sud di Israele, era una delle tappe del suo recente viaggio attraverso il Nord Africa e il Medio oriente, che, inoltre, includeva visite in Tunisia, Libia ed Egitto, dove al Cairo ha partecipato ad una conferenza internazionale di donatori per la ricostruzione di Gaza.
“Niente mi avrebbe potuto preparare a quello a cui ho assistito a Gaza. Ho visto miglia e miglia di totale distruzione”, ha raccontato Ban ai 15 membri del Consiglio di Sicurezza. Mentre si trovava a Gaza, il Segretario Generale ha visitato una scuola delle Nazioni Unite presso il campo profughi di Jabalia, che fu bombardato durante le ostilità e ha chiesto una meticolosa indagine in relazione agli incidenti in cui gli edifici delle Nazioni Unite subirono attacchi dove diverse persone rimasero uccise. Una prima commissione indipendente è già stata stabilita con il compito di esaminare i casi più gravi e quelle situazioni in cui sono stati reperiti armamenti nelle strutture delle Nazioni Unite. Ma il Segretario Generale non ha voluto dimenticare che “Anche gli Israeliani hanno sofferto durante il conflitto”. Per questo ha raggiunto un kibbutz dove ha incontrato una famiglia in lutto per la perdita di un bambino di 4 anni che è stato ucciso da un missile di Hamas e ha visitato un tunnel costruito per far partire gli attacchi contro Israele. “Lanciare missili è inaccettabile, perché non hanno portato nulla se non sofferenza - ha precisato Ban - e capisco perfettamente la minaccia per le sicurezza di Israele costituita da missili dal cielo e dai tunnel dal basso. Allo stesso tempo, la portata della distruzione a Gaza ha lasciato questioni profonde riguardo alla proporzionalità”.
Secondo la United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA) sono circa 17.000 le case distrutte o pesantemente danneggiate da Israele a Gaza nel corso dell’ultimo conflitto e 100.000 persone sono ad oggi senza tetto, con più di 50.000 palestinesi ancora rifugiati negli stabilimenti adibiti a scuole sotto la gestione delle Nazioni Unite. Molte poi sono le persone che non hanno ancora accesso alla rete d’acqua municipale e sono all’ordine del giorno blackouts della durata di più di 18 ore. Il Segretario Generale ha elogiato gli sforzi sostenuti per la ricostruzione della striscia dai donatori, che “superano le aspettative”, con un impegno di circa 50 Paesi per un ammontare di circa 5.4 miliardi di dollari, ma “414 milioni di dollari sono immediatamente necessari per i soccorsi umanitari 1.2 miliardi di dollari servono per avviare processi di pronta ripresa economica e 2.4 miliardi di dollari per le opere di ricostruzione” ha spiegato Ban riferendo al Consiglio che le promesse fatte devono “concretizzarsi velocemente” in una assistenza effettiva sul campo, specialmente ora che l’inverno incalza.
Nonostante la difficile situazione, ha riferito l’Human Wrongs Watch (HWW), il Segretario Generale ha lasciato Gaza “con una forte speranza”. In attesa che i 5,4 miliardi promessi venga elargiti, l’Onu ha nominato uno “Speciale Coordinatore per il Processo di Pace in Medio Oriente”, Robert Serry, che ha inventato un complicato meccanismo che consente a un Comitato composto da Onu, Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ed Esercito israeliano di monitorare quantità e qualità del materiale necessario alla ricostruzione. Tutto e solo per uso civile. Solo così, nelle scorse settimane, i primi rifornimenti di materiali necessari per la ricostruzione hanno fatto ingresso nella Striscia e fa ben sperare l’offerta della Turchia di inviare una nave da utilizzare come centrale elettrica temporanea. I contro di questa situazione? Purtroppo ci sono. Una parte dell’ANP teme che la neonata istituzione costituisca la legittimazione del blocco israeliano di Gaza che dura dal 2007 e nel meccanismo elaborato è prevista la presenza di 250-400 stranieri esperti in finanza, amministrazione e sicurezza, con la conseguente probabile dilatazione dei tempi della ricostruzione. È tuttavia un primo passo.
Ma qualcosa la visita di Ban Ki-moon ha smosso anche sul piano politico? Il Segretario Generale ha incontrato a Ramallah il Primo Ministro Palestinese Rami Hamdallah e il suo Gabinetto ribadendo il supporto delle Nazioni Unite ad una leadership Palestinese unita, unica via utile per ri-organizzare i confini di Gaza e riprendere il commercio con la Cisgiordania. Ban non ha però dimenticato Israele incontrando anche il Primo Ministro Israeliano Benjamin Netanyahu senza nascondere la sua profonda preoccupazione circa i progetti di costruzione di unità immobiliari residenziali nella zona Est occupata di Gerusalemme e ricordando che “la legge internazionale è chiara: l’attività di insediamento è illegale”. Per le Nazioni Unite è fondamentale “assicurare l’impegno del Governo israeliano nel non modificare la linea politica riguardo ai Luoghi Sacri” e cancellare progetti come quello annunciato in Parlamento il 27 ottobre da Netanyahu che prevede di “andare avanti con gli insediamenti dei coloni a Gerusalemme Est e costruire altre 1000 case”. Un progetto per il quale anche l'Unione europea ha chiesto la “revoca urgente”, giudicandolo “inopportuno”.
Per l’Human Wrongs Watch il ciclo di costruzione e distruzione tra Palestina ed Israele deve finire perché dalla comunità internazionale “non ci si può aspettare che raccolga ancora i cocci di un’altra guerra pagandone il conto”. Che fare allora? Mentre le tensioni a Gerusalemme est restano elevate dopo gli scontri di questi giorni, prioritaria sarà la ripresa pianificata degli incontri utili a stabilire un cessate il fuoco duraturo tra Israele e Palestina, magari rinforzando ulteriormente i passi fatti da Israele per attenuare le restrizioni di movimento e commercio in Cisgiordania e a Gaza. Ma non ci sarà speranza di una stabilità di lunga durata per Gaza se non si risolvono le cause scatenanti il conflitto: una fine all’occupazione che si è trascinata per quasi metà secolo, una piena revoca delle restrizioni nella Striscia di Gaza ed una soluzione certa ai problemi di sicurezza di Israele. Come sempre, però, la stabilità richiede “un esauriente accordo di pace che porti a riconoscere uno Stato Palestinese funzionante ed indipendente”, ha concluso Ban. E se questa è veramente l’unica via, la strada pare ancora lunga e tortuosa perché ancora una volta, a distanza di oltre 21 anni, si è fermi agli “Accordi di Oslo” (del 13 settembre 1993): status di Gerusalemme, scambio territoriale per ripagare l’ANP del territorio occupato illegittimamente dai coloni e diritto di ritorno dei rifugiati palestinesi dal 1948 in avanti. Per ora lettera morta.
Alessandro Graziadei
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