lunedì 1 dicembre 2014

AIDS: Close the Gap

Ha un luogo e un tempo precisi l’inizio della pandemia di AIDS che ha infettato fino ad oggi quasi 75 milioni di persone? A quanto pare sì. “Il luogo è il tratto camerunense del fiume Sangha, un affluente del Congo, dove, intorno al 1920, qualcuno si mise in viaggio verso Léopoldville (l’attuale Kinshasa) dopo essere stato infettato, probabilmente durante una battuta di caccia, da uno scimpanzé portatore del ceppo di SIV (simian immunodeficiency virus) il più simile a quello dell’HIV che si conosca”.  A stabilirlo è stata una ricerca sulla genesi e la storia iniziale dell’epidemia di AIDS condotta da un gruppo internazionale di virologi, genetisti e biologi diretti da Oliver G. Pybus, dell’Università di Oxford, e Philippe Lemey, dell’Università di Lovanio, che hanno da poco firmato un articolo pubblicato su “Science”. Pybus e colleghi hanno osservano che, se la diffusione dell’HIV dal 1920 al 1960 ha chiaramente seguito le grandi vie di spostamento della popolazione più problematico è capire le ragioni del successivo “salto di qualità” compiuto dal virus arrivando ad ipotizzare che alla diffusione abbiano potuto paradossalmente contribuire anche le iniziative di salute pubblica intraprese per contrastare altre malattie: “l’improvviso aumento del numero delle infezioni dopo gli anni ’60 potrebbe essere fatto risalire al diffuso riutilizzo su più persone di aghi non adeguatamente sterilizzati per somministrare farmaci e vaccini”.

Da allora i passi avanti nella lotta all’infezione da Hiv/AIDS sono stati tanti e c’è chi pensa sia ormai possibile eliminare il virus dalla faccia della terra. Utopia? Per la Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids (Lila) no. “A trent'anni dall’inizio dell’epidemia globale di Hiv sappiamo che l’infezione può essere prevenuta, diagnosticata e controllata grazie ai progressi di ricerca e medicina: va da sé che da questo punto di vista non è utopico pensarlo”. L’accesso alla diagnosi ed ai trattamenti è però ancora ostacolato dal fatto che essere persone positive all’Hiv spesso significa subire discriminazioni in ogni campo della vita e vedersi negati elementari diritti di cittadinanza, come quello all’accesso ai farmaci. Questo succede soprattutto per chi appartiene alle comunità più povere e a rischio d’infezione, nei paesi in via di sviluppo come in quelli industrializzati. Ed è qui che le cose si complicano, perché serve la volontà politica per eliminare queste diseguaglianze (in primis quelle di genere!) e permettere un’adeguata prevenzione e un’accessibile cura a tutti. 

Ecco perché Close the Gap, cioè ridurre la distanza, è il tema scelto per celebrare questo 1 dicembre, Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, che in Italia e nel mondo sarà ricordata con tantissime iniziative tutte accomunate dall’obiettivo di porre fine alla pandemia di Aids entro il 2030 e arrivare entro il 2020 all’obbiettivo proclamato dall’Unaids  90x90x90: "diagnosticare il 90% delle infezioni, far entrare in terapia il 90% delle persone diagnosticate, abbattere la carica virale del virus Hiv nel 90% delle persone che assumono un trattamento antiretrovirale". Il The Gap Report, pubblicato da Unaids e presentato in occasione della conferenza AIDS 2014 - 20th International AIDS Conference, tenutasi a Melbourne, in Australia, dal 20 al 25 luglio 2014, mostra come negli ultimi 4 anni si sia passati da circa 5 milioni a 12 milioni di persone in trattamento: dati incoraggianti anche se rappresentano solo il 37% dei 35 milioni di persone che vivono con l'Hiv nel mondo. Un risultato straordinario, raggiunto in poco più di 30 anni e che, forse, non trova esempi in alcun altro capitolo della medicina. Per l’Anlaids che dal 1985 si batte per l’obiettivo “zero nuove infezioni da Hiv, zero morti per Aids e zero discriminazioni” adesso è “Il tempo di guardare oltre, imperativo d’obbligo per la Ricerca con la R maiuscola e, oggi, guardare oltre significa pensare ad una prossima generazione di Aids free. Progetto ambizioso, di cui oggi si parla nei convegni e sulle riviste scientifiche e questo è un ottimo segnale perché significa che ci si crede”.

Tuttavia la strada è ancora lunga: nel mondo, infatti, nel solo 2013 1.5 milioni di persone sono morte per patologie collegate all’Aids, 2.1 milioni di persone hanno contratto l'infezione da Hiv, di questi 240.000 erano bambini e a fronte dei 12.9 milioni di persone con Hiv che hanno avuto accesso alla terapia antiretrovirale, solo il 24% di tutti i bambini affetti da Hiv ha ricevuto le terapie salva-vita. Ma non sono solo i numeri a ricordarci che la lotta contro questa malattia e le sue conseguenze è ancora lunga. Secondo in dati Unaids “l’Hiv è oggi ancora la principale causa di morte tra le donne in età riproduttiva”. Nel 2013, il 54% delle donne incinte nei paesi a basso e medio reddito non ha ricevuto il test Hiv e quasi il 60% di tutte le nuove infezioni da Hiv nei giovani tra i 15 ed i 24 anni si sono verificate tra ragazze adolescenti e giovani donne, tanto che le patologie collegate all’Aids sono la principale causa di morte tra le adolescenti tra i 10 ed i 19 anni in Africa. Anche la prevenzione tra categorie come gay, transgender e persone che fanno uso di sostanze per via iniettiva rimane scarsa con percentuali elevate, rispetto alla media, di contrarre la malattia.

Ecco perché oggi l’accesso ai farmaci, la semplificazione dei regimi terapeutici, il controllo, l’emersione del sommerso e il trattamento degli effetti avversi assieme alla lotta contro la povertà, l’educazione, la prevenzione e l’informazione non rappresentano più solo percorsi alternativi, ma sono gli strumenti che porteranno alle prossime generazioni Aids free. Close the Gap è possibile! 

Alessandro Graziadei

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