Nei principi e linee guida declinati a Parigi nel 2007 per tentare di porre un limite al fenomeno dei bambini associati alle forze armate e ai gruppi armati, si definisce bambino in armi “ogni persona sotto i 18 anni che è membro di una forza armata o di un gruppo armato e che viene impiegato in varie funzioni, incluso, ma non solo, come cuoco, facchino, messaggero, qualsiasi bambino sfruttato sessualmente e costretto al matrimonio per motivi bellici, e qualsiasi minore che accompagni tali gruppi, oltreché membri della famiglia”. Una situazione che in Repubblica Centrafricana secondo l'ultimo rapporto di Save the Children “Intrappolati nei combattimenti” (.pdf) presentato lo scorso 18 dicembre, riguarda circa 10.000 minori. A due anni dall’esplosione della guerra civile nel dicembre 2012, infatti, il numero di ragazze e ragazzi sotto i 18 anni reclutati dai gruppi armati nel paese africano è aumentato di 4 volte. “Sono circa 2,3 milioni i bambini colpiti dalla guerra civile e 430.000 le persone sfollate. Tra questi si stimano fra i 6.000 e i 10.0000 i minori al momento coinvolti in gruppi armati attivi nella Repubblica Centrafricana, a fronte dei 2.500 di 2 anni fa: 4 volte di più 2”.
L’Organizzazione che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e difendere i loro diritti ha raccontato come “alcuni dei minori coinvolti sono stati rapiti o costretti ad arruolarsi, ma una parte di loro lo fa volontariamente perché è l’unico modo per sopravvivere se sei senza cibo, vestiti, non hai soldi ne protezione alcuna. Altri ancora lo fanno perché spinti da coetanei o familiari, dal desiderio di proteggere la propria comunità o da quello di vendicare un genitore o un parente stretto”. Una situazione sociale compromessa da questa “nuova guerra” dove “Bambine e bambini a volte con meno di 8 anni, sono costretti a combattere, trasportare i rifornimenti e svolgere altri compiti in prima linea o di supporto” e sono “Sono spesso vittime di abusi fisici e mentali da parte dei miliziani”.
La povertà estrema, insieme all’impossibilità di accedere ad un’istruzione per i più piccoli o a un lavoro per i più grandi, sono tra le cause che spingono questi minori a entrare nei gruppi armati. “Tanti di questi bambini e adolescenti hanno così vissuto esperienze che neanche un adulto, men che meno un bambino, dovrebbe mai vivere, avendo assistito alla perdita di propri cari, alla distruzione delle proprie case ed essendo sopravvissuti per mesi nella boscaglia, in condizioni di pericolo e insicurezza estremi”, ha dichiarato Julie Bodin, Responsabile Protezione Minori di Save the Children nella Repubblica Centrafricana. “Ogni giorno ci addestriamo duramente, strisciando faccia a terra. I soldati vogliono farci diventare cattivi, spietati”, ha raccontato Grâce à Dieu, entrata in un gruppo armato nel dicembre 2012 a soli 15 anni. “Quando si combatte, siamo noi, i bambini, ad essere mandati spesso in prima linea, mentre gli altri invece restano nelle retrovie. Io ho visto molti bambini come me morire in combattimento. Ho visto molte atrocità”.
Avendo assistito o compiuto uccisioni e altri atti di estrema violenza per mesi o anche anni, i minori associati a gruppi armati hanno alte possibilità di soffrire di ansia, paura, depressione, insicurezza, e molti hanno bisogno di supporto psicologico. “Anche se lasciano i gruppi armati o vengono liberati, questi bambini corrono il rischio di essere stigmatizzati, temuti o rifiutati dalle loro stesse comunità e faticano a ritornare ad una vita normale dopo essere stati così a lungo immersi nella violenza” ha aggiunto la Bodin. Per Save the Children a due anni dallo scoppio della guerra civile il governo della repubblica Centrafricana, le agenzie dell’Onu, con il contributo congiunto di altri paesi e donatori, “debbono intensificare al massimo gli sforzi per prevenire il reclutamento di bambini in gruppi armati e liberare quelli già coinvolti. Un tempestivo ed efficace intervento deve includere un supporto psicologico specializzato per aiutare questi bambini nel recupero e nel reingresso nelle loro comunità d’origine”.
Il tempo è poco, le vite da salvare molte. Intanto, mentre la situazione resta instabile in gran parte della Repubblica Centrafricana, Save the Children sta fornendo aiuto psicologico specialistico a bambini associati ai gruppi armati e a bambini che hanno assistito a crimini o ad altri atti di violenza, attraverso spazi a misura di minore e network di minori formati per dare nuove opportunità ai “giovani reduci”. L’organizzazione sta inoltre facilitando il ritorno a scuola dei bambini e adolescenti fuoriusciti dai gruppi armati e, con l’aiuto di partner locali, sta offrendo loro anche una formazione professionale. “C’è estremo bisogno di ulteriori risorse per far rifiorire le vite di questi bambini e ricostruire o rafforzare alcune istituzioni, come per esempio le scuole, che possono aiutarli a riprendersi. Tutto ciò è cruciale non solo per i minori ma per il futuro dell’intero paese”, ha concluso la Bodin.
Al momento ogni settimana circa 25.000 persone, di cui 17.000 bambini beneficiano degli interventi della Ong che contemporaneamente sta distribuendo medicine salvavita, strumentazione e forniture mediche a centri medici e ospedali, sta curando bambini malnutriti e provvedendo alle cure pre e post natali delle neo-mamme. Save the Children inoltre sta operando nella riunificazione di bambini soli o non accompagnati con le proprie famiglie e collocando i minori in famiglie ospitanti supportando bambini e adolescenti che hanno dovuto lasciare la scuola, con corsi intensivi. Dove è stato possibile ha riabilitato 46 scuole colpite dalla guerra. Un modo per dare una speranza e un futuro a tutta la Repubblica Centrafricana, in attesa di un lento e ancora distante processo di riconciliazione.
Intanto si è insediata ufficialmente nel settembre scorso la United Nations Multidimensional Integrated Stabilisation Mission in the Central African Republic (MINUSCA). La missione di pace è stata autorizzata dalle Nazioni Unite nell’aprile del 2014 e la sua priorità è la protezione dei civili, con interventi specifici per le donne e i bambini, ma con una particolare attenzione ai minori arruolati nei gruppi armati. Sulla carta oltre 10.000 militari, 1.820 poliziotti e 16 esperti per la protezione dei bambini dovrebbero essere già operativi. Tuttavia, a novembre del 2014, appena 8.000 militari e solo alcuni degli esperti a protezione dei bambini previsti erano effettivamente sul campo. Il 2015 deve rappresentare una svolta anche per la missione Onu se vogliamo riaffermare il nostro impegno collettivo nel proteggere il più fondamentale dei diritti del fanciullo: quello di essere un bambino.
Alessandro Graziadei
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