sabato 28 febbraio 2015

Caccia: 22 morti e 66 feriti non erano animali

Numeri da attentato, uno dei tanti che insanguinano il mondo con autobombe e kamikaze pronti ad immolarsi per qualche deviata ed impropria interpretazione religiosa. Ma il bilancio di 22 morti e 66 feriti, fra i quali 4 morti e 22 feriti (compresi 3 bambini) fra la gente comune, non sono il bollettino di uno dei tanti atti di terrorismo che insanguinano il mondo, ma sono i dati ricordati dalla Lega Nazionale per la Difesa del Cane (Lndc) come il “triste risultato della stagione venatoria italiana che si è conclusa di recente”. Una “mattanza” avvenuta nell’arco di 110 giorni (dal 1 settembre al 31 gennaio) così come previsto dalla Legge 157/92 sulla caccia e dalle relative normative regionali dei numerosi calendari venatori.

“Diventa inevitabile chiedersi - ha spiegato Michele Di Leva responsabile caccia e fauna selvatica della Lndc - per quali irrazionali motivi mentre da una parte le norme del Ministero dell’Interno sono decisamente rigide e restrittive per quanto riguarda le licenze al porto di pistola per difesa personale, risultano invece permissive quelle inerenti le armi lunghe in uso nella caccia. Armi che, ricordiamo, possono raggiungere una gittata massima anche di 3 chilometri, pertanto estremamente pericolose per la pubblica incolumità”. Di fatto oggi oltre 700 mila cacciatori sono autorizzati a detenere armi decisamente letali ed hanno un età compresa fra i 65 e i 78 anni (dati Istat), “un elemento niente affatto rassicurante per la sicurezza pubblica” secondo la Lndc, soprattutto alla luce del numero di incidenti registrati in questi ultimi 5 mesi di caccia.

Il drammatico bollettino di questa stagione venatoria è stato ricordato anche dalla Lega Antivivisezione (Lav) che ha ribadito come “Anche quest’anno la caccia porta con sé un tragico bilancio: un’assurda carneficina, una strage di animali, danni incalcolabili all’ambiente, vittime tra i cacciatori e tra la gente comune. Sono ben 88 le vittime umane, registrate da settembre 2014 al 29 gennaio 2015: 22 morti e 66 feriti in poco più di quattro mesi, attribuibili ad armi da caccia e cacciatori”. “Una vera e propria guerra, che ad ogni stagione ripropone le assurdità dell’attività venatoria con il massiccio uso di munizioni al piombo e l’odioso libero accesso dei cacciatori nei terreni privati: il Governo e il Parlamento devono sentire il dovere di mettere fine a questa carneficina” ha spiegato Massimo Vitturi, responsabile Lav per il settore caccia e fauna selvatica. Le munizioni, inoltre, possono uccidere in vari modi, tanto che il Wwf chiede che “anche in l’Italia si elimini finalmente il piombo dalle munizioni di caccia, grave fonte di inquinamento, sostituendolo con leghe non tossiche entro il 2017, come stabilito recentemente dall’Onu al meeting della convenzione sulle specie migratorie in applicazione  della convenzione di Bonn, con una decisione vincolante anche per il nostro Paese”.

Sul fronte degli animali uccisi poi, oltre alla strage legalizzata della fauna selvatica, si devono mettere in conto le regalie che alcune regioni italiane, e praticamente tutte le province, concedono al mondo venatorio in nome di quello che per la Lega per la Diifesa del cane “è uno squallido scambio di favori fra politici e cacciatori: deroghe alla regole stabilite in cambio di voti che assicurano la rielezione nel momento opportuno”. Un esempio eclatante per la Lndc è quello della cattura di uccelli mediante reti e richiami vivi, “pratica che, pur essendo vietata dalla Direttiva Uccelli e nonostante le minacce da parte della Commissione Europea di comminare pesanti sanzioni al nostro Paese, regioni come Lombardia, Emilia Romagna e Veneto hanno reso possibile con delibere ad hoc. Delibere poi annullate forzosamente dal Consiglio dei Ministri, per evitare le penali comunitarie”.

Ma nel bilancio di questa “guerra agli animali” si devono mettere in conto anche i vergognosi piani di abbattimento autorizzati, in qualunque periodo dell’anno, da regioni e province nei confronti di animali quali volpi, nutrie, caprioli, daini a loro dire dannosi per l’agricoltura. Piani incuranti dell’esistenza di alternative ecologiche, per altro previste per legge. “Un recente esempio - ha raccontato la Lndc - è quello relativo all’abbattimento, per fortuna sospeso dal Consiglio di Stato, degli ormai tristemente famosi daini nel ravennate. Oppure, il raccapricciante episodio avvenuto a Castelnuovo Scrivia (AL) nel corso del quale tre cacciatori hanno ucciso a bastonate un’inerme volpe soltanto perché, secondo loro, appartenente ad una specie nociva per la selvaggina”. 

Se la stagione venatoria si è chiusa il 31 gennaio, di fatto “la caccia non si ferma mai: non c'è pace per gli animali selvatici che, complici i numerosi piani di abbattimento, di volta in volta disposti da regioni e province, continuano ad essere uccisi per tutto il corso dell’anno - ha puntualizzato Vitturi -. Tra le specie maggiormente colpite: le volpi con i loro cuccioli, le nutrie, i daini, i caprioli, i colombi che cadranno a migliaia sotto il piombo dei cacciatori, il più delle volte senza alcuna motivazione scientifica se non il chiaro intento della classe politica di raccogliere i voti dei cacciatori”. Ma per completare un quadro nazionale decisamente non edificante, si deve menzionare anche il grave problema del bracconaggio, causa dello sterminio di migliaia di specie protette (soltanto per il lupo se ne contano circa 200 unità all’anno, nonostante sia tutelato da normative nazionali e comunitarie).

La caccia, ad oggi,  per gli animalisti “sia nella forma illegale del bracconaggio, sia nella forma legale autorizzata con provvedimenti regionali, provinciali o nazionali, in Italia rappresenta uno dei fattori che contribuiscono alla perdita di biodiversità, che si somma ad altri fattori negativi quali il consumo del suolo, gli inquinamenti, i cambiamenti climatici, gli incendi boschivi”. Il motivo, ha spiegato la Lav “è dovuto alla particolare situazione italiana in cui l’attività venatoria viene gestita, normata e praticata in maniera quasi sempre non sostenibile, e non rispettando i criteri scientifici, né le normative internazionali di tutela delle specie e degli habitat naturali”. Per questo ha concluso la Lndcè indispensabile da parte del Governo Italiano una seria riflessione sul problema caccia, sul deprecabile atteggiamento di svariate pubbliche amministrazioni locali (regioni e province) volutamente permissive a favore delle attività venatorie e incuranti dei periodici richiami della Commissione Europea oltre che dei relativi rischi di sanzioni che andrebbero fra l’altro a carico del contribuente”. E noi paghiamo...

Alessandro Graziadei

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