domenica 15 febbraio 2015

C’era una volta la Grande barriera corallina... E adesso?

Potremmo anche pensare che dopo più di un decennio che periodicamente danno per morta la Grande barriera corallina australiana, ormai questo ecosistema unico al mondo e non a caso patrimonio dell’umanità dell’Unesco dal 1981, non morirà più. Potremmo, ma le nostre raffinate capacità distruttive non vanno mai sottovalutate. La più grande struttura sulla Terra costruita da organismi viventi ha affrontato tempeste, un’invasione di stelle marine che ne ha soffocato l’ecosistema e deve fronteggiare sfide globali come l’aumento delle temperature. Ma ci resisterà? Erano i primi anni del secolo quando arrivò il primo serio allarme per la salute del reef più esteso del pianeta: “L’inquinamento causato dalle aziende agricole sta minacciando la Grande Barriera Corallina”. Lo dichiarava un’agenzia governativa australiana in un rapporto del 2003 sullo stato di salute dei 2.000 chilometri di barriera che si estendono lungo le coste del Queensland. Quel reef, popolato da migliaia di specie di pesci tropicali e altri organismi marini, rischiava di essere “soffocato” dai fertilizzanti e dai pesticidi utilizzati nelle piantagioni, come quelle di zucchero, o nei terreni adibiti ad allevamenti di bestiame. Tra le conseguenze di questo inquinamento c’era una crescita ridotta del corallo, una maggiore prolificazione dei loro antagonisti e una minore capacità di reazione ai pericoli naturali, tra cui i cicloni. 

Gli allarmi si sono susseguiti negli anni fino a quando nel 2013 è stato l’Unesco stesso ad annunciare che “se non verranno adottate al più presto misure per migliorare la gestione della barriera, questa potrebbe finire sulla Danger List, la lista del patrimonio mondiale in pericolo” e ben presto perdere il prestigioso status di grande meraviglia naturale del mondo. Un rapporto dell’Australian Institute of Marine Science finanziato dal governo australiano e pubblicato l’anno prima su PNAS, confermava le drammatiche notizie sullo stato della barriera già emerse da studi precedenti, concludendo che, “negli ultimi 27 anni, più o meno il tempo della sua permanenza nella lista Unesco, la barriera aveva perso la metà dei suoi banchi di corallo". Insomma era in pericolo un patrimonio di biodiversità che produce 6 miliardi di dollari l’anno derivanti dal turismo ed impiega circa  69.000 lavoratori.

E oggi? Nonostante gli studi e i potenziali rischi ambientali ed economici evidenziati  negli anni la Grande barriera corallina rischia ancora di diventare una discarica se il Governo australiano non imporrà il divieto totale e non solo parziale allo sversamento all’interno dei confini di questo Patrimonio dell’umanità dei rifiuti legati alle recenti attività di dragaggio dei fondali utili per aumentare le capacità dei porti locali, al fine di garantire un potenziale maggiore di esportazione di carbone. L’Australia ha così la possibilità di dare due pessimi contributi alla tutela ambientale in una volta sola: distruggere un ecosistema e contribuire con al riscaldamento del clima raddoppiando le sue esportazioni di carbone dal Queensland. 

L’allarme è stato lanciato la scorsa settimana da un rapporto commissionato dal WWF al Dalberg Global Development Advisors e intitolato The Great Barrier Reef Under Threat, il quale spiega che “se non si agirà in fretta, l’area - che costituisce uno degli habitat naturali più preziosi del pianeta - diventerà ben presto un’autostrada marittima”. I piani di espansione dei porti australiani, infatti, richiedono il dragaggio di circa 51 milioni di metri cubi di fondale oceanico, abbastanza da riempire 49 grattacieli come l’Empire State Building di New York. Per il WWF “gran parte di questi fanghi e terra verrebbero scaricati nelle sensibili acque della barriera corallina, dove i sedimenti possono andare alla deriva fino a 80 Km dal luogo degli scarichi, soffocando i coralli e minacciando la sopravvivenza di specie a rischio estinzione come le tartarughe marine”. Il rapporto sottolinea inoltre che "Mentre l’industria del carbone a livello mondiale sembra essere in declino strutturale, guadagna terreno l’energia rinnovabile". È improbabile, quindi, che tutti i porti carboniferi proposti saranno necessari. 

Il direttore per l’Europa della Dalberg, Wijnand de Wit, ha ricordato che “La Grande barriera corallina è un patrimonio dell’umanità, riconosciuto per la sue uniche proprietà naturali, per la sua importanza scientifica ed  ambientale e come fonte di valore economico sostenibile. Dobbiamo agire per fermare le attività che rischiano di provocare ulteriore distruzione, in particolare quelle derivanti da investimenti che perseguono guadagni a breve termine, ma che minacciano il valore universale eccezionale del reef”. Un parere scontato e non diverso da quello del direttore generale del Wwf International, l’italiano Marco Lambertini, che ha sottolineato come “La Grande barriera corallina sia uno dei più ricchi habitat oceanici del pianeta, ospita specie in via di estinzione, è una risorsa economica importante per l’Australia, e un tesoro naturale per tutto il mondo. Trasformare la barriera corallina in una discarica è una scelta sbagliata per l’ambiente e non ha senso economico”.

La soluzione a questo punto sembra una sola: “Per proteggere la barriera corallina e per salvaguardare i 69.000 posti di lavoro che fornisce - ha concluso il direttore del Wwf Australia, Dermot O’Gorman - il governo australiano deve lavorare con lo Stato del Queensland per legiferare sul divieto di scarico dei dragaggi in tutta la Grande barriera corallina patrimonio dell’umanità”. Del resto secondo il Wwf sono molte le grandi banche che non vogliono più essere coinvolte nel finanziamento dei terminal carboniferi sul reef a causa delle preoccupazioni dell’opinione pubblica e dei loro azionisti per l’impatto ambientale e la ong appare decisa a fare pressione su tutte le imprese coinvolte costringendole a “Non investire o partecipare a qualsiasi progetto che potrebbe minacciare la Grande Barriera Corallina”. Adesso spetta al Governo australiano migliorare i suoi piani energetici e di gestione della barriera.

Alessandro Graziadei

Nessun commento:

Posta un commento