sabato 24 ottobre 2015

“Working poor” all’italiana: sono oltre 6 milioni

Mentre con il suo abituale #ciaogufi il nostro Premier non perde un’occasione per segnalare con raffiche di tweet che l’#italiariparte ed è #lavoltabuona, dal giugno 2014 al giugno 2015 altre 30mila persone sono entrate nel bacino dei deboli in Italia: complessivamente, adesso, si tratta di 9 milioni e 246 mila soggetti in difficoltà che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. È questo uno dei dati più interessanti e nel contempo drammatici che emerge da un’interessante analisi di Unimpresa sulla povertà in Italia presentata domenica 11 ottobre. Secondo lo studio, basato su dati Istat, ai “semplici” disoccupati vanno adesso aggiunte ampie fasce di lavoratori con condizioni precarie o economicamente deboli, che estendono la platea degli italiani che sono retribuiti in modo insufficienti o comunque non godono della stabilità necessaria per potersi dire al riparo dal rischio povertà.

“Ai disoccupati - ha spiegato il Centro studi di Unimpresa - che in Italia sono oltre 3 milioni, vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori in crisi. I cosiddetti working poor, appunto”. Si tratta di chi ha contratti di lavoro a tempo determinato, part time (740mila persone) o a orario pieno (1,66 milioni), dei lavoratori autonomi part time (802mila), dei collaboratori (349mila) e dei contratti a tempo indeterminato part time (2,5 milioni). Questo gruppo di persone occupate, ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute, ammonta complessivamente a 6,1 milioni di unità. “Il deterioramento del mercato del lavoro - ha precisato Unimpresa - non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Una situazione solo parzialmente migliorata dalle agevolazioni offerte dal Jobs Act. Di qui l’estendersi del bacino dei deboli”.

Una crescita dell’area di difficoltà che rappresenta un’ulteriore spia della grave situazione in cui versa l’economia italiana, dove anche le forme meno stabili di impiego e quelle retribuite meno pagano il conto della recessione, complice anche uno spostamento delle persone dalla fascia degli occupati deboli a quella dei disoccupati. Il dato sui 9,24 milioni di persone è relativo al secondo trimestre del 2015 e complessivamente risulta in aumento dello 0,3% rispetto al secondo trimestre del 2014, quando l’asticella si era fermata a 9,21 milioni di unità: in un anno quindi 30mila persone, secondo la ricerca, sono entrate nell’area di disagio sociale. Nel secondo trimestre dello scorso anno i disoccupati erano in totale 3,10 milioni: 1,59 milioni di ex occupati, 626mila ex inattivi e 884mila in cerca di prima occupazione. A giugno 2015 i disoccupati risultano complessivamente stabili, mentre salgono di 6mila unità (+1,0%) gli ex inattivi.

“Alle famiglie e alle imprese finora sono arrivati pochi fondi e mal distribuiti - ha spiegato il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi - Nelle settimane decisive per la legge di stabilità offriamo al Governo, ai partiti e alle istituzioni, i numeri e gli argomenti su cui ragionare per capire quanto sono profonde la crisi e la recessione nel nostro Paese”. Può apparire anomalo che un’associazione di imprese analizzi il fenomeno dell’occupazione, quasi “dalla parte del lavoratore”, ma per Longobardi “la persona e la famiglia sono centrali da sempre, perché riteniamo che siano il cuore dell’impresa. Bisogna poi considerare che l’enorme disagio sociale che abbiamo fotografato ha conseguenze enormi nel ciclo economico: più di 9 milioni di persone sono in difficoltà e questo vuol dire che spenderanno meno, tireranno la cinghia per cercare di arrivare a fine mese. Tutto ciò con effetti negativi sui consumi, quindi sulla produzione e sui conti delle imprese”. Secondo il presidente di Unimpresa “serve maggiore attenzione proprio alla famiglia da parte del Governo”. 

Certo non mancano alcuni segnali di miglioramento: i contratti a termine part time, per esempio,  sono aumentati del 6,2%, i contratti a termine full time sono cresciuti del +2,1%, i contratti a tempo indeterminato part time dell'1,3%. Scendono di conseguenza i contratti di collaborazione (-11,4%) e risultano in calo anche gli autonomi part time (-4,2%) spesso assorbiti grazie al Jobs Act. Tuttavia "anche se il 2015 si chiuderà con una crescita del Pil, c'è ancora molto da fare e la ripresa deve essere più consistente”, ha concluso Longobardi. Come a dire, per il Fil, la Felicità interna lorda, la strada è ancora lunga.

Alessandro Graziadei

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