Mi capita di pensare, sbagliando, di essere uno dall'impronta ecologica moderata. Tralasciamo per una volta il vestiario sostenibile e l’alimentazione vegetariana. Tengo il riscaldamento al minimo per gran parte dell’inverno e per lavoro mi muovo pochissimo in macchina. Come recitano le e-mail che spedisco e che mi arrivano da ogni parte del mondo “Risparmiando carta, rispetti l’ambiente. Stampa questa e-mail ed i suoi allegati solo se necessario”, e io stampo meno del necessario. Perfetto mi dico, se non sapessi che una sola di queste e-mail, da 1 mega, comporta l’emissione di circa 19 grammi di CO2 e che l’uso costante che faccio di Facebook, per lavoro e per diletto, non è da meno quanto ad impatto ambientale. Un’azienda con 100 dipendenti emette circa 13,6 tonnellate all’anno di CO2 solo per la posta elettronica. Come 13 viaggi andata e ritorno da Parigi a New York in aereo. Quanto inquina internet insomma? Tanto! Secondo una ricerca di qualche hanno fa, “se le infrastrutture digitali fossero uno stato sarebbero il sesto più grande consumatore di energia al mondo”, un dato in costante aumento trascinato dalla rapida crescita di utenti e di servizi, soprattutto streaming, come YouTube, Netflix o Spotify. Oggi oltre il 60% del traffico internet è usato per l'utilizzo in streaming, una percentuale che si stima possa arrivare al 76% entro il 2018.
Se ipoteticamente dipendesse solo dalle grandi aziende del virtuale come Facebook, Twitter, Google, Yahoo o Apple, la risposta sarebbe questa: la multinazionale della mela è la più green, il suo approvvigionamento energetico è stato dichiarato tutto proveniente da fonti rinnovabili. Anche Yahoo non se la cavava male, con il 73% di rinnovabili rilevato già nel 2014 da Greenpeace. A seguire, Facebook con il 49% e Google con il 46%. I dati di quest’anno, riferiti al 2015, non sono ancora usciti, ma non si prevedono variazioni eccetto per Facebook, che dalla sua pagina Green on Facebook ribadisce di voler raggiungere il 100% rinnovabile in tempi brevi. Per questo ha investito da tempo sui nuovi “green center” in Oregon, in North Carolina, Texas, Svezia e in Irlanda dove il gigante del social ne ha aperto uno il 25 gennaio in a Clonee, vicino Dublino. Sarà alimentato al 100% da energia eolica, come il centro aperto nel 2013 a Luleå in Svezia alimentato con energia idroelettrica, e partirà tra il 2017 e il 2018 grazie all’investimento di 200 milioni di euro. Non solo sarà energeticamente green, ma anche tecnologicamente all’avanguardia, secondo i dettami dell’Open Compute Project lanciato da Facebook nel 2011 e che prevede l’alleanza di aziende IT per la condivisione di sviluppatori e infrastrutture open source. Secondo Facebook, la condivisione di tecnologie per i data center potrebbe consentire di diminuire del 38% il consumo di energia e abbattere i costi di costruzione e gestione del 24%, migliorando le performance di sostenibilità che Facebook ha già cominciato a pubblicizzare condividendo pubblicamente le misurazioni di efficienza dei suoi centri operativi.
Per Greenpeace, lo scorso anno, la maglia grigia è andata a Twitter, che ha evitato di fornire tutti i dati e quella nera ad Amazon. Il gigante del cloud che aveva fatto qualche passo avanti, impegnandosi ad alimentare le sue operazioni con energia 100% rinnovabile e aveva annunciato piani di acquisto di energia eolica per oltre 100 MW si è fermato alle promesse. Per Greenpeace, che ogni anno realizza il report “Clicking Clean: A Guide to Building the Green Internet” Amazon manca ancora di chiarezza visto che continua ad espandersi in Virginia, dove la rete elettrica è alimentata appena per il 2% con fonti rinnovabili. Secondo l’ong l’attuale mix energetico di Amazon è composto solo per il 23% da fonti rinnovabili: “Amazon deve fornire più informazioni sull’impronta energetica dei suoi data center, chiarendo come intende raggiungere l’obiettivo 100% rinnovabili” ha detto Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. “La rapida espansione di Amazon in Virginia, uno stato fortemente dipendente dal carbone, dovrebbe preoccupare i suoi clienti. La stessa Greenpeace Italia, che aveva mantenuto un contratto con Amazon Web Services fidandosi delle promesse di cambiamento fatte dal colosso americano, ora sta valutando di cambiare fornitore. E altrettanto sarebbe auspicabile che facessero giganti del web come Netflix o Pinterest, totalmente dipendenti da Amazon per le loro attività online”.
La strada non è facile e per di più non basta che le aziende IT vogliano passare alle rinnovabili. Bisogna che siano messe nelle condizioni di farlo. Per alimentare internet, è vero che le compagnie hi-tech si stanno orientando verso le fonti rinnovabili, “Ma si scontrano con la resistenza di alcuni amministratori pubblici e di alcune compagnie che operano in regime di monopolio in luoghi chiave per questo settore, come Taiwan, o la Virginia e la North Carolina negli Stati Uniti, e che si rifiutano di passare a fonti energetiche come il solare e l’eolico. Affinché internet diventi meno inquinante, le grandi compagnie devono coalizzarsi per spingere le utilities e le istituzioni a fornire loro energia 100 per cento rinnovabile” ha spiegato Greenpeace. Questa è forse la maggiore delle criticità secondo gli analisti di Greenpeace. Il rischio è, in nome dell’ecologia, quello di dover tornare a spedirci delle lettere e forse, addirittura, ad avere amici non solo virtuali. Sia mai…
Alessandro Graziadei
Nessun commento:
Posta un commento