Il 21 e 22 aprile, a Trento, Fondazione Fontana Onlus, in collaborazione con Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, Centro per la Formazione alla Solidarietà internazionale e Università di Trento, propone una riflessione su Guerre, conflitti e diritto alla pace dal titolo Partiti al mondo come soldati che si concluderà al Teatro S. Marco il 22 sera con lo spettacolo Parole Note Live dove Giancarlo Cattaneo, autore e speaker radiofonico, interpreta testi, poesie e canzoni legate al tema del conflitto e della pace, mixate per l'occasione dal dj Maurizio Rossato (Radio Deejay) e accompagnate dal giornalista e poeta Mario De Santis. Anche per questo, ad Unimondo, media partner dell'evento, fare una riflessione sul rapporto tra musica e pace sembrava importante, visto che la musica, quella d’autore e soprattutto il rock, è diventata negli anni una delle componenti più espressive ed efficaci dei movimenti pacifisti. In questa analisi del tutto personale e sicuramente non esaustiva della musica “pacifica” le prime parole note che mi sono tornate in mente sono state quelle di Borsi Vian con Le déserteur che nel 1954 scriveva “Ma io non sono qui egregio presidente per ammazzar la gente più o meno come me” mentre due anni dopo in USA Pete Seeger si chiedeva “Dove sono finiti i fiori? Li hanno colti tutti le ragazze! Dove sono finite le ragazze? Hanno preso tutte marito! Dove sono finiti gli uomini? Sono tutti soldati!” in Where have all the flowers gone. Questa canzone folk antimilitarista, conosciuta principalmente per le versioni che ne hanno fatto Marlene Dietrich (che nel 1962 la cantò in lingua francese, Qui peut dire où vont les fleurs?, ad un concerto dell’Unicef), e successivamente Joan Baez, Peter, Paul and Mary, The Mamas & the Papas e The Kingston Trio è diventata famosa solo pochi anni prima che la musica rock facesse da megafono ad una generazione idealista e antimilitarista segnata dal coinvolgimento americano nel conflitto in Vietnam. Chi aveva cantato e ascoltato Seeger negli anni '50, nei decenni successivi si ritrovò in artisti come Crosby, Stills, Nash & Young, Jim Morrison e i suoi The Doors, Janis Joplin, Bob Dylan e suo malgrado anche da Jimi Hendrix, solo per citarne alcuni.
Se Hendrix da ex soldato non protestò mai ufficialmente contro la guerra, e anzi simpatizzava con una visione anticomunista, le sue canzoni sono state inni del movimento pacifista, come Machine Gun, dedicata ai combattenti e ben presto diventata un manifesto contro la violenza del conflitto in Vietnam. Che gli piacesse o no Hendrix ha cantato anche per una generazione e un’idea, ma sono state probabilmente le canzoni di Dylan ad accompagnare il movimento pacifista e a svegliare molte coscienze. Blowing in Wind incarna perfettamente il sentimento di Dylan contro la guerra. La canzone era così vicina alla causa pacifista, che Joan Baez e Judy Collins la registrarono e la interpretarono durante una marcia di protesta nel 1965 proprio contro la guerra del Vietnam. Una sorte simile è toccata a The Times they are A-Changin che allude alla necessità di un nuovo modo di fare politica e avvertiva il governo che il “cambiamento era imminente” e a Masters of War dove ai produttori di armi diceva, aspettandone la morte, “Voglio solo che voi sappiate che sono in grado di vedere attraverso le vostre maschere”. Oltre a Dylan però ci sono molte canzoni particolarmente rappresentative di quel periodo, tutte apertamente contro la guerra: Eve of Destruction di Barry McGuire, Fortunate Son dei Creedence Clearwater Revival, Ball of Confusion dei The Temptations, Ohio di Crosby Stills Nash & Young e War di Edwin Starr.
E John Lennon direte voi? John Lennon merita forse un paragrafo a sé soprattutto dopo l’incontro con Yoko Ono, quando Lennon cambia radicalmente modo di vedere il mondo che lo circonda. Da ricordare sono i loro Bed-In di protesta contro la guerra in Vietnam durante uno dei quali il 1 giugno 1969 fu registrato il video della canzone “Give Peace a Chance” canzone simbolo del movimento pacifista come il singolo del 1971 “Power to the Pepole”, brano che farà cantare e manifestare la sinistra americana e milioni di pacifisti. Ma il vero capolavoro di Lennon arriva sempre nel 1971, quando viene pubblicata “Imagine”, che sbanca in tutto il mondo e diventa un inno internazionale per il pacifismo. Non solo per par condicio, non possiamo non ricordarci che “la guerra, bambini, è lontana solo uno sparo” come cantano i Rolling Stones in “Gimme shelter”, che compare nel disco Let it bleed del 1969 e racconta la paura di chi si sente indifeso e cerca un rifugio, in un’epoca di guerre e tensioni come fu quella che ha fatto da sfondo alla composizione di molti di questi pezzi.
C'è da storcere il naso lo so! All’appello mancano mi rendo conto canzoni essenziali come furono negli anni ‘80 Born in the USA di Bruce Springesteen, ancora una canzone sulla guerra in Vietnam che il presidente Reagan voleva per la sua campagna elettorale, ma che il Boss rifiutò di concedere, anche perché come in molte guerre, “Loro sono ancora là, lui non c’è più” e la retorica politica per il Boss non riempie il vuoto di chi non è tornato vivo. E che dire di Sunday bloody Sunday degli U2 che racconta con angoscia quante volte ci siamo detti “Non posso credere a queste notizie oggi” e in questo caso erano i fatti di Derry nel Nord Irlanda, quando domenica 30 gennaio 1972 un plotone di soldati britannici sparò su una folla di manifestanti uccidendone tredici.
L’Italia non è stata da meno e se il rock copiava e traduceva le hit di oltre oceano, soprattutto negli anni '70 autori come Claudio Lolli dedicavano Al milite ignoto, che “dopo averci lasciato la pelle, c’hai rimesso per sempre anche il nome”, una celebrazione della follia della guerra e della sua memoria strumentale; Francesco Guccini ricordava Auschwitz; Fabrizio De André invece metteva in musica la storia del massacro di indiani americani sul fiume Sand Creek del 1864, raccontava La guerra di Piero o invitava al Girotondo dove “La guerra è dappertutto, marcondiro’ndera, la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?”. Intanto qualche anno dopo Ivano Fossati traduceva Vian in una magnifica interpretazione de Il Disertore e Roberto Vecchioni nel 1977 ci faceva andare fino a Samarcanda dove “C’era una gran festa nella capitale perché la guerra era finita. I soldati erano tornati tutti a casa ed avevano gettato le divise”. E al professor Vecchioni che i suoi soldati li aveva portati tutti a casa, lascio, come solo lui sa fare, raccontarci anche quelli "non ancora tornati" di Generale scritta e cantata per la prima volta nel 1978 da Francesco De Gregori. Per Vecchioni, Generale, “di là del suo lampante antimilitarismo è una gran canzone di pace. E gran canzone è già nella fusione inscindibile di musica e testo, con quell’incalzare battuto che non lascia un attimo di respiro, con quell'accavallarsi d'immagini che sfumano una nell’altra, con il riff, il solito riff trascinante in cui è come se scoppiasse, parlasse, si facesse sentire tutta la gioia di chi torna a casa, alla vita vera, dopo mesi di finta guerra. […] Raramente tanta poesia si agita in una sola canzone, ma è poesia in musica, distinta, indipendente, universale, di tutti e per sempre". Come sarebbe bello rivedere a casa, in abiti civili, tutti quelli “Partiti al mondo come soldati e non ancora tornati”!
Alessandro Graziadei
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