C’è un detto dei nativi americani che paragona gli alberi alle colonne del mondo e per questo ci ricorda che “quando gli ultimi alberi saranno stati tagliati, il cielo cadrà sopra di noi”. Una metafora che dovremmo cominciare a prendere seriamente in considerazione, perché è ormai evidente che nel mondo la domanda di prodotti in legno e carta sta raggiungendo una crescita tale da farci pensare che forse non rimane più tutto questo legno. Secondo una recente indagine del WWF, Living Forest Report, “la domanda globale di legname potrebbe triplicare entro il 2050”, una previsione che porta a pensare che ai paesi leader nelle esportazioni mondiali di legname restano pochi anni prima di esaurire le loro riserve di alberi. Per il WWF “Se non saranno attuate immediatamente misure di protezione al Brasile restano solo 16 anni di foreste da legname, al Sudafrica 7 anni, alla Colombia 12 anni, al Messico 9 anni, alla Nigeria 11 anni, alla Thailandia 9 anni e al Pakistan 10 anni”.
A quanto pare “Le foreste primarie sono in via di esaurimento a un ritmo allarmante, gli esempi più estremi, come la Nigeria, che ha perduto il 99 per cento delle foreste primarie e il Vietnam, che ne ha perduto l’80 per cento in soli 25 anni, danno il quadro di una situazione drammatica” ha spiegato il WWF. Questo ridimensionamento del nostro patrimonio forestale ha un enorme impatto sulla biodiversità e su altri servizi essenziali degli ecosistemi forestali, ma non è da imputare solo alla richiesta del mercato di prodotti in legno e carta. Oggi la deforestazione è trainata da una serie di fattori non sempre collegati, ma che agiscono con gli stessi effetti devastanti sulle colonne verdi del mondo a cominciare dall’agricoltura e dall’allevamento che, con la popolazione mondiale che si prepara a superare i 9 miliardi entro il 2050, sono due settori che nei prossimi anni cercheranno di rispondere alla crescente domanda alimentare rubando sempre più spazio alle foreste. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico, responsabile del ridimensionamento dei raccolti in molti paesi, non potrà che aumentare ulteriormente la pressione sulle foreste nella speranza di compensare con l’agricoltura estensiva i danni provocati dal clima.
Quello ricostruito dal WWF è un quadro allarmante che dovrebbe svegliare dal torpore molti Governi e non lasciare indifferenti le aziende che, secondo la ong, “devono investire di più nella gestione sostenibile delle foreste, se si vuole garantire l’accesso al legname anche nel prossimo futuro”. La Dichiarazione di New York sulle foreste firmata nel 2014 ha fissato l’obiettivo di dimezzare la perdita delle foreste naturali in tutto il mondo entro il 2020 e di eliminarla del tutto entro il 2030. La dichiarazione ha anche impegnato il settore privato ad eliminare la deforestazione causata dal commercio di prodotti agricoli entro il 2020, ma per ora le compagnie multinazionali che utilizzano materie prime come olio di palma e di soia rischiano di venir meno agli impegni assunti. È quanto emerge dall’analisi delle principali 500 aziende sul mercato mondiale, curata dal gruppo Canopy e secondo il quale “i prodotti agricoli, l’allevamento e la produzione di carta sono ancora responsabili per oltre due terzi della distruzione delle foreste tropicali in tutto il mondo”. I risultati dell’analisi di Canopy racconta che il 57 per cento delle aziende monitorate “ha adottato politiche deboli o non ha adottato alcuna politica volta a frenare la deforestazione nella propria produzione” e che negli ultimi tre anni, “il numero di aziende che hanno adottato politiche volte ad eliminare la deforestazione è molto basso”, appena il 5 per cento.
Per questo “C’è ancora molto da fare per accelerare l’attuazione degli impegni e l’adozione di robuste politiche a salvaguarda delle foreste”, ha spiegato Tom Bregman, Project Manager di Canopy aggiungendo che “Le politiche sono spesso insufficienti quando non vanno addirittura in direzione opposta a quella della conservazione". Qualche esempio? Per il network internazionale Salva le Foreste in tutto il mondo alberi "alieni" vengono oggi piantati in grandi piantagioni commerciali per produrre materie prime industriali, causando danni irreparabili al suolo, all’ambiente e alle comunità locali. “Gli eucalipti vengono abbattuti in Australia, da cui provengono, e piantati a milioni come eserciti a ranghi serrati in Sudamerica e Sudafrica. L’africana acacia viene invece estirpata dalle proprie foreste native e viene mandata a distruggere e invadere le foreste pluviali del sud-est asiatico per produrre carta. L’americano douglas occupa il posto di piante autoctone in Scandinavia, in Europa centrale e perfino nelle nostre aree urbanizzate”. Il risultato è che in un disegno sempre più commerciale e sempre meno naturale piante “aliene” strappate al proprio ambiente finiscono per sostituire quelle di un’altra regione con effetti imprevedibili sulla biodiversità locale. La colpa chiaramente non è degli alberi, “che sono essenziali nell’ambiente in cui sono nati e cresciuti, la colpa è di chi li pianta nel posto sbagliato, per profitto o per ignoranza” ha concluso Salva le Foreste.
Per ora quindi possiamo stare tranquilli, sia a livello globale che locale, pericoloso è ancora “il più originale aggettivo mai attribuito ad una pianta in tutta la storia umana” ha detto ironicamente lo scrittore Erri De Luca parlando della decisione di abbattere in settembre alcuni pini ritenuti appunto “pericolosi” dal Comune di Pescara (dopo una perizia giudicata approssimativa e inadeguata da più di un esperto). “L’albero è una minaccia urbana e interurbana. Le sue pigne cadono senza paracadute, i suoi aghi esauriscono gli sforzi della nettezza urbana e non sono provvisti di sistema anti sdrucciolo, le sue radici sfruttano sottosuolo pubblico comunale. L'albero sporge in disordine i suoi rami, tutto proteso verso il cielo se ne infischia di voi e incombe strafottente sul vostro traffico. L'albero - ha concluso De Luca - sfrutta i vostri gas di scarico per produrre l'asfissiante ossigeno, a stento moderato dall'azoto”. E quando il cielo cadrà sopra di noi, la colpa sapremo a chi darla...
Alessandro Graziadei
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