Fino ad oggi le comunità native delle foreste dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia hanno visto le loro terre ancestrali degradate e distrutte da industrie estrattive, monocolture agricole e allevamenti intensivi, non di rado con la benedizione dei governi locali e nazionali. Finalmente i popoli indigeni, durante il Global Climate Action Summit di San Francisco dello scorso mese, sono stati riconosciuti a livello internazionale come interlocutori privilegiati portatori di una cultura chiave nelle strategie di conservazione del Pianeta, in quanto da sempre esperti della gestione sostenibile delle foreste, indispensabili argini al cambiamento climatico. La deforestazione, infatti, è responsabile di circa un quinto delle emissioni di gas serra ed intensifica il riscaldamento globale in due modi: riduce la capacità della Terra di assorbire il biossido di carbonio e rilascia enormi quantità di gas che riscaldano l’atmosfera. Per questo, come ha spiegato durante il Summit Mary Nichols, presidente del Consiglio delle risorse aeree della California, “La partnership tra governi e leader indigeni segna un cambio di paradigma nell’impegno tribale e indigeno”. “Noi viviamo e dipendiamo dalle nostre foreste, le gestiamo e lo abbiamo fatto per secoli - hanno detto ileader indigeni - Questo riconoscimento ci fornisce una posizione più autorevole per negoziare con i governi la tutela dei nostri habitat”.
Ma la tutela del patrimonio forestale non è un problema solo extra europeo. Negli scorsi mesi, non a caso proprio grazie all’attivismo dell’associazione giovanile indigena Suoma Sámi Nuorat e il sostegno di Greenpeace e Suohpanterror Artivist, molti rappresentanti del popolo Sámi hanno manifestato contro lo sfruttamento industriale della “Grande Foresta Settentrionale” nel territorio Sámi della Finlandia. “Siamo qui per difendere il nostro presente e il nostro futuro e qui tracciamo la nostra linea rossa. Siamo i guardiani della nostra terra, ci prenderemo cura di essa in modo sostenibile, come abbiamo fatto per migliaia di anni. Questo è un messaggio al Governo finlandese: non si attraversa la linea rossa senza il nostro consenso”, ha affermato Jenni Laiti, attivista per i diritti Sámi in Finlandia. Per il network internazionale Salva le Foreste “La crescente domanda di cellulosa per la fabbricazione di carta e imballaggi e la corsa allo sfruttamento dell’Artico minacciano da anni le foreste essenziali all’allevamento tradizionale delle renne, di cui vivono da secoli gli indigeni Sámi. Adesso la ferrovia industriale progettata dal governo finlandese, non solo metterebbe in pericolo le antiche foreste della patria Sámi, ma aumenterebbe ulteriormente lo sfruttamento dell’Artico”.
Il progetto non è nuovo, ma ora il Governo finlandese sembra voler accelerare la sua corsa all’Artico costruendo con la nuova linea ferroviaria un collegamento che sulla carta dovrebbe unire il Mar Glaciale Artico, sia alla città finlandese di Rovaniemi, (la mitica casa di Babbo Natale) in Lapponia, sia al porto norvegese di Kirkenes, sul Mare di Barents. Si parla di sfruttamento minerario, di giacimenti di gas naturale, ma soprattutto dello smistamento dei container in arrivo dalla Cina e dalla Corea lungo una nuova via marittima aperta proprio dal cambiamento climatico attraverso lo scioglimento dei ghiacci. Ma i Sámi e la loro foresta non sono gli unici in pericolo in Europa. Oltre alle ancora incerte sorti della foresta polacca di Białowieża, in Ucraina le magnifiche foreste dei Carpazi sono minacciate dall’idea di alcuni politici locali di cedere alle proposte di una cordata di investitori e creare un’immensa stazione sciistica nel massiccio di Svydovets con 60 hotel, 120 ristoranti, 33 impianti di risalita, 230 km di piste da sci e persino un aerodromo, cancellando così 1.500 ettari di foreste.
Svydovets è una delle zone montane più belle del paese, ed è nota per le meravigliose foreste di abeti e faggi, e una grande ricchezza di fauna e flora che si sviluppa attorno a tre grandi laghi naturali. Tra queste montagne si trova la sorgente del fiume Tisza, uno dei fiumi più importanti della regione. Attivisti locali, esperti ambientali e scienziati membri del Free Svydovets Group da mesi si oppongono al progetto della stazione sciistica e hanno fatto notare come, forse non per caso, l’Ucraina sia il principale fornitore di legname ad alto rischio dell’Unione Europea. L'Unione, infatti, è di gran lunga la più grande destinazione per le esportazioni di legname ucraino e secondo il recente rapporto Complici di corruzione pubblicato dalla ong britannica Earthsight, nel 2017 in Ucraina almeno il 40% di questo legname è stato abbattuto o commercializzato illegalmente, in un sistema caratterizzato da una dilagante corruzione. Come spesso accade in nome del profitto ad ogni costo, anche in Europa si sacrificano enormi patrimoni boschivi, ma non sempre lo si fa attraverso progetti eclatanti di deforestazione. A volte basta l'assenza di risorse per la tutela, come in Italia, dove ogni anno i suoi 23 parchi nazionali beneficiato di solo 81 milioni di euro: 1 euro e 35 centesimi ad abitante, meno di un cappuccino.
Lo ha spiegato l’11 settembre il WWF al Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, attraverso un’indagine a cui hanno partecipato tutti i 23 Parchi Nazionali attualmente operativi e 26 aree marine protette sulle 29 istituite. Dallo studio emerge che il lungo cammino cominciato con la legge quadro sulle aree protette (la 394/91) è ancora ben lontano dall’essere completato: “I Parchi nazionali non solo sono a corto di fondi, ma in carenza anche di personale specializzato. Nell’83% dei casi non hanno geologi e veterinari, nel 20% mancano di naturalisti. Più di metà dei parchi nazionali (15 su 23) non hanno nemmeno un presidente o direttore. Solo nel 30% dei casi è stato approvato in via definitiva il Piano per il Parco, mentre meno del 10% degli enti di gestione si sono dotati di un Regolamento”. Le spese per le attività di monitoraggio e per i progetti di conservazione, infine, risultano inferiori al 10% del budget per la quasi totalità dei Parchi e in 9 di essi sono inferiori al 5%. Una situazione che è addirittura peggiore quando si parla di aree marine protette. “Quello dei parchi nazionali e delle aree marine protette è un sistema che fino ad oggi ha consentito di proteggere una parte fondamentale del nostro capitale naturale, ma che adesso non riesce a funzionare" ha affermato la presidente del WWF Italia Donatella Bianchi. A livello italiano ed europeo è quindi forse necessario tornare a lavorare per organizzare al meglio un sistema che protegga dalle speculazioni in modo rigoroso il nostro capitale naturale, a cominciare da quello forestale.
Alessandro Graziadei
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