Legambiente negli scorsi mesi ha diffuso i dati sui rifiuti galleggianti raccolti da Goletta Verde e frutto dei suoi monitoraggi lungo le coste italiane: “Da luglio ad agosto, per oltre 296 km di navigazione, l’equipaggio tecnico ha registrato una media di 230 rifiuti per km2. La percentuale più alta di rifiuti marini si registra nel Tirreno (51,5%) a cui segue l’Adriatico (40,9%) e lo Ionio (7,6%). Oltre il 99% dei rifiuti analizzati è costituito da materiali plastici. I rifiuti più comuni sono pezzi di plastica non identificabili (72%), seguiti da teli e fogli in plastica (7,4%), buste di plastica (6,5%), cassette in polistirolo (5,9%), bottiglie di plastica (2,1%), reti e fili (2,1%), agglomerati di materiale plastico ed organico (1,5%) ed infine tappi e coperchi di plastica (0,9%)”. Dati preoccupanti, che confermano i risultati dei recenti monitoraggi sui rifiuti plastici galleggianti effettuati anche dall’Università di Siena nel Santuario Pelagos, area marina protetta fra le coste francesi e italiane, in cui la media del numero di rifiuti è risultata essere di 194 per km2. Dati che dimostrano inequivocabilmente che la plastica in mare si conferma un nemico pervasivo in tutto il Mediterraneo e che il nuovo progetto COastal Management and MOnitoring Network for tackling marine litter in Mediterranean sea (COMMON), finanziato nell’ambito del programma ENI CBC MED con 2.2 milioni di euro, proverà adesso a contrastare.
Il progetto COMMON si basa su una rete di collaborazioni fra Italia, Tunisia e Libano che punta al coordinamento dei centri di recupero di tartarughe marine per favorire la riduzione dei rifiuti marini. Per farlo si impegneranno per COMMON oltre a Legambiente e l’Università di Siena, anche l’Istituto Nazionale di Scienze e Tecnologie del Mare di Tunisi, l’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari, l’ong libanese Amwaj of the Environment, l’Università di Sousse e la Riserva Naturale di Tyre, in Libano. L’obiettivo comune è “la riduzione del marine litter utilizzando i principi della Gestione Integrata delle Zone Costiere (ICZM) in 5 aree pilota, due in Italia (Maremma e Puglia), due in Tunisia (Isole Kuriate e Monastir) e una in Libano (riserva naturale di Tyre)". Pianificando l’uso delle risorse e utilizzando un approccio partecipativo che coinvolga le comunità locali, il progetto ha l’ambizione di testare un modello potenzialmente trasferibile a tutto il bacino mediterraneo”. L’intenzione del progetto è quella di non limitarsi al trasferimento di informazioni per migliorare la consapevolezza del fenomeno dei rifiuti marini, ma provare a sviluppare attività di formazione indirizzate alle autorità locali e regionali, alle Aree Marine Protette, ai centri di recupero delle tartarughe marine e ai cittadini in generale, attivando campagne di sensibilizzazione e progetti di networking per lo smaltimento dei rifiuti marini con l’approccio ICZM.
Per la vicedirettrice di Legambiente, Serena Carpentieri, “Il problema dei rifiuti in mare rappresenta una delle sfide più complesse del Mediterraneo. Non parliamo solo di un problema ambientale legato agli enormi danni alla biodiversità e all’ecosistema tutto, ma anche di un problema economico, che ha ripercussioni sulle attività produttive, dal turismo alla pesca. Per affrontare questa emergenza è necessario, da un lato, acquisire nuove conoscenze sul fenomeno e, dall’altro, sostenere processi decisionali di prevenzione e gestione sulla terraferma. Per questo, il progetto COMMON si pone l’obiettivo di studiare modelli di governance efficaci in alcune aree pilota, il primo passo per fronteggiare il problema a livello Mediterraneo”. La maggior parte delle ricerche scientifiche condotte finora, infatti, sono parziali e documentano l’impatto del fenomeno solo nel Mediterraneo occidentale e centrale, mentre sono da sempre meno controllate le coste del Mediterraneo meridionale ed orientale. Per Legambiente, data la natura degli ambienti marini, non isolati dal contesto circostante, i problemi legati al mare possono essere affrontati solo a livello comunitario e multi-istituzionale, per questo “Serve una risposta collettiva come quella di COMMON per affrontare il problema dei rifiuti in mare attraverso un approccio integrato, in cui i diversi attori politici e della società civile possano lavorare insieme e in modo coordinato”.
Sulla scorta della direttiva europea per la riduzione della plastica monouso e la normativa sul limite di utilizzo delle buste di plastica, il progetto vuole anche incoraggiare e promuovere il bando dei sacchetti in plastica in tutto il bacino Mediterraneo. Questo sarebbe un passo decisivo per contenere il problema del marine litter che nel Mare nostrum è sempre più attuale. La Tunisia, per esempio, anche se non è una grande produttrice di plastica, na ha un consumo altissimo: oltre 25 mila tonnellate sono state utilizzate nel 2016, con un riciclaggio stimato fermo al 4% del totale. In Libano, invece, la produzione di rifiuti totali è stimata a 481 kg pro capite l’anno, dei quali il 55% viene scaricato in cassonetti indifferenziati e solo il 18% dei rifiuti solidi urbani viene trattato mediante riciclaggio e compostaggio. Come se non bastasse il 90% dei rifiuti industriali e il 30% dei rifiuti ospedalieri vengono smaltiti insieme ai rifiuti domestici, di cui il 4% è classificato come pericoloso e in generale l’85% dei rifiuti solidi prodotti in Libano viene smaltito in discarica senza alcun trattamento o cernita. Studi recenti hanno dimostrato che l’80% dei rifiuti marini in Libano è composto da plastica, con 124 mila kg al giorno smaltiti inadeguatamente.
Le conseguenze sono immaginabili. Per Maria Cristina Fossi, docente dell’università di Siena, “L’ingestione di microplastiche è stata documentata per 76 specie mediterranee tra cui pesci e tartarughe marine e nonostante i recenti progressi scientifici c’è bisogno di colmare le carenze attuali sulla conoscenza del tema. La crescente urgenza e complessità delle sfide sociali interconnesse, come il marine litter, richiede che vengano affrontate attraverso il rafforzamento dell’interfaccia scienza, politica e società per fornire le condizioni necessarie a tradurre le conoscenze basate sulla ricerca in azioni efficaci. Inoltre, l’impatto dei rifiuti ingeriti dagli organismi marini dovrebbe essere valutato attraverso un monitoraggio integrato, sia sulle specie commerciali, che in quelle protette”. Un recente report tunisino ha evidenziato per la prima volta “La presenza e l’accumulo di microplastiche nei tratti gastrointestinali e nei muscoli del pesce Serranus scriba, una tra le specie di pesce più consumata in Tunisia. I dati mostrano la presenza di un alto livello di microplastiche in tutti i campioni di pesce esaminati”. Di fatto i rifiuti plastici non solo intrappolano, feriscono e offrono trasporto alle specie aliene per raggiungere ambienti estranei all’ambiente naturale, ma rimangono per decenni nell’ambiente e si frammentano in pezzi sempre più piccoli, impossibili da rimuovere e da individuare. Queste microplastiche possono facilmente entrare nella catena alimentare e contaminarla, con rischi per la nostra salute ancora non quantificabili. Quindi come on COMMON, non c’è tempo da perdere!
Alessandro Graziadei
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