Lo scorso anno è finito con Venezia, Matera, Genova e una buona parte dell'Italia sommersa dall’acqua, alluvioni che hanno dimostrano come i cambiamenti climatici siano oggi una triste e quotidiana realtà che incide sul fragile sistema idrogeologico italiano. Una prima risposta all’emergenza si potrebbe trovare negli alberi. Secondo un’indagine del 2015 apparsa sulla prestigiosa rivista scientifica Nature e ripresa recentemente dal WWF il numero di alberi sulla Terra è stimato attorno ai 3.000 miliardi. Negli ultimi quarant’anni le foreste europee sono aumentate del 43%, raggiungendo in Italia quota 10,9 milioni di ettari, una crescita del 72,6% rispetto al 1936 e del 4,9% rispetto al 2015, che ha portato oggi gli alberi a coprire il 36,4% della superficie del Belpaese. Eppure negli ultimi 12.000 anni nel Mondo il numero di piante è crollato del 46% e abbiamo perso 940mila chilometri quadrati di foreste, un territorio vasto come quello dell’intero Egitto, che ha portato metà delle specie arboree europee vicino al rischio estinzione. “Di 454 specie arboree selvatiche censite nel Vecchio continente – ha recentemente spiegato Cesare Avesani Zaborra, direttore scientifico del Parco Natura Viva – sono 181 quelle classificate come a rischio estinzione, delle quali 162 vivono solo sul suolo europeo e in nessun’altra parte del mondo. A queste se ne aggiungono 57 alle quali non è stato possibile assegnare uno stato di conservazione e che porterebbero oltre il 50% il numero dei colossi vegetali in pericolo”.
Come se non bastasse le specie aliene che abbiamo contribuito a diffondere hanno attaccato a vario titolo il 38% delle specie autoctone, superando la deforestazione e il consumo di suolo nella determinazione delle cause di scomparsa. È il caso, ad esempio, dell’Ippocastano, che viveva in Europa ben prima dell’ultima era glaciale ed è da sempre diffuso in tutta Italia fino ai 1200 metri. Oggi questa specie sopravvive con una popolazione totale inferiore ai 10mila esemplari, assediata in tutto l’areale dalla Cameraria ohridella, un lepidottero di provenienza sconosciuta che scava profonde gallerie nella lamina fogliare, provocando il disseccamento dell’intera pianta. Una sorte simile a quella del Frassino maggiore, anch’esso diffuso in tutta la nostra Penisola, ma da qualche decennio aggredito da un fungo che da solo causa la mortalità del 75% degli esemplari di questo albero, un po’ come ha fatto la Xylella asiatica, che dal 2013 fa strage di ulivi non solo in Puglia. “L’azione degli alieni – ha spiegato Zaborra – non è solo diretta, ma si manifesta anche per via indiretta: la diffusione di specie arboree ornamentali alle quali le nostre soccombono e la diffusione di animali esotici tanto nelle aree forestali che in quelle urbane, amplificano quella che è diventata una vera e propria piaga”. Come accade per gli animali, anche per gli alberi oggi è sempre più necessario “Mitigare l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi”, sia quello indiretto, che quello diretto, visto che ancora oggi vengono tagliati circa 15 miliardi di alberi all’anno.
Eppure gli alberi sono un patrimonio inestimabile non solo per la nostra biodiversità, ma anche per i conti pubblici, la lotta contro l’inquinamento e il cambiamento climatico. Se l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha fatto recentemente presente che i 33 paesi membri dell’Agenzia hanno subito nel periodo 1980-2017 perdite legate ai cambiamenti climatici estremi che ammontano approssimativamente a 453 miliardi di euro, “con una media annuale di perdita economica passata dai 7,4 miliardi di euro nel periodo 1980 - 1989 ai circa 13 miliardi di euro nel periodo 2010 - 2017”, in questi anni sono state effettuate diverse interessanti ricerche e analisi sul ruolo degli alberi per il benessere umano ed economico. Rispetto alle grandi sfide dello sviluppo urbano contemporaneo, infatti, gli alberi possono costituire un elemento di notevole sviluppo per il futuro delle città, dove ormai vive oltre la metà della popolazione mondiale e dove l'inquinamento è diffuso. Secondo il WWF “Per rendere più resilienti i nostri sistemi urbani, per disporre di ruoli e funzioni che gli alberi ci offrono quotidianamente e gratuitamente, per garantirci un migliore benessere psico-fisico dobbiamo far si che nelle aree urbane si attui un importante opera di forestazione”. Grazie al processo di fotosintesi gli alberi hanno un ruolo importante in alcuni cicli biogeochimici fondamentali per la vita sulla Terra, come quelli dell’ossigeno e del carbonio: "con la loro semplice esistenza costituiscono importanti accumulatori del diossido di carbonio (CO2) che si trova nell’atmosfera e il cui incremento dovuto all’azione umana sta creando il cambiamento climatico attuale”. Si tratta pertanto di alleati importantissimi nella lotta per la sopravvivenza della vita umana, soprattutto per quanto riguarda le politiche di adattamento, che sono complementari e non sostitutive rispetto a quelle che mirano all’ineludibile obiettivo della decarbonizzazione delle nostre economie.
Gli alberi, però, non sono tutti uguali, e alcune specie analizzate dall’Istituto di biometeorologia del Cnr (Ibimet) possono aiutare a mitigare il riscaldamento climatico e inquinamento molto meglio di altre. Non sarebbe male, infatti, far sapere alla politica che l’Olmo comune (Ulmus minor), il Tiglio nostrano (Tilia plathyphyllos) e il Frassino comune, per esempio, hanno un’ alta capacità di accumulare CO2 atmosferica (2,8 tonnellate nell’arco di 20 anni, così distribuiti 103 kg/ annui per i primi 5 anni e 155 Kg/annui per i successivi 15). Analogamente il Cerro (Quercus cerris), ha un’altissima capacità di accumulare CO2 atmosferica (3,1 tonnellata nell’arco di 20 anni, 102 kg/annui per i primi 5 anni e 170 Kg/annui per i successivi 15 anni) e al pari di Olmo, Tiglio e Frassino ha un’alta capacità potenziale di assorbire anche gli inquinati gassosi e un medio potenziale di cattura delle polveri sottili. Meglio di loro sanno fare solo il Ginko (Ginkgo biloba) o il Bagolaro (Celtis australis), che hanno una capacità alta di accumulare CO2 (2,8 tonnellate nell’arco di 20 anni, 103 kg/annui per i primi 5 anni e 155 kg/annui per i successivi 15 anni), accompagnata anche da un’alta capacità potenziale di assorbire gli inquinanti gassosi e un alto potenziale di cattura delle polveri sottili. Alla luce di questi dati c’è da chiedersi come mai, al netto dei problemi di sicurezza della viabilità e dell'incolumità di pedoni e ciclisti, la politica sia ancora la protagonista di un processo di deforestazione urbana (e non) che sembra totalmente suicida.
Alessandro Graziadei
Nessun commento:
Posta un commento