Qualche anno fa Oliver Burkeman sul Guardian ha scritto che “Se una cricca di psicologi malvagi si fosse radunata in una base sottomarina segreta per ordire una crisi che l’umanità sarebbe stata irreparabilmente impreparata a fronteggiare, non avrebbe potuto escogitare di meglio dei cambiamenti climatici”. Questo perché gli innumerevoli problemi ambientali, sociali ed economici che conseguono al rapido cambiamento climatico contemporaneo danno la sensazione, almeno alla politica, di essere piuttosto astratte e confinate a qualche latitudine “altra” dalla nostra. Analogamente potremmo dire che questa prevedibile pandemia, nonostante i ripetuti allarmi internazionali verso virus spesso letali che da anni passano dagli animali all’uomo, non è mai stata considerata una seria minaccia da chi ci governa, almeno fino a quando non ha presentato il conto: migliaia di morti, milioni di contagi e miliardi di danni. Se negli ultimi decenni c’è andata “bene” è stato perché a morire e a pagarne i costi erano “gli altri”, con malattie molto pericolose come l’Ebola, l’influenza aviaria, la febbre della valle del Rift, il virus del Nilo occidentale o il virus Zika, zoonosi che sono rimaste per lo più confinate nei Paesi in via di sviluppo. Come se ne esce? Con una maggior consapevolezza di eletti ed elettori che non possono più ignorare che la crisi da coronavirus e quella climatica hanno molte cause e molte soluzioni in comune: entrambe impongono una maggior attenzione alla tutela ambientale ed entrambe invitano ad intraprendere una transizione verso un modello di sviluppo più sostenibile.
Se la politica non sembra in grado di far fronte alle minacce concettuali e future, rispondendo solo ad esigenze concrete ed immediate, almeno secondo un recente sondaggio condotto da Ipsos le connessioni tra clima e salute non sembrano invece sfuggire all’opinione pubblica mondiale, compresa quella italiana. Secondo i ricercatori di Ipsos “Globalmente il 71% dei cittadini e il 72% degli italiani concorda sul fatto che il cambiamento climatico è un evento grave tanto quanto la pandemia di Covid-19”. L’indagine condotta in 14 diversi Paesi evidenzia come il 65% degli intervistati a livello globale e il 63% a livello italiano, sostenga apertamente le azioni dei governi a favore del cambiamento climatico nella ripresa economica post Covid-19. Non solo. La maggioranza dell’opinione pubblica mondiale, parliamo di un 68% che in Italia arriva al 71%, è d’accordo sul fatto che se i governi nazionali non agiscono ora per combattere il cambiamento climatico deluderanno i propri elettori. “La pandemia - hanno commentano da Ipsos - sembrerebbe avere avuto un certo effetto sulla coscienza ambientale dei cittadini, anche degli italiani. Resta da vedere se e quanto, la consapevolezza si tradurrà in comportamenti concerti di uso, acquisto e consumo e se i cittadini, una volta che le piazze, i parchi e gli spazi pubblici italiani riapriranno, vorranno fare sentire la propria voce a sostegno di un equilibrio ambientale più sostenibile”.
Quella degli analisti di Ipsos è una riflessione particolarmente interessante, anche alla luce del fatto che dalla stessa indagine emerge che “il 57% degli intervistati afferma che sarebbe scoraggiato dal votare per un partito politico le cui politiche non prendono sul serio il cambiamento climatico”, un dato percentuale che in Italia “tocca il 66% del campione”. Eppure oggi i partiti che sembrano avere il maggior consenso nel paese sono quelli che tra le loro fila contano diversi negazionisti climatici, non perdono occasione per attaccare programmi come “Indovina chi viene a cena” e “Report” (proprio perché da anni parlano dei legami tra sostenibilità ambientale, inquinamento e allevamenti intensivi), e che tra le contromisure contro il Covid-19 hanno proposto anche lo stralcio della plastic tax, e un’inspiegabile quanto insensato condono edilizio. Purtroppo anche tra i partiti di Governo non va molto meglio e un rilancio economico che punti in modo deciso sulla sostenibilità e l’economia circolare non sembra essere una priorità immediata. Eppure le correzioni al Documento di economia e finanza (Def) approvate il 24 aprile dal Governo sembrano stimare il crollo del Pil italiano dovuto al Covid-19 nell’ordine dell’8% per quest’anno, un dato simile a quello emerso da un recente dossier elaborato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile che insieme all’European institute on economics and the environment ha provato a dare le dimensioni economiche dell’attuale crisi climatica: “Sulla base di un approccio innovativo basato su migliaia di osservazioni climatiche ed economiche, si stima per l’Italia, in assenza di politiche climatiche e ambientali più rigorose, una perdita progressiva di Pil fino all’8% nella seconda metà del secolo. Un danno di circa 130 miliardi di euro ogni anno”. Di fatto la stessa perdita economica imputata al coronavirus, ma questa volta non limitata al solo 2020.
A quanto pare, quindi, il problema climatico continua a non essere in cima all’agenda politica del Belpaese. Del resto cosa interessa a noi italiani se secondo lo studio “Arctic Sea Ice in CMIP6”, pubblicato lo scorso 17 aprile su Geophysical Research Letters da un team di ricercatori del Sea-Ice Model Intercomparison Project “Il Mar Glaciale Artico potrebbe ritrovarsi del tutto libero dai ghiacci in estate anche prima del 2050”? Lo studio, guidato da Dirk Notz dell’Universität Hamburg, è frutto della collaborazione tra 21 istituti di ricerca internazionali, tra i quali anche il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc), ed ha analizzato i risultati recenti di 40 diversi modelli climatici, grazie ai quali gli scienziati hanno potuto prevedere la futura evoluzione della copertura di ghiaccio marino artico in uno scenario con elevate emissioni di CO2 e con scarse misure di protezione climatica: “Come previsto, con queste simulazioni il ghiaccio marino nell’Artico scompariva assai rapidamente in estate”. La maggior parte dei modelli utilizzati da questi scienziati, e in particolare quei modelli in grado di catturare meglio l’evoluzione del ghiaccio marino, prevedono che l’Artico si ritroverà libero dai ghiacci a settembre prima del 2050, in tutti gli scenari presi in esame. Secondo Notz, tuttavia, “Anche riducendo le emissioni globali rapidamente e in maniera sostanziale, e con ciò riuscendo a rimanere al di sotto dei 2° C di riscaldamento globale rispetto ai livelli pre-industriali, il ghiaccio marino nell’Artico potrebbe occasionalmente scomparire in estate anche prima del 2050”. Le conseguenze? Tante! “La copertura di ghiaccio marino è il terreno di caccia e l’habitat di foche e orsi polari, e mantiene più fresca la regione artica riflettendo la luce solare…”. Ma forse è meglio fermarci qui. Il problema è ambientale, ma la soluzione è politica e per adesso è ancora piuttosto astratto e soprattutto confinato a qualche latitudine “altra” dalla nostra! C'è il Covid-19 adesso, domani vedremo.
Alessandro Graziadei
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