domenica 16 maggio 2021

La guerra del pesce!

 

La scorsa settimana il peschereccio italiano “Michele Giacalone” impegnato nella pesca del gambero rosso  in acque internazionali, a est dell’isola di Cipro e di fronte alla costa siriana, è stato bersagliato da oggetti lanciati da una decina di imbarcazioni turche e successivamente speronato. Il peschereccio lo scorso 3 maggio aveva subito un abbordaggio anche da parte di miliziani libici al largo di Bengasi. In quella occasione era in mare accanto al peschereccio “Aliseo”, che il 6 maggio, a circa 30 miglia al largo delle acque di Misurata, nella parte occidentale della Libia, è stato colpito da armi da fuoco della Guardia costiera libica. Sempre il 6 maggio nel Canale della Manica, attorno al porto principale dell’isola britannica di Jersey, a una ventina di chilometri dalla Normandia, si era ammassata una flotta di una ottantina di pescherecci francesi che hanno bloccato la circolazione dei natanti inglesi per protesta contro quello che ritengono l’ingiusto e illegale nuovo sistema di licenze per la pesca stabilito nell’ambito del faticoso accordo sulla pesca post-Brexit, sistema che sembra limitare i loro diritti. Il tema dello sfruttamento delle aree di pesca, insomma, è sempre più esplosivo ed è legato a un problema che ha poco a che vedere con i confini, le bandiere e i trattati internazionali e molto a che fare con una guerra mondiale per le risorse ittiche  che non è più relegata in aree come la Somalia, ma interessa anche i confini dell’Europa, dalla Manica al Marenostrum.


Premesso che molte delle associazioni che lavorano per salvare la biodiversità marina, in maniera più o meno ipocrita, non prendono neanche in considerazione l’invito a limitare il consumo di pesce, (almeno nelle società che possono permettersi un’alternativa più sostenibile), e alla luce del fatto che secondo le Nazioni Unite “Più di 3 miliardi di persone dipendono dalla biodiversità marina e costiera per il loro sostentamento”, è evidente che l’impatto di una pesca senza limiti mette a rischio non solo gli stock ittici mondiali, ma anche il futuro alimentare ed economico di molte popolazioni. Un bel problema geo-politico, visto che come abbiamo scritto più volte allo sfruttamento degli stock ittici, che produce il 5% del prodotto interno lordo globale,  si affiancano cambiamento climaticoinquinamentoasfissia, acidificazione e riscaldamento delle acque, tutte problematiche che imporrebbero una rettifica a molte delle leggi che regolano oggi le attività economiche legate alla pesca. Oggi, però, le leggi europee, guidate per lo più dalla paura della disoccupazione e dalla necessità di tutelare ad ogni costo la grande industria ittica (ma non i pescatori artigianali), sembrano incapaci di valutare le possibili ricadute negative sull’ambiente e sul lavoro di questa "rapina del mare". Secondo il WWF, infatti, i mari sono oggi tra gli ambienti più abusati del pianetavisto che il “il 33% degli stock ittici mondiali monitorati è sfruttato in modo eccessivo e più del 60% è sfruttato al massimo delle capacità” una percentuale che nel Mediterraneo tocca il 78%. 


L’allarme lo scorso anno è arrivato anche dalla FAO che nel rapporto The State of World Fisheries and Aquaculture 2020 ha ricordato come “La pesca eccessiva ed il sovrasfruttamento degli stock ittici impoveriscono le scorte a un ritmo che la specie non è in grado di reintegrare, riducendo le popolazioni ittiche e la produzione futura di cibo. Il consumo di pesce, aumentato di oltre il 20% in meno di 50 anni, rallenterà solo quando la richiesta supererà l’offerta”. In pratica, quando non ci saranno abbastanza pesci per tutti. Il problema è globale, ma più acuto nei paesi impoveriti: “Mentre i paesi sviluppati stanno migliorando il modo in cui gestiscono le loro attività di pesca, i paesi in via di sviluppo affrontano un peggioramento della situazione” perché “La sostenibilità è particolarmente difficile nei luoghi in cui esistono fame, povertà e conflittii”. Che fare? Una speranza arriva dallo studio “Effective fisheries management instrumental in improving fish stock status” pubblicato nel 2020 su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team internazionale di ricercatori coordinati dall’Università di Washington e dall’Università di Seattle. Da anni lavorano ad un progetto di ricerca che analizza i dati della pesca in tutto il mondo, e dal quale emerge che “Quasi la metà dei pesci catturati in tutto il mondo proviene da stock che sono scientificamente monitorati e che in media stanno aumentando”. 


A quanto pare, quindi, “Una gestione efficace sembra essere la ragione principale per cui questi stock sono rimasti su livelli sostenibili o sono stati ricostruiti con successo”. Per uno degli autori dello studio, Ray Hilborn dell’UW School of Aquatic and Fishery Sciences, è possibile sostenere che “Gli stock ittici nel mondo non sono tutti in calo. Stanno aumentando in molti luoghi e sappiamo già come risolvere i problemi del declino dei pesci attraverso un’efficace gestione della pesca”. Per Hilborn “La chiave di tutto è capire dove stiamo facendo bene, dove dobbiamo migliorare e quali sono i principali problemi”. Purtroppo per la maggior parte degli stock ittici dell’Asia meridionale e del Sud-est asiatico non sono ancora disponibili stime scientifiche sulla salute e sullo stato degli stock ittici, un problema rilevante visto che la sola pesca in India, Indonesia e Cina rappresenta dal 30% al 40% delle catture ittiche mondiali. Tuttavia anche qui sembra possibile supporre che “Una gestione più attenta della pesca possa portare a stock ittici sani o in miglioramento”. Per esempio le regioni che hanno preso provvedimenti per gestire con attenzione le loro attività di pesca, come l’Alaska, la costa occidentale degli Stati Uniti, la Norvegia, l’Islanda e le Isole Faroe, hanno mostrato un miglioramento del benessere degli stock ittici, al contrario le regioni che hanno applicato una gestione più libera della pesca, come in alcune aree del Mediterraneo e del Nord Africa, dove i livelli degli stock ittici sono diminuiti. Secondo Christopher Costello dell’Environmental Defense Fund "Questo deve dare credibilità ai gestori della pesca e ai governi di tutto il mondo che sono disposti a continuare ad  intraprendere azioni forti in questa direzione”. Certo per avere successo la gestione della pesca dovrebbe essere adattata alle caratteristiche delle diverse attività di pesca e alle specifiche esigenze di Paesi e regioni, perché gli approcci che sono stati efficaci in molte attività di pesca industriale su larga scala nei Paesi sviluppati non possono funzionare per attività di pesca su piccola scala, in particolare nelle regioni con risorse economiche e tecniche limitate o sistemi di governance particolarmente deboli. Qualsiasi strada si scelga l'obiettivo deve essere quello di ridurre la pressione della pesca senza provocare disoccupazione, senza far esplodere una “guerra del pesce” e coinvolgendo i pescatori di tutto il mondo nella conservazione a lungo termine della salute dei mari.


Alessandro Graziadei


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