“La perdita dell’accesso alla rete idrica pubblica potrebbe costringere le famiglie libanesi a prendere decisioni estremamente difficili in merito alle loro esigenze idriche, igienico-sanitarie e igieniche di base”. A dirlo la scorsa settimana è stato Yukie Mokuo, rappresentante dell’Unicef in Libano, spiegando che “Il settore idrico è legato all'attuale crisi economica" e il Libano è "Incapace di farlo funzionare a causa dei costi di manutenzione, dalle inefficienze, del crollo parallelo della rete elettrica e della minaccia di aumento dei costi del carburante”. La sospensione del servizio idrico e una distribuzione intermittente stanno alterando il regolare trattamento, il pompaggio e la distribuzione dell’acqua non solo a Beirut. Dal 2020 c’è stato un aumento del 35% dei prezzi delle forniture pubbliche di acqua e il costo dell’acqua in bottiglia è raddoppiato. Per questo in Libano i suoi 4 milioni di abitanti, tra cui un milione di rifugiati siriani, corrono il rischio di perdere progressivamente l’accesso all’acqua potabile. Per l’Unicef, infatti, se il sistema di approvvigionamento idrico pubblico del Libano crollerà, i costi dell’acqua potrebbero ulteriormente salire fino al 200% al mese, con l’acqua assicurata solo da fornitori privati. Per molte famiglie estremamente vulnerabili, questo costo sarà insostenibile, perché secondo l’Ilo rappresenta il 263% del reddito medio mensile.
A livello nazionale, l’acqua non contabilizzata a causa di perdite di sistema è di circa il 40%, principalmente a causa della mancanza di manutenzione e dei collegamenti illegali. Per questo secondo una valutazione dell’Unicef basata sui dati raccolti dalle quattro principali società di servizi idrici pubblici del paese tra maggio e giugno 2021 oltre il 71% delle persone rientra nei livelli di vulnerabilità “altamente critici” e “critici” perché utilizza meno di 35 litri/giorno di acqua potabile, un calo di quasi l’80% rispetto alla media nazionale di 165 litri di prima del 2020. Per Mokuo durante quest’estate, con i casi di Covid-19 che iniziano a salire di nuovo a causa della variante Delta, “il prezioso sistema idrico pubblico del Libano potrebbe collassare in qualsiasi momento. Se non si interviene con urgenza, ospedali, scuole e strutture pubbliche essenziali non potranno funzionare e oltre 4 milioni di persone saranno costrette a ricorrere a fonti d’acqua non sicure e costose, mettendo a rischio la salute e l’igiene dei bambini”. Chiaramente l’effetto negativo immediato sarebbe sulla salute pubblica. “L’igiene sarebbe compromessa e il Libano vedrebbe un aumento delle malattie. Senza accesso a servizi igienico-sanitari sicuri, le donne e le adolescenti affronterebbero sfide umilianti per la loro igiene personale, protezione e dignità” ha spiegato il rappresentante dell’Unicef.
Che fare? L’Unicef ha bisogno di 40 milioni di dollari all’anno per far sì che l’acqua continui a scorrere e rifornire migliaia di persone in tutto il Paese, garantendo i livelli minimi di carburante, cloro, pezzi di ricambio e manutenzione necessari per mantenere operativi e salvaguardando l’accesso e il funzionamento dei sistemi idrici pubblici. Fino ad oggi, per evitare il completo collasso degli impianti idrici a causa della crisi economica, a partire da ottobre 2020, l’Unicef ha sostenuto le 4 maggiori imprese pubblice del Libano con forniture, materiali di consumo e riparazioni rapide. Oltre 184.690 persone sono state aiutate con forniture essenziali, inclusi articoli per l’igiene, quasi 200.000 persone sono state assistite con l’accesso temporaneo a una quantità adeguata di acqua potabile per uso domestico e 197.060 persone hanno avuto accesso a servizi igienico-sanitari migliorati e più sicuri. In seguito alla gigantesca esplosione nel porto di Beirut nell’agosto 2020, 155 edifici sono stati ricollegati ai sistemi idrici pubblici, sono stati installati 873 serbatoi d’acqua nelle case danneggiate e distribuiti 4.485 kit igienici alle famiglie colpite. Sono state anche donate forniture umanitarie essenziali per un valore di 464.000 dollari, inclusi kit per bambini, kit igienici, assorbenti igienici, serbatoi d’acqua, nonché dispositivi di protezione individuale (DPI) e articoli per la prevenzione e il controllo delle infezioni (IPC) come guanti, maschere e disinfettanti per le mani.
Mokuo ha assicurato che L’Unicef “Non farà mancare il sostegno alle comunità finché le risorse lo permetteranno, ma questa situazione allarmante richiede anche altri finanziamenti immediati e duraturi”, gli stessi che servirebbero in Iran, dove da alcune settimane la Guida suprema dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei ha ordinato di risolvere urgentemente la questione idrica del Khuzestan, la provincia a maggioranza araba nel sud-ovest dell’Iran, al confine con l’Iraq. La massima autorità della Repubblica islamica si è rivolta direttamente al Governo iraniano perché affronti “Seriamente ed urgentemente il problema dell’acqua per risolverlo il più presto possibile. […] I responsabili hanno il dovere preciso di prendersi cura della popolazione del Khuzestan”. La desertificazione e il cambiamento climatico stanno causando enormi problemi alla popolazione della provincia meridionale del Khuzestan. Dal 15 luglio in decine di paesi e città del Khuzestan ci sono ogni sera proteste contro le difficoltà di accesso all’acqua, proteste che secondo Human Rights Watch (HRW) le autorità iraniane stanno gestendo con un uso eccessivo della forza che è costata la vita ad un numero ancora imprecisato di manifestanti. Secondo l’ong “Le autorità dovrebbero indagare in modo trasparente sulle morti segnalate e chiederne conto ai responsabili. Il Governo dovrebbe anche affrontare con urgenza le lamentele di lunga data sull’accesso all’acqua nel Paese”.
È ormai da anni che la cattiva gestione delle risorse idriche e l’inquinamento da petrolio in Iran, e nel Khuzestan in particolare, destano preoccupazione. Da decenni gli ambientalisti avvertono che i progetti di sviluppo nel Khuzestan ricco di petrolio, compresa la costruzione di dighe idroelettriche, progetti di irrigazione e trasferimenti di acqua alle province vicine, stanno causando danni ambientali e portano a carenze idriche che colpiscono la popolazione. Una situazione esplosiva, visto che, come ha ricordato HRW, “Si prevede che il cambiamento climatico aggraverà le minacce alle risorse idriche del Khuzestan. Il clima particolarmente caldo e secco in Khuzestan questa estate ha portato già ad un aumento della siccità, diverse interruzioni di corrente e molto probabilmente a più tempeste di sabbia e polvere, che amplificano l’impatto della cattiva gestione delle risorse idriche da parte del Governo”. Forse, invece di reprimere le proteste, le autorità iraniane dovrebbero riconoscere la gravità della crisi idrica e risolverla con urgenza.
Alessandro Graziadei
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