Il costo dell’energia elettrica italiana è in costante ascesa perché, rispetto alla media degli ultimi anni, è aumentato di circa quattro volte il prezzo del gas, con cui viene prodotta la maggior parte dell’elettricità in Italia e in molti Paesi europei. Oggi il suo prezzo è circa 80 €/MWh a fronte di circa 20 €/MWh in media negli scorsi anni. Così, tra tutte le fonti energetiche, le rinnovabili sono diventate le più economiche a livello globale, tanto che secondo Elettricità Futura, la principale associazione confindustriale attiva nel comparto elettrico del Belpaese, anche in Italia con un apporto più ampio delle energie rinnovabili si potrebbero tagliare le bollette elettriche di circa 30 miliardi di euro l’anno. In un periodo di rincari energetici è una buona notizia, che deve però fare i conti con la realtà italiana. Con l’attuale mix energetico, che conta solo sul 40% di rinnovabili sul totale della generazione elettrica nazionale, la bolletta elettrica ha registrato una crescita di +70% rispetto al 2019, ma “se avessimo già raggiunto il target Green Deal 2030, cioè il 72% di rinnovabili sul mix di generazione elettrica, il costo complessivo della bolletta sarebbe di 45 miliardi rispetto ai 75 miliardi di euro attuali, cioè inferiore del 40%”.
L’Italia potrebbe, quindi, risparmiare 30 miliardi di euro all’anno facendo un Ppa (Power Purchase Agreement, ovvero un contratto a lungo termine per l’acquisto di energia rinnovabile) con un prezzo fisso per 20 anni inferiore a 68 €/MWh, come dimostra il prezzo assegnato dalle aste per eolico e fotovoltaico, un quarto rispetto al prezzo spot di dicembre di circa 280 €/MWh. Invece dato che il 60% circa dei consumi nazionali di elettricità viene ancora soddisfatto attingendo a fonti non rinnovabili, percentuale che sale all’80% circa guardando a tutta la domanda primaria di energia, il nostro Paese è investito appieno dalla crisi energetica del gas che imperversa in Europa e che produrrà in questo inizio di 2022 gli aumenti in bolletta tanto annunciati e altrettanto temuti. Che fare? Per Elettricità Futura “è chiaro che la soluzione strutturale al problema del caro bollette passa dalle rinnovabili”, eppure paradossalmente questi impianti crescono col contagocce dal 2014 ed è “difficile uscirne senza un profondo cambiamento nelle regole che ne governano la messa in opera”. Così, mentre il clima italiano si surriscalda, gli impianti per ricavare energia dalle fonti rinnovabili avanzano tra molti impedimenti burocratici, e non accennano ad accelerare, neanche col “Governo dei Migliori” alla guida del Paese.
Come mai? L’ultimo report redatto questo mese da Legambiente, “Scacco matto alla rinnovabili” parla apertamente di rinnovabili, “ostacolate da una burocrazia farraginosa, ma anche da blocchi da parte di amministrazioni locali e regionali, da comitati Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato) senza dimenticare il ruolo del Ministero della Cultura e delle Sovrintendenze”. Per Legambiente a metterle sotto scacco matto sono “normative obsolete, la lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, la discrezionalità nelle procedure di valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni. E la poca chiarezza è anche causa delle opposizioni dei territori che devono districarsi tra regole confuse e contraddittorie”. Per Stefano Ciafani, presidente di Legambiente "I pesanti rincari in bolletta dovuti all’eccessivo consumo di gas in Italia si affrontano in modo strutturale, non con l’aumento della produzione nazionale dei pochi idrocarburi presenti nel sottosuolo e nei fondali marini italiani o con un surreale ritorno al costosissimo nucleare, ma con lo sviluppo delle rinnovabili, l’innovazione industriale e politiche di efficienza energetica in edilizia. È però urgente snellire le procedure per i nuovi progetti”.
Al momento le attuali regole e procedure portano i tempi medi per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico a circa 5 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa. Tempi infiniti per le imprese, ma soprattutto per la decarbonizzazione che ha bisogno di un quadro normativo, composto da regole chiare, e semplici da applicare in tempi certi. Per Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente “È fondamentale mettere al centro le esigenze dei territori, passando per una partecipazione attiva e costruttiva degli stessi, in grado di far realizzare 9 GW di fonti rinnovabili l’anno da qui al 2030. Il paesaggio è un bene comune e inevitabilmente sarà trasformato dalla presenza delle rinnovabili, ma questa trasformazione deve avere un valore positivo, con rinnovabili ottimamente integrate che è quello che tutti auspichiamo, e con ciminiere e gruppi di centrali termoelettriche che verranno smantellati”. Le attuali procedure stanno di fatto mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi europei climatici che prevedono una riduzione del 55% delle emissioni, al 2030, rispetto ai livelli del 1990 e una copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica.
Un vero e proprio paradosso quello italiano, dato che se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine dell’iter autorizzativo, la nostra Penisola avrebbe già raggiunto gli obiettivi climatici europei. Mentre gli impianti non si installano, i progetti per provare a realizzarli crescono. Per sbloccare la situazione il report di Legambiente suggerisce “la realizzazione di un quadro normativo unico e certo in grado di mettere ordine e di ispirare le decisioni di tutti gli attori coinvolti nei processi di valutazione e autorizzativi”. Il principale riferimento è adesso il Decreto interministeriale del 10 settembre 2010, un testo ormai obsoleto, che necessità di una revisione congiunta da parte di Mite, Mise e Ministero della Cultura. Se non ora, quando?
Alessandro Graziadei
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