sabato 11 giugno 2022

Un suolo ricco di… pesticidi e microplastiche!

 

Mentre la crisi internazionale mette al centro il tema dell’approvvigionamento del cibo, occorre riportare l’attenzione globale sulla tutela del suolo, una risorsa necessaria e non rinnovabile che impiega fino a mille anni per rigenerare la fertilità persa a causa dell’inquinamento (la guerra è una delle cause) o della desertificazione. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) un suolo fertile può assicurare l'essenziale servizio di assorbimento dell’anidride carbonica dall’atmosfera “sequestrando il 30% di anidride carbonica che produciamo”. Una risorsa importantissima, ma l’uso intensivo dei campi agricoli insieme al consumo di suolo a favore di infrastrutture e abitazioni, da anni ne sta compromettendo a livello globale la tutela e la conservazione.  Secondo la Global Soil Partnership della Fao, “il 33% del suolo terrestre è già degradato e nel 2050 questa percentuale potrebbe arrivare al 90%”. Ma per la Fao la vitalità del suolo, che si traduce soprattutto nella presenza di miliardi di microrganismi per centimetro quadrato, “È oggi messa a rischio anche dalle sostanze chimiche di sintesi utilizzate in agricoltura: l’uso eccessivo e improprio dei pesticidi causa danni indesiderati a specie non target (specie che non sono considerate dannose per l’agricoltura), mentre la persistenza nell’ambiente e i residui tossici possono impattare su specie utili e organismi non target, come gli umani, e possono contaminare le acque e i suoli su scala globale”. 


Secondo il progetto Cambia la Terra, nato grazie a FederBio con LegambienteLipu, l’Associazione Medici per l’ambiente (ISDE Italia), Slow Food e Wwf, che ha analizzato 12 suoli agricoli convenzionali comparandoli con altrettanti terreni biologici contigui e adibiti alle stesse colture da nord a sud dell'Italia, “Senza un suolo fertile e sano non c’è agricoltura”. Su un totale di 24 terreni ne è venuto fuori che “Nei 12 campi convenzionali sono state ritrovate ben 20 sostanze chimiche di sintesi tra insetticidi, erbicidi e fungicidi”. La sostanza più rilevata è il glifosato, che compare in 6 campi convenzionali su 12, seguito dall’AMPA, un acido che deriva dalla degradazione del glifosato. Il glifosato, erbicida tra i più usati al mondo, del quale abbiamo ampiamente scritto in questi anni, ha effetti sulla salute degli ecosistemi e su quella umana ed è rientrato nella lista delle sostanze “probabilmente cancerogene” dell’ Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione. “Delle altre 18 sostanze chimiche di sintesi ritrovate, ben 5 risultano revocate da anni: due, il famigerato DDT e il suo metabolita DDE (sostanza che proviene dal degrado della molecola originaria), resistono in un campo da 44 anni, in quantità non trascurabili. Le altre (permetrina e imidacloprid), vietate rispettivamente nel 2001 e nel 2018, sono state ritrovate in un campo di pomodori; l’ultima (oxodiazon) revocata nel 2021, in un pereto”.


Un’autentica e pervasiva contaminazione che non riguarda i campi biologici, dove “Le sostanze di sintesi rilevate sono solo tre, tra cui un insetticida contro le zanzare, probabilmente proveniente dalle abitazioni vicine, e, in uno stesso, campo DDT e DDE”. Si tratta, con ogni evidenza di contaminazioni accidentali e non allarmanti, che per la presidente di FederBio Maria Grazia Mammuccini dimostrano quanto e come “il metodo biologico sia un metodo di produzione che favorisce la tutela del suolo e della biodiversitàLe quantità di residui chimici di sintesi nei campi convenzionali invece è ormai un dato di fatto, soprattutto per le produzioni intensive, dove si conferma l’urgenza di ridurre l’uso di pesticidi di sintesi chimica in coerenza con gli obiettivi del Green Deal europeo e per le quali il biologico può offrire soluzioni innovative sperimentate da anni con il biocontrollo”. La ricerca ha dimostrato che anche in alcune coltivazioni convenzionali l’uso di pesticidi è limitato. In due situazioni, un oliveto in Puglia e un campo di frumento in Basilicata, per esempio, le sostanze di sintesi erano assenti e fa pensare a come il biologico e il biocontrollo stiano cominciando a rappresentare modelli di riferimento per l’agricoltura in generale. “La crisi internazionale e la mancanza di materie prime rimettono al centro il ruolo fondamentale dell’agricoltura. Tutelare e monitorare la salute dei suoli è un investimento necessario per supportare l’intero sistema agricolo” ha concluso la Mammuccini.


Ma il suolo oggi è minacciato non solo da sostanze chimiche di sintesi, ma anche dalle microplastiche. Secondo lo studio “Microplastics removal from a primary settler tank in a wastewater treatment plant and estimations of contamination onto European agricultural land via sewage sludge recycling”, pubblicato sull’ultimo numero di Environmental Pollution da un team di ricercatori delle Università di Cardiff e di Manchester, “I terreni agricoli in tutta Europa sono potenzialmente il più grande serbatoio globale di microplastiche a causa delle alte concentrazioni presenti nei fertilizzanti derivati dai fanghi di depurazione”. I ricercatori stimano che “Tra le 31.000 e le 42.000 tonnellate di microplastica (o 86-710 trilioni di particelle di microplastica) vengono applicate ai suoli europei ogni anno, rispecchiando la concentrazione di microplastica che si trova nelle acque superficiali dell’oceano” e che “Le microplastiche rimosse dalle acque reflue grezze negli impianti di trattamento delle acque reflue continuano a costituire circa l’1% del peso dei fanghi di depurazione, che vengono comunemente usati come fertilizzante nelle fattorie di tutta Europa”. Un utilizzo concesso dalle direttive dell’Unione europea che promuovono l’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura o negli inceneritori per produrre energia e per non smaltirli nelle discariche.


Di dimensioni inferiori a 5 mm, le microplastiche rappresentano una minaccia significativa per la fauna selvatica poiché vengono facilmente ingerite e possono trasportare contaminanti, sostanze chimiche tossiche e agenti patogeni pericolosi, con un potenziale impatto sull’intera catena alimentare. Secondo James Lofty della School of Engineering dell’Università di Cardiff, il principale autore dello studio, i campioni dall’impianto di trattamento delle acque reflue di Nash a Newport, nel Galles meridionale utilizzati nello studio possono essere considerate esemplari per buona parte d’Europa, visto che “Attualmente non esiste una legislazione europea che limiti o controlli l’immissione di microplastica nei fanghi di depurazione riciclati in base ai carichi e alla tossicità dell’esposizione alla microplastica. Dovrebbero essere compiuti sforzi per aumentare il monitoraggio standardizzato delle concentrazioni di microplastiche nei fanghi di depurazione e nei terreni agricoli, che fornirebbe un quadro più accurato dei livelli di contaminazione nei suoli in tutta Europa”. Cosa aspetta l'Europa?


Alessandro Graziadei

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