sabato 11 gennaio 2025

La Cina invecchia...

 

Dal 1979 al 2015 la Cina ha attuato una rigorosa politica del figlio unico per ridurre la sua popolazione e il suo allentamento nel 2016, con la possibilità di avere due figli per famiglia, non ha cambiato di molto la situazione demografica del Paese. Anche per questo nei prossimi anni la sfida della natalità sarà ardua per il Partito comunista visto che il ritmo con cui la Cina invecchia è maggiore di quello con cui accumula ricchezza. Come molte società occidentali, con sistemi di welfare ben più generosi di quello asiatico, i cinesi non riescono ad arrestare la caduta delle nascite! Se usiamo parametri decennali si capisce che dal 2000 al 2010, quando era di 1,34 miliardi, la popolazione cinese è prima cresciuta del 5,4%, poi tra il 2010 e il 2020 l’incremento annuo è stato in media dello 0,53%, in calo rispetto allo 0,57% del periodo 2000-2010. Si tratta del più basso di ogni decennio dal primo censimento del 1953. Pechino ha poi visto un brusco calo delle nascite del 24,3% tra il 2019 e il 2020 e il trend sembra proseguire anche in questi ultimi 4 anni. Per questo già a partire dal 2021 le statistiche regionali avevano mostrato che le nascite erano in diminuzione e la Banca centrale cinese aveva raccomandato all’esecutivo di incentivare la natalità per non perdere il suo vantaggio economico nei confronti degli Stati Uniti. Il dato più preoccupante, infatti, è il calo della popolazione in età di lavoro, che ha segnato un -6,79% rispetto al 2010: un incubo per il Partito comunista cinese, che fonda la propria legittimità sulla crescita economica e sulla promessa di benessere ai cinesi.


Il calo evidente della manodopera rappresenta, quindi, una minaccia. Con la popolazione cinese in calo la ripresa economica cinese è costantemente a rischio e mostra dati preoccupanti sull’occupazione e la salute delle piccole e medie imprese, che da dopo il Covid non si sono più riprese e sono in difficoltà per i crescenti costi. L’invecchiamento della popolazione e il calo del numero di persone in età di lavoro richiedono la modifica e l’adattamento della struttura economica che per ora fatica a rimodellarsi. Non stupisce, quindi, che i giovani cinesi non vogliono più fare figli: costa troppo mantenerli e lo Stato non li aiuta. Così le nuove generazioni preferiscono rinunciare a diventare genitori per mantenere il proprio stile di vita. Secondo il ministero per gli Affari civili, nel 2020 si sono registrati 8,1 milioni di matrimoni: in calo del 12% rispetto al 2019 e con una caduta del 40% rispetto a quelle del 2013. Ad oggi le cinesi partoriscono 1,3 figli ciascuna, un dato molto lontano lontano dai 2,1 necessari per mantenere la popolazione stabile, tanto più che nei prossimi 10 anni la quota di donne cinesi tra 22 e 35 anni si ridurrà più del 30%. Un altro problema è che con la precedente politica del figlio unico oggi la popolazione maschile è di gran lunga superiore a quella femminile: nella fascia 15-19 anni ci sono 118,39 uomini per ogni 100 donne.


È evidente che oggi i cinesi devono essere maggiormente incentivati a mettere su famiglia. Soprattutto le donne dovrebbero ricevere sussidi per compensare i costi e le rinunce professionali a cui vanno incontro se scelgono di avere figli e il sostegno finanziario dovrebbe concentrarsi soprattutto nelle grandi città, dove i costi della vita, delle abitazioni e della cura materna sono maggiori. Attualmente la Cina ha uno dei tassi di natalità più bassi a livello globale. Le nuove nascite nella Repubblica popolare nel 2023 sono scese del 5,7% e il tasso di natalità ha raggiunto il minimo storico di 6,39 nascite per ogni 1.000 persone, in calo rispetto al tasso di 6,77 nascite del 2022. A livello generale la popolazione è diminuita di 2,08 milioni, o dello 0,15% nel solo 2023. Un dato molto superiore al calo della popolazione di 850.000 unità registrato nel 2022, che era stato il primo dal 1961, durante la Grande carestia dell'era di Mao Zedong. Non solo. La Cina è corsa ai ripari annunciando nelle scorse settimane che non invierà più bambini all'estero per l'adozione internazionale. Pechino, infatti, ha annullato una serie di accordi iniziati nel 1992, quando ancora era nel pieno della sua politica del figlio unico,  e che hanno visto in più di trent’anni oltre 160mila bambini cinesi essere adottati da famiglie di tutto il mondo, la metà dei quali negli Stati Uniti, secondo i dati di China's Children International.


La portavoce ministero degli Esteri di Pechino Mao Ning ha dichiarato che il Governo cinese ha “adeguato” la sua politica sulle adozioni per essere “in linea” con le tendenze internazionali. “Esprimiamo il nostro apprezzamento ai governi e alle famiglie straniere che desiderano adottare bambini cinesi per le loro buone intenzioni e per l'amore e la gentilezza che hanno dimostrato”, ma “A parte alcuni casi legati a parentele fino al terzo grado con persone che vivono fuori dal Paese, la Cina non invierà più bambini all'estero per l'adozione”. Le “tendenze internazionali” a cui la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha fatto riferimento si riferiscono alla decisone adottata a maggio dai Paesi Bassi di vietare ai propri cittadini di adottare bambini da Paesi stranieri. Anche in Danimarca, i cittadini non potranno più adottare bambini dall'estero dopo che l'unica agenzia locale che se ne occupava ha dichiarato di voler interrompere le proprie attività. Basterà alla Cina per risollevare la propria economia? Difficile, ma è un primo passo.


Alessandro Graziadei


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