sabato 6 dicembre 2025

Più alberi, più vita!

Secondo un recente studio scientifico pubblicato a fine agosto sulla rivista Nature Climate Change dai ricercatori della britannica Università di Leedsnel periodo 2001-2020 nei tropici è andata perduta una superficie forestale complessiva di 1,6 milioni di km². “La perdita più consistente - hanno spiegato - si è verificata nell'America centrale e meridionale tropicale (circa760.000 km²), nel Sud-est asiatico (circa 490.000 km²) e nell'Africa tropicale (circa 340.000 km²)”. Nel contempo “Le temperature superficiali nelle zone tropicali sono generalmente aumentate in questo periodo a causa di una combinazione di cambiamenti climatici globali e deforestazione, con un riscaldamento medio annuo regionale di +0,34°C nell'America centrale e meridionale tropicale, +0,10 °C nell'Africa tropicale e +0,72 °C nel Sud-est asiatico”. I ricercatori hanno condotto le loro analisi basandosi su dati satellitari della Nasa, che misurano l’andamento delle temperature, e quelli di Global Forest Change sulla deforestazione, mettendoli poi in relazione con altri dati sulla demografia e la mortalità nelle aree interessate dall’abbattimento di foreste per far spazio all’espansione agricola, all'allevamento e al mercato del legname e di altre materie prime. Di fatto in poco meno di 20'anni la deforestazione nelle aree tropicali ha esposto 345 milioni di persone a un aumento medio della temperatura dell’aria di 0,27 °C. Per circa il 10% di queste persone (parliamo di 33 milioni), l’aumento di calore è stato superiore a 1°C, e ha addirittura toccato +3°C per 2,6 milioni di persone. Oltre ai disagi e all’impossibilità di lavorare nelle ore più calde, quest’innalzamento delle temperature ha provocato seri danni alla salute delle popolazioni dell’area. Danni, in alcuni casi, mortali: oltre 28.000 morti all’anno in questo ventennio preso in esame sarebbero attribuibili all’eccesso di calore, pari al 39% del totale delle vittime del caldo nelle regioni interessate dalle operazioni di deforestazione.

Se studi precedenti hanno in più occasioni dimostrato una forte associazione tra la perdita delle foreste tropicali e l'aumento della temperatura superficiale della Terra, finora nessuna analisi aveva indicato nel dettaglio le morti associate al fenomeno della deforestazione. Se infatti è risaputo che gli effetti della perdita delle foreste tropicali sono profondi e influenzano la biodiversità, il clima globale e il ciclo idrologico contribuendo a mitigare le temperature producendo ombra con le chiome e umidità con l'evapotraspirazione, questo focus dettagliato sulla stretta relazione tra alberi e salute umana non dovrebbe più lasciarci indifferenti davanti a questo radicale “cambio di stagione” di natura antropica. “La deforestazione tropicale induce il riscaldamento locale e rappresenta un potenziale rischio per la salute umana, essendo stata collegata a un elevato stress termico e a una riduzione delle ore di lavoro all'aperto in condizioni di sicurezzaQui mostriamo che il riscaldamento locale indotto dalla deforestazione è associato a 28.000 decessi all'anno correlati al calore” hanno spiegato gli scienziati. L'analisi dei dati satellitari mostra che la deforestazione tropicale nel periodo 2001-2020 ha esposto quasi 350 milioni di persone al riscaldamento locale, con un riscaldamento della superficie terrestre durante il giorno ponderato in base alla popolazione pari a 0,27 °C. I tassi di mortalità stimati a livello mondiale e legati direttamente all'aumento delle temperature sono risultati più elevati nel Sud-Est asiatico (8-11 decessi ogni 100.000 persone che vivono in aree deforestate), seguito dalle regioni tropicali dell'Africa e delle Americhe. 

In sintesi “Nelle regioni colpite dalla perdita di foreste, il riscaldamento locale causato dalla deforestazione potrebbe rappresentare oltre un terzo della mortalità totale correlata al calore climatico, evidenziando l'importante contributo della deforestazione tropicale al riscaldamento in corso e ai rischi per la salute correlati al calore nel contesto dei cambiamenti climatici”. Una conclusione confermata anche da uno studio pubblicato in giugno sulla rivista scientifica The Lancet Planetary Health, e realizzato nell’ambito del progetto europeo Life “Airfresh in relazione al verde urbano del Vecchio continente. Secondo questo studio gli alberi sono fondamentali soprattutto nell'assorbimento del caldo urbano, diminuendo così il rischio di ondate di calore dannose per i cittadini. Ma non solo. Significano anche meno inquinamento e di conseguenza, minori rischi per la salute. Questo studio che indica nello specifico quante morti premature possono essere evitate in base a quanti alberi in più vengono piantati è il frutto di un’indagine internazionale alla quale ha partecipato tra gli altri, per l’Italia l’Enea. Lo studio, effettuato effettuato in 744 città di 36 Paesi europei sostiene che “L’aumento del 5% della superficie alberata in città comporterebbe una riduzione degli inquinanti atmosferici tale da evitare circa 5mila morti premature all’anno. Inoltre, la ricerca ha evidenziato che si potrebbero “Evitare fino a 12mila morti l’anno se ogni centro cittadino avesse una copertura arborea di almeno il 30% in più”. Per la coordinatrice del progetto per Enea Alessandra De Marco, “In ambito urbano polveri sottili, biossido di azoto e ozono sono tra gli inquinanti più pericolosi per la nostra salute e per quella degli ecosistemi. Entro il 2050, si stima che circa l’80% della popolazione europea risiederà in contesti urbani, accentuando la rilevanza di queste problematiche”. Quindi “Aumentare la quantità di alberi in città permetterebbe di ottenere benefici simultanei come il miglioramento della qualità dell’aria, la mitigazione dell’effetto isola di calore estiva, la conservazione della biodiversità e, soprattutto, il benessere e la salute dei cittadini”.

La Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (Unece) raccomanda l’adozione della strategia che consiste nel raggiungimento di tre obiettivi specifici: 3 alberi visibili da ogni casa, scuola o luogo di lavoro, 30% di copertura arborea in ogni quartiere e 300 metri di distanza massima della propria abitazione da un parco o da spazio verde pubblico. “Una copertura arborea urbana al 30%, come quella raggiunta da alcune città europee, potrebbe ridurre le morti premature del 9,4% da PM2,5, del 7,2% da biossido di azoto e del 12,1% da ozono. Al contrario, abbattere la superficie alberata fino ad azzerarla comporterebbe un aumento della mortalità: +19,5% da PM2,5 (circa 19 mila morti premature in più ogni anno), +15% da biossido di azoto (oltre 5.200 in più) e +22,7% da ozono (circa 700 in più)”, ha spiegato la De Marco. E come abbiamo visto su scala mondiale i benefici del verde urbano non si fermano alla qualità dell’aria perché gli alberi possono infatti ridurre la temperatura percepita, mitigando l’impatto delle ondate di calore come quella dell’estate 2022 che ha causato circa 62 mila morti solo in Europa. La Strategia Ue sulla biodiversità al 2030 prevede l’impegno dei Paesi aderenti a piantare almeno 3 miliardi di alberi entro la fine del decennio per portare a un aumento significativo della copertura arborea media nelle città. Ora servirebbero politici, urbanisti e amministratori locali interessati non solo a costruire nuovi “Boschi verticali”, ma ad integrare sull'esistente nuove infrastrutture verdi in tutte le città europee.

Alessandro Graziadei

 

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