Non finisce con la vittoria al referendum per l’autodeterminazione del Sud Sudan, sancita lo scorso 7 febbraio, il più lungo conflitto africano con i suoi oltre due milioni di morti in trent’anni anni di scontri. Infatti, nonostante il presidente del Sudan Omar Al Bashir accusato di crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio, in un discorso alla televisione, abbia annunciato che accetterà il verdetto delle urne, la situazione rimane critica e difficilmente controllabile.
Medici Senza Frontiere (Msf) sta facendo fronte ad una “massiccia affluenza di feriti, come risultato dei recenti scontri iniziati nei giorni scorsi nello Stato dell’Upper Nile in Sud Sudan”. “La maggior parte dei ricoverati mostrano ferite da armi da fuoco e hanno gravi ferite all’addome e agli arti” ha spiegato Tim Baerwaldt, capo missione di Msf in Sud Sudan.
A causa degli scontri tra l’esercito del sud Sudan e gli antigovernativi del generale George Athor, molte aree sono rimaste isolate e quindi le persone in difficoltà non possono essere raggiunte dall’assistenza medica. “Siamo preoccupati per i feriti che potrebbero non aver ricevuto alcun tipo di assistenza - ha proseguito Tim Baerwaldt - urge da parte delle autorità competenti, garantire un immediato accesso a cure mediche salvavita sia ai civili che a tutte le parti militari in conflitto” che hanno già lasciato dietro di sé oltre 20.000 sfollati e più di 200 morti.
Ma queste ultime violenze militari, non sono le uniche a tormentare il Sudan. Dal nord del paese, ed in particolare dalla capitale Khartoum, arrivano le denuncie (.pdf) da parte di Sudan Democracy First Group (.pdf), Amnesty International (.pdf) e International Crisis Group (.pdf) dei sempre più numerosi casi di abusi da parte di agenti dei servizi di sicurezza e di intelligence nazionale (Niss) nei confronti di donne, studenti e giornalisti “colpevoli” di aver partecipato alle manifestazioni di piazza dello scorso gennaio contro il regime che governa il paese dal 1989.
“Molte delle persone detenute presso le strutture dei Niss sono state torturate o sottoposte ad altre forme di maltrattamenti - ha precisato Amnesty International - nessuno ha potuto vedere la famiglia o a un avvocato di sua scelta e ad oggi non ci sono state incriminazioni [...] Inoltre, uno studente, Mohamed Abdelrahman, sarebbe morto in ospedale il 31 gennaio, dopo essere stato ferito durante le operazioni della polizia per disperdere le manifestazioni”.
Tra gli abusi anche stupri e violenze sessuali utilizzate come strumenti di lotta politica e di repressione, documentati da una denuncia, prima apparsa su alcuni siti sudanesi, e poi ripresa dalla locale Sudan Democracy First Group. L’associazione sudanese in un documento cita almeno sei casi documentati di abusi sessuali, molestie fisiche e verbali nei confronti di donne sudanesi, tutti avvenuti dopo le manifestazioni in piazza del 30 gennaio scorso a Khartoum, nate sulla scia delle vicende tunisine ed egiziane.
Nell'atto di denuncia del Sudan Democracy First Group si cita il caso di S.E. arrestata la mattina del 13 febbraio mentre stava acquistando alcuni fogli e materiale per l'ufficio. “È stata accusata di diffondere volantini e testi per incitare la gente alla ribellione. L'hanno portata negli uffici della Security dove l'hanno interrogata, violentata e picchiata. Volevano che rivelasse la sua appartenenza ai gruppi politici più attivi nei giorni delle manifestazioni”. Lo stesso trattamento “più piangevano e più mi colpivano e abusavano” è stato riservato a Samah Mohammed Adam, Marwa al Tijani, Asmaa Hassan Al Turabi, Najat Al Haj... solo per citare alcuni dei nomi presenti nel documento.
Molta indignazione, ma poco stupore nella società civile sudanese dove “i reati di violenza sessuale, come lo stupro, le molestie e l' aggressione sessuale - ricorda il Sudan Democracy First Group - non rappresentano affatto uno strumento nuovo in mano al partito al potere contro coloro che si battono per il rispetto dei diritti, o per manifestare idee diverse rispetto a quelle del regime, o per contrastare la guerra, a difesa della giustizia e della democrazia”.
Nel codice di procedura penale sudanese “nell’articolo 149 lo stupro è legato al reato di Zina che riguarda le relazioni sessuali illecite, vale a dire quelle pre o extra matrimoniali. La legislazione prevede che la vittima dimostri la violenza sessuale portando quattro testimoni in tribunale per provare che l’atto è stato consumato senza consenso. In caso venga denunciato uno stupro senza tali testimoni - ha concluso Amro Kamal della locale Alliance 149 - la donna, se è nubile, sarà condannata a 100 frustate, alla lapidazione invece se è sposata”.
In questo modo decine di migliaia di donne e ragazze sono state sottoposte a violenze sessuali in Darfur e nel Sud Sudan e sui Monti Nuba durante gli anni dei conflitti scoppiati in queste regioni. Per il Sudan Democracy First Group “i reati legati alla violenza sessuale, nelle loro varie forme e ovunque si verifichino, rappresentano il fondamento della decadenza dell'oppressione e della crudeltà su cui si è basata la politica del Sudan per oltre due decenni”.
In un momento dove la fame di diritti invade l’Africa l’appello dell'organizzazione è alla comunità internazionale, “affinché vigili e non chiuda gli occhi di fronte a questi crimini”.
Alessandro Graziadei
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