Sono passati dieci anni da quando per la prima volta i movimenti e le associazioni della società civile di tutto il mondo si ritrovarono a Porto Alegre in Brasile e diedero vita al primo Forum Sociale Mondiale. Un momento di incontro per scambiarsi informazioni, coordinare le campagne, organizzare iniziative e confrontarsi sulle tematiche di una “globalizzazione alternativa”
. Ieri a Dakar in Senegal si è conclusa l’undicesima edizione del Forum. Lo slogan è sempre lo stesso: ”Un altro mondo è possibile!” reso ancora più tangibile dalle sommosse anti governative che stanno infiammando la parte settentrionale del continente africano. “Questo incontro arriva in un momento in cui il mondo sta cambiando - ha detto il coordinatore del forum africano, Taoufik Abdallah - Sta a noi agire. Sta a noi cambiare il mondo”. Un appello alla “responsabilità attiva nel cambiamento” fatto proprio dalla società civile e dalle donne africane.
. Ieri a Dakar in Senegal si è conclusa l’undicesima edizione del Forum. Lo slogan è sempre lo stesso: ”Un altro mondo è possibile!” reso ancora più tangibile dalle sommosse anti governative che stanno infiammando la parte settentrionale del continente africano. “Questo incontro arriva in un momento in cui il mondo sta cambiando - ha detto il coordinatore del forum africano, Taoufik Abdallah - Sta a noi agire. Sta a noi cambiare il mondo”. Un appello alla “responsabilità attiva nel cambiamento” fatto proprio dalla società civile e dalle donne africane.
Nella capitale senegalese si attendevano non più di 20mila persone, hanno invece superato i 75mila gli arrivi effettivi, con un autentico exploit delle delegazioni africane, in rappresentanza di 43 nazioni del continente su un totale di 53. “Nessuno si aspettava tanta partecipazione dagli Stati africani”, ha osservato Vittorio Agnoletto, figura storica dei movimenti alternativi italiani. “Dakar raccoglie a quattro anni di distanza i frutti del Forum di Nairobi (2007) - ha continuato Agnoletto - e nella capitale senegalese i movimenti africani sono arrivati in numero maggiore e soprattutto organizzati e in rete”. Tanta partecipazione e tanti spunti, quindi, che hanno ruotato “attorno ad una società civile più attenta ed organizzata che mai”.
Il Forum, infatti, aperto da un corteo con il presidente boliviano Evo Morales, non è stato solo quello del presidente senegalese Abdoulaye Wade o dell’ ex presidente Lula. Neppure solo quello dei nomi di grido che lo hanno affollato (Samir Amin, Danielle Mitterand, Aminata Traoré, Susan George... solo per citarne alcuni). È stato piuttosto il Forum della società civile, che nella disorganizzazione dei numerosi incontri che si sono consumati quotidianamente nell’Università Anta Diop (una delle più prestigiose d’Africa) ha avuto come denominatore comune “l’importanza della responsabilità e della partecipazione dal basso e di genere per smuovere il cambiamento”.
“Quello della responsabilità sembra oggi il principio cardine per cambiare il mondo attraverso forme alternative e di partecipazione nella finanza, nell’economia, nella politica, nell’informazione”. Questa la riflessione della delegazione Caritas internazionale a Dakar (.pdf), che si basa sulla consapevolezza delle interdipendenze di tutti i fenomeni e che invita tutti ad agire operando delle scelte orientate al bene comune.
Il principio della “responsabilità diretta (in .pdf) - ha spiegato a Dakar Fabrizio Cavalletti, responsabile dell’Ufficio Africa di Caritas italiana - implica che ogni nostro comportamento a livello personale, sociale, economico e politico ha conseguenze dirette e indirette su tutta l’umanità. Siamo tutti responsabili di tutti”. Quindi “la carità verso il prossimo vicino e lontano, di questa e delle future generazioni si esercita attraverso la responsabilità: direttamente, ad esempio facendo volontariato o indirettamente, investendo i nostri soldi o facendo delle scelte più consapevoli”.
Una riflessione che può essere declinata sul piano politico, della comunicazione e della finanza. A livello politico Joseph Alimamy Turay, direttore della Commissione giustizia e pace della diocesi di Makeni, ha ricordato che la guerra in Sierra Leone (durata 9 anni, fino al 2001), è “stata causata da una mancanza di responsabilità, da una politica senza etica”.
Ma qui a Dakar la consapevolezza di un altro importante principio, quello della “responsabilità indiretta” (.pdf), declinato nel campo dell’informazione da Patrizia Caiffa, giornalista del Sir, che ha sottolineato le responsabilità “di chi fruisce dei media e di chi ci lavora, con uno sguardo particolare alla scarsa qualità e carenza di notizie sul Sud del mondo e alle grandi opportunità offerte invece da internet”. “Talvolta - ha aggiunto Alberto Bobbio caporedattore di Famiglia Cristiana - i cittadini del mondo ricco non vogliono comprendere i meccanismi che portano alle guerre, preferiscono il quieto vivere, altrimenti questo comporterebbe un’assunzione di responsabilità. Chiudiamo gli occhi perché, tutto sommato, ci va bene così”.
Tra le risposte del Forum a questi principi di responsabilità la più concreta sembra essere stata per l’Africa quella di genere: “Il futuro del continente è in mano alle donne africane” (alle quali non per caso la campagna Noppaw ha proposto il Nobel per la pace 2011), che oltre al ruolo tradizionale di madri stanno diventando sempre di più capo famiglia. “Con la crisi, la madre di famiglia continua a stare dietro ai fornelli, ma si è anche messa a fare dei lavoretti, a vendere prodotti e fare bricolage. Grazie alla sua attività la donna riesce a dare da mangiare a figli e marito: questa è la grande novità” ha spiegato la senegalese Fatou Guèye Ndiaye, attivista della Rete africana delle donne lavoratrici (Rafet).
Dello stesso avviso è stata anche Diama M’Bodj che rappresenta l’associazione Donne e Pesca di Mauritania (veicolato in Italia da Slow Food .pdf ): “La nostra associazione che raggruppa tutte le donne che puliscono e trasformano i prodotti ittici contava soltanto 35 membri nel 1995 mentre ora siamo più di mille soci, soprattutto donne capo-famiglia che vogliono organizzarsi insieme”.
“L’unione fa la forza - aggiunge Fatou Bintou Diane dell’Unione delle donne della Patte d’oie’ (letteralmente “zampa dell’oca”), dal nome di un quartiere di Dakar dove le donne vendono prodotti trasformati artigianalmente lavorando materie prime come frutta e verdura - così ci aiutiamo a vicenda per portare avanti attività pesanti anche dal punto di vista fisico. [...] Unite le donne riescono ad aver maggior peso economico e finanziario, necessario per avere accesso al microcredito, per investire e far sentire la loro voce”.
Così a Dakar, il giorno dopo, si respira l’aria giusta, senza enfasi, ma determinata: l’altro mondo possibile è ancora in cammino: è responsabile ed è donna.
Alessandro Graziadei
Nessun commento:
Posta un commento