“L’Italia non può rimanere totalmente disinteressata al rispetto delle norme di diritto internazionale”. È questo in sintesi il cuore dell’iniziativa dell’associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale che in questi giorni ha lanciato l’appello “Chiamiamola tortura” che vuole promuovere il no alla tortura istituendone per legge il reato. “In Italia la tortura non è reato. In assenza del crimine non resta che l’impunità - si legge nel testo dell’appello pubblico - Ma la violenza di un pubblico ufficiale nei confronti di un cittadino non è una violenza privata. Riguarda tutti noi, poiché è messa in atto da colui che dovrebbe invece tutelarci, da liberi e da detenuti”. Per questo una legge generica non basta. “Il crimine di tortura ha qualcosa di particolare - ha chiarito Antigone - Innanzitutto è imprescrittibile, non è mai perseguibile a querela di parte ed infine comprende anche la violenza psichica, non solo quella fisica". Con queste caratteristiche non si vede quale potrebbe essere la norma applicabile del nostro codice.
Così quando sentiamo, spesso in modo retorico da parte di chi ha potere pubblico e istituzionale, che alcune cose si fanno perché lo ha detto l’Europa, va ricordato che sia l’Europa che le Nazioni Unite ci dicono da anni che è necessario codificare e punire specificatamente e severamente chi commette il crimine di tortura, perché è un crimine contro l’umanità. In realtà però “sono più di venticinque anni che l’Italia è inadempiente rispetto a quanto richiesto dalla Convezione contro la tortura delle Nazioni Unite, che il nostro Paese ha ratificato, e che prevedere il crimine di tortura all’interno degli ordinamenti dei singoli Paesi” ha spiegato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. “La tortura è proibita dall’Onu e definita dall’Onu, ed è anche nel preambolo introduttivo del Trattato di Lisbona dell’Unione Europea, quindi è codificata già in ambito sovranazionale. L’Italia si è sempre sottratta. Ha sostenuto che la propria legislazione è sufficiente a coprire l’ipotesi delittuosa di tortura, quando invece la storia giudiziaria ci dice che così non è”.
Non siamo in pochi, infatti, a ricordare i fatti avvenuti nel 2001 a Genova alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto (ricostruiti dettagliatamente dal film “Diaz”) e che ci hanno insegnato come la tortura riguardi da vicino anche le nostre “grandi” democrazie. I casi di Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi o la recente sentenza del giudice Riccardo Crucioli che dovendo giudicare le violenze compiute da 5 agenti di polizia nei confronti di due detenuti è stato costretto ad assolvere i poliziotti colpevoli proprio perché “il codice penale non prevede il reato di tortura”, sono il termometro dell’urgenza di un appello al quale hanno dato il loro appoggio molti nomi illustri.
Tra questi uno dei primi firmatari dell’appello di Antigone è Erri De Luca. Per lo scrittore partenopeo “La pratica della tortura e della brutalità è stata reintrodotta clandestinamente nel nostro Paese. C’è fin dai tempi delle leggi speciali, dei carceri e dei trattamenti speciali nei confronti degli incriminati per banda armata degli anni ‘80. E oggi viene praticata di nuovo contro i detenuti o i trattenuti in stato di fermo. È una pratica accettata, ma taciuta. Allora io dico che questo Paese deve uscire dalla sua ipocrisia: o ammette ufficialmente la tortura come sistema di trattamento speciale di detenuti e di sospetti, oppure introduce nel codice penali il reato e lo scoraggia profondamente”. Per De Luca, inoltre, in questi ultimi anni “È aumentata la licenza di torturare. Prima era uno strumento più selezionato. Ma in questi anni abbiamo anche introdotto i Cie, campi di concentramento per rinchiudere i colpevoli di viaggio, dove si pratica la tortura di massa, in condizioni di isolamento e senza la verifica di nessun organo di questo Paese. L’aumento dei suicidi e degli atti di lesionismo non sono altro che spie di questo trattamento speciale e disumano”.
E non è un caso che l’Italia negli ultimi anni sia stata condannata svariate volte per violazione dell'articolo 3 della Convenzione Europea che vieta la tortura e che proibisce sia la tortura che i maltrattamenti. “È stata condannata in relazione alle condizioni di detenzione nelle nostre carceri, ma anche per quell’abominevole pratica di deportare le persone immigrate che arrivano da noi nei paesi di provenienza dove c’è il rischio di venir sottoposti a tortura, pratica vietata non solo dalla giurisprudenza di Strasburgo, ma ribadisco - ha aggiunto Gonnella - anche dal Trattato di Lisbona. Non si può mandare indietro una persona se il luogo da dove proviene c’è rischio di tortura. E l’Italia non ha mai rispettato questa regola. E quindi abbiamo subito varie sanzioni”.
Sarebbe sufficiente un’ora di lavoro per discutere e approvare una legge ad hoc, ma le preoccupazioni politiche, i timori di una parte minoritaria delle forze dell’ordine e la nostra indifferenza hanno lasciato una lacuna imperdonabile nel nostro codice penale. “Per questo chiediamo al Parlamento di approvare subito una legge che introduca il crimine di tortura nel nostro codice penale, riproducendo la stessa definizione presente nel Trattato Onu. Si tratta di una sola norma già scritta in un atto internazionale. Per approvarla ci vorrebbe molto poco”, ha concluso Antigone. “Sono passati troppi anni con questa lacuna persistente e speriamo che la presenza sotto al nostro appello di autorevoli firme del mondo della cultura, dell’accademia, dell’associazionismo, della società civile porti il legislatore a uno scatto di orgoglio democratico”.
Alessandro Graziadei
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