“Turning the tide together”, invertire insieme la marea, è questo lo slogan scelto per la XIX Conferenza internazionale sull’Aids che si è chiusa lo scorso 27 luglio a Washington. Si è trattato del più grande evento mondiale in cui i Governi, la società civile e i ricercatori (oltre a qualche star) hanno fatto il punto sulla lotta contro la pandemia definendo i prossimi passi da compiere per invertire la diffusione dell’Hiv e garantire l’accesso alla terapia antiretrovirale salvavita anche a coloro che vivono nei Paesi in via di sviluppo, come ben ci ricorda anche la Carta di Trento, con la sua visione della cooperazione internazionale allo sviluppo focalizzata sul tema della salute e in linea con il Sesto obiettivo del Millennio.
Tra relazioni, meeting, tavole rotonde e convegni una cosa appare chiara: nella lotta al virus i passi avanti negli ultimi anni non sono mancati. La Conferenza ha confermato il trend del rapporto “Together we will end Aids” pubblicato per l’occasione da Unaids, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di Aids e che ha confermato come i programmi di lotta contro la malattia, nell’ultimo decennio, abbiano prodotto risultati importanti “riducendo l’incidenza dell’Hiv a livello globale” e “espandendo l’accesso alla terapia antiretrovirale”.
Ma se nel rapporto “Si stima che 8 milioni di persone sieropositive che vivono nei Paesi impoveriti hanno ora accesso ai farmaci salvavita”, nel 2004 erano soltanto 700.000, da Washington è rimbalzata la notizia che “sono ancora quasi 7 milioni le persone che non ne possono beneficiare - ha fatto sapere la Lega italiana per la lotta contro l'Aids (Lila) - e la riduzione della pandemia non è ancora consolidata: per ogni persona che inizia la terapia antiretrovirale ve ne sono due che contraggono l’Hiv. È fondamentale, pertanto, non abbassare la guardia e continuare a investire risorse per contrastare l’Aids. Un calo dell’impegno finanziario metterebbe a rischio i risultati raggiunti finora”.
Ed ecco il problema. Buoni i propositi, ma come abbiamo avuto modo di raccontare negli scorsi mesi, mancano i fondi per “invertire una marea” che conta ancora milioni di persone che hanno bisogno di un accesso urgente ai farmaci antiretrovirali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. “Sarebbe scandaloso pensare che gli Stati africani, da sempre tra i più colpiti, possano combattere questa emergenza da soli, date le loro attuali limitate risorse - ha dichiarato Eric Goemaere, consulente di Medici Senza Frontiere (Msf) sull’Hiv per l'Africa australe a margine del Congresso -. È solo un cinico pretesto dei paesi donatori per ridimensionare i loro impegni precedenti di porre fine a questa malattia, con conseguenze catastrofiche per i pazienti”. In Repubblica Democratica del Congo per esempio, sempre per Msf, meno del 15% dei pazienti che necessitano di terapia antiretrovirale la riceve, solo l’11% delle strutture sanitarie offre il trattamento e meno del 6% di madri sieropositive ha accesso ai farmaci per prevenire la trasmissione dei virus ai loro bambini. “Visitiamo pazienti gravemente malati che hanno disperatamente cercato di avere accesso alle terapie antiretrovirali - ha raccontato Thierry Dethier, esperto di Hiv per Msf in Congo - Per troppi, la malattia è progredita a tal punto che stanno letteralmente morendo alle nostre porte”.
Non tutto è nero, però, neanche in questa parte di Africa. Alcuni governi hanno fatto passi avanti coraggiosi per affrontare la pandemia dell’Hiv/Aids. “Negli ultimi anni, in Zimbabwe e Malawi, i programmi di cura sono stati sostanzialmente ampliati - ha spiegato Msf - Il Malawi è stato il primo paese in Africa ad attuare i protocolli per la prevenzione della trasmissione da madre a figlio, che prevedono cure a lungo termine per le mamme sieropositive in attesa o in allattamento. Il Mozambico ha recentemente adottato un protocollo simile, che prevede la prescrizione di trattamenti migliori e il monitoraggio dei progressi compiuti mediante test sulla carica virale”. Analogamente, dal Saint Martin nostro partner in Kenya, ci confermano che l'infezione da Hiv/Aids, “che ha raggiunto il picco nel Paese nel 1999 […] ha ridotto nel 2011 dal 14% al 6,3% il tasso dei decessi correlati al virus, aumentando contemporaneamente le possibilità di accesso alle terapie antiretrovirali e ad altri servizi sanitari correlati”. Tuttavia, “la situazione è ancora precaria e legata principalmente ai finanziamenti internazionali” con “la vita di migliaia di persone in un equilibrio traditore” nonostante il coraggioso sostegno della Provincia Autonoma di Trento con un progetto triennale per la prevenzione e la cura dell’Hiv/Aids a Nyaururu partito già nel 2009.
La strada per raggiungere la famosa “Aids-free generation”, cioè una generazione in cui non ci siano più malati di Aids, quindi ci sarebbe, ma i piani per incrementare il trattamento e migliorare la qualità delle cure, che sono emersi da questa XIX Conferenza internazionale, rischiano di essere interamente demoliti dai Paesi donatori che, complice la crisi, fanno finta di dimenticare gli impegni presi in precedenza con il Fondo Globale contro Aids, Tubercolosi e Malaria. “In Malawi ci impegniamo ad attuare programmi basati sui recenti progressi scientifici - ha dichiarato Stuart Chuka, del Ministero della Sanità del Malawi - Eppure, proprio quando il successo è a portata di mano, siamo di fronte a una grande stretta finanziaria. Credo davvero che possiamo sconfiggere l’Aids. Ma non possiamo farcela da soli”.
L’Italia, con un debito di 260 milioni di euro nei confronti del Fondo Globale è tra i maggiori imputati. Per questo l’Osservatorio Italiano sull’Azione Globale contro l’Aids e la Lila, in occasione di questa Conferenza, hanno chiesto al Governo italiano di uscire dal limbo e di definire una strategia che indichi il ruolo che il nostro Paese intende rivestire nei prossimi anni per contribuire a sconfiggere la pandemia. “Il Governo ci faccia sapere, insomma, se intende rientrare nel novero dei global players che sostengono concretamente la lotta contro l’Aids o se ha deciso, a differenza degli altri Paesi del G8, di abbandonare al proprio destino milioni di bambini, donne e uomini che vivono nei paesi più poveri senza accesso ai farmaci salvavita”.
Ma la situazione è cupa anche per quanto riguarda l’impegno sul fronte nazionale. La fotografia che esce dal “Country Report” biennale sull’Aidsappena inviato dal ministero della Salute all’Unaids è quella di “un’unica spesa di prevenzione nazionale indirizzata alla comunicazione esclusiva della promozione del test Hiv e che in Italia è stata, nel 2011, di 180 mila euro”. Mentre i Paesi europei stanziano cifre che vanno da centinaia di migliaia di euro a diversi milioni, per sviluppare anche programmi specifici per le popolazioni vulnerabili, in Italia semplicemente la prevenzione non si fa. “In tempi di spendig review - ha commentato la Lila - pare che nessuno si renda conto che una fetta non indifferente della spesa sanitaria, circa mezzo miliardo di euro, se ne va ogni anno solo per i farmaci antiretrovirali e per un'infezione che può essere evitata. Un calcolo che non tiene conto dei costi sociali e umani, e neppure dei costi legati alle cure necessarie per le patologie opportunistiche che possono colpire le persone sieropositive”.
Alessandro Graziadei
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