Cina, Iran e Arabia Saudita sono stati nel 2011 i primi tre Paesi-boia nel mondo, ma in generale si registra una riduzione significativa delle esecuzioni, passate dalle 5.946 del 2010 alle circa 5mila dello scorso anno grazie soprattutto al calo delle persone giustiziate in Cina. È quanto emerge dal Rapporto 2012 di Nessuno tocchi Caino La pena di morte nel mondo, presentato lo scorso mese a Roma. La ricerca che analizza anche i primi 6 mesi del 2012 conferma quella che è una tendenza verso l’abolizione della pena di morte nel mondo, dove i Paesi che hanno deciso di eliminarla, per legge o nella pratica, sono oggi 155 contro i 43 dove il boia lavora ancora. Di questi Paesi “death free” sono 99 i totalmente abolizionisti, 7 gli abolizionisti per crimini ordinari, 5 quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni e 44 i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte.
Si tratta di una parabola discendente che è stata appoggiata, alla 67ª sessione dell’Assemblea generale dell’Onu, dal tradizionale impegno dell’Italia nella campagna per la moratoria della pena di morte in vista di un’abolizione universale. “L’obiettivo - ha dichiarato il Ministro degli Esteri Giulio Terzi dal palazzo di Vetro di New York lo scorso 27 settembre - è quello di incrementare il numero dei Paesi abolizionisti o che aderiscono alla sospensione indefinita delle esecuzioni capitali”. In definitiva per il capo della diplomazia italiana “la pace e il pieno rispetto dei diritti umani in primis il diritto alla vita, sono strettamente correlati”, e vanno perseguiti nonostante le difficoltà, visto che “imporre agli Stati il rispetto dei diritti dell’uomo resta un compito molto difficile. Gli orrori della crisi siriana ce lo confermano giornalmente”. Ma facendo un rapido e attuale giro del Mondo “in pena di morte” ci si accorge che non occorre evocare i soli scenari di guerra per notare che il cammino è ancora lungo.
Il 23 agosto otto uomini e una donna sono stati fucilati nelle prime esecuzioni dal 1985 in Gambia e il presidente Yahya Jammeh ha annunciato il 14 settembre che le restanti condanne a morte, almeno 38, saranno con buona probabilità eseguite nei prossimi mesi. Secondo quanto riportato da Amnesty International la vita dei 38 prigionieri dipenderà dall'andamento della criminalità: “Se la violenza diminuirà, la moratoria contro la pena di morte sarà a tempo indeterminato; se aumenterà, verrà annullata automaticamente”, ha deciso Jammeh. “Far dipendere la vita e la morte di una persona da fatti che non ha alcun potere di determinare è una scelta arbitraria. La pena di morte non ha mai dimostrato di avere un effetto deterrente più efficace rispetto ad altre sanzioni - ha dichiarato Lisa Sherman-Nikolaus, ricercatrice di Amnesty sul Gambia - oltretutto, il sistema giudiziario gambiano è profondamente fallace e non è in grado di garantire processi equi”. Almeno due dei nove prigionieri messi a morte il 23 agosto non avevano avuto la possibilità di ricorrere in appello contro la condanna, in violazione della stessa Costituzione del Gambia.
Sempre rimanendo in Africa scopriamo che in Egitto 18 integralisti islamici sono stati condannati a morte e all’ergastolo il 24 settembre per una serie di attentati avvenuti nel Sinai lo scorso anno. Quattordici di loro saranno impiccati, mentre quattro trascorreranno la vita in carcere. Le pene sono state inflitte per l’uccisione di sei agenti di polizia, un soldato e un civile ad el Arish, nel nord del Sinai, tra giugno e luglio del 2011. Dalla caduta di Hosni Mubarak nel febbraio dello scorso anno, lungo il Sinai gli attacchi dei militanti islamici sono aumentati. Quest’anno, ad agosto, sono state uccise altre sedici guardie di frontiera egiziane e al momento le pene di morte del Governo di Mohamed Morsi non sembrano avere alcun effetto deterrente.
Solo un giorno dopo, il 25 settembre, negli Stati Uniti Cleve Foster, 48 anni, è stato giustiziato in Texas dopo che per tre volte lo scorso anno la sua esecuzione era stata sospesa dalla Corte Suprema. Era stato condannato a morte il 12 febbraio 2004 con l’accusa di aver violentato e ucciso, il 14 febbraio 2002, una ragazza di origine sudanese, Nyanuer “Mary” Pal, di 30 anni. Nel Paese a stelle e strisce, ha ricordato l’associazione Nessuno tocchi Caino, “Foster diventa il 9° giustiziato di quest’anno in Texas, il 486° da quando il Texas ha ripreso le esecuzioni nel 1982, il 30° dell’anno negli Usa e il numero 1.307 da quando gli Usa hanno ripreso le esecuzioni nel 1977”. Ma da oltre oceano non arrivano solo cattive notizie. Il 22 settembre David Mathis condannato a morte dallo stato della Louisiana e rinchiuso nel braccio della morte da 14 anni, ha ricevuto la commutazione della pena capitale. David ha scritto: “Ho ripreso a sperare e credo che questa commutazione mi offrirà la possibilità di combattere ancora per dimostrare la mia innocenza”. Mauro, suo amico di penna grazie alla Comunità di S. Egidio è entusiasta: “Ho attraversato l’Oceano sette volte per passare tre ore con lui - ha detto - Continuerò a farlo e a sostenerlo!”. Sempre dalla Luisiana fa riflettere il caso Damon Thibodeaux, 38 anni “uscito dal penitenziario dello Stato della Louisiana intorno alle 12.30 locali del 29 settembre”. La sua innocenza è stata accertata dalla prova del Dna, quindici anni dopo l’ingiusta accusa di aver abusato e ucciso la sua giovane cugina.
Non va così bene in Giappone dove lo scorso 27 settembre due prigionieri sono stati impiccati, portando a sette il numero di condannati a morte giustiziati nel 2012 durante il mandato del primo ministro Yoshihiko Noda.
Gli impiccati sono stati Sachiko Eto, 65 anni, una guaritrice condannata in relazione agli omicidi di sei seguaci e Yukinori Matsuda, 39 anni, riconosciuto colpevole di aver derubato e ucciso due persone nel 2003. “Dopo non aver effettuato esecuzioni nel 2011, il Giappone ha giustiziato sette persone solo quest’anno riportandosi nella minoranza di paesi che nel mondo utilizzano ancora la pena di morte”, ha affermato Roseanne Rife, responsabile progetti speciali di Amnesty International. Per la Rife la leadership del Giappone “ha scelto di nascondersi dietro l’opinione pubblica, piuttosto che dare l'esempio e adoperarsi per l’abolizione di questa punizione crudele, inumana e degradante” giustificando la firma in calce al decreto di esecuzione con il “sostegno molto diffuso verso la pena capitale” (oltre l'80%, secondo i sondaggi). Nelle braccia della morte del Paese rimangono in attesa dell'esecuzione 131 prigionieri.
Gli impiccati sono stati Sachiko Eto, 65 anni, una guaritrice condannata in relazione agli omicidi di sei seguaci e Yukinori Matsuda, 39 anni, riconosciuto colpevole di aver derubato e ucciso due persone nel 2003. “Dopo non aver effettuato esecuzioni nel 2011, il Giappone ha giustiziato sette persone solo quest’anno riportandosi nella minoranza di paesi che nel mondo utilizzano ancora la pena di morte”, ha affermato Roseanne Rife, responsabile progetti speciali di Amnesty International. Per la Rife la leadership del Giappone “ha scelto di nascondersi dietro l’opinione pubblica, piuttosto che dare l'esempio e adoperarsi per l’abolizione di questa punizione crudele, inumana e degradante” giustificando la firma in calce al decreto di esecuzione con il “sostegno molto diffuso verso la pena capitale” (oltre l'80%, secondo i sondaggi). Nelle braccia della morte del Paese rimangono in attesa dell'esecuzione 131 prigionieri.
Attualmente le impiccagioni in Giappone avvengono in segreto e con un preavviso di poche ore, se non addirittura senza preavviso e le famiglie vengono informate dopo l'esecuzione. Un sistema molto diverso da quello norvegese dove il 24 agosto Anders Breivik è tornato nella sua cella dopo aver ascoltato impassibile il verdetto con il quale veniva condannato a 21 anni di carcere per la strage di Utoya. Ai parenti delle vittime va bene così: “la sentenza è arrivata, ora possono ricominciare a vivere” hanno dichiarato alcuni dei ragazzi sopravvissuti. “Per me significa che Breivik è stato ritenuto responsabile per la morte di mia figlia e di altre 76 persone. Quindi ora sono sollevata, sono un po’ emozionata, dopo questi tredici mesi. Non avrei potuto chiedere una soluzione migliore” è stato il commento di una delle madri dopo la sentenza. In Norvegia non esiste l’ergastolo, men che meno la pana di morte. Un impegno rieducativo e non solo punitivo, una scommessa nell’uomo, ma non incondizionata. Se Breivik tra 21 anni sarà ritenuto ancora pericoloso potrà essere trattenuto in carcere e ciò in pratica equivarrebbe ad un ergastolo.
Alessandro Graziadei
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