domenica 14 ottobre 2012

Ogm sì, ogm no? L’ultima controversa e contestata ricerca


Ogm sì, ogm no? Il dibattito è ancora aperto e spesso partigiano, ma da quando alla fine degli anni ’80 gli ogm arrivarono sul mercato e venne introdotto il principio di equivalenza, tale per cui gli ogm sono stati considerati come le controparti non modificate, molta strada è stata fatta. Oggi un lavoro anticipato da Le nouvel Obeservateur condotto da un gruppo di ricercatori italiani e francesi guidati dal professor Gilles-Eric Séralini e pubblicato integralmente lo scorso mese sulla rivista internazionale Food and Chemical Toxicology, ha esaminato per due anni 200 ratti nutriti con mangimi contenenti ogm in percentuali variabili arrivando a risultati preoccupanti. In particolare l’ogm utilizzato dal team di scienziati è un mais Monsanto, l’NK603 attualmente commercializzabile nell’Unione Europea per l’alimentazione animale e quindi indirettamente presente nella catena alimentare umana, modificato per resistere ad un erbicida commercializzato col nome di Roundup dalla stessa Monsanto e con alle spalle in Francia un’accusa di avvelenamento.
La ricerca è nata dal presupposto che nonostante non siano mai stati riscontrati effetti collaterali immediati in seguito al consumo di ogm, poco o nulla si conosce degli effetti cronici legati all’ingestione di quantità ridotte per un periodo prolungato di tempo. Gli studi tossicologi normalmente condotti per l’approvazione di un alimento geneticamente modificato durano solo 90 giorni, mentre l’analisi di Séralini osserva gli effetti su un arco temporale di due anni. I 200 ratti analizzati durante 24 mesi sono stati divisi in quattro gruppi: il primo è stato alimentato con mais ogm non trattato con l’erbicida, il secondo con mais ogm trattato con il Roundup, il terzo con mais convenzionale, ma diluendo nell'acqua una certa dose di Roundup e il quarto era il gruppo di controllo nutrito con mangimi convenzionali e senza erbicida nell’acqua. Su questi animali sono state valutate la mortalità a lungo termine, la comparsa e l’estensione di masse tumorali e le possibili malattie metaboliche, fisiologiche e anatomiche. “L’analisi dei risultati ha evidenziato che i primi tre gruppi hanno fatto tutti registrare tassi di mortalità molto più alti, oltre che forti danni e alterazioni alla funzionalità di fegato e reniha dichiarato Slow Food che da anni si occupa del “buono, pulito e giusto” nell’alimentazione.
Oltre alle preoccupanti differenze di mortalità sul lungo periodo “è interessante osservare - ha ricordato Slow Food - che per la prima volta sono state studiate le conseguenze dell’alimentazione di mangimi trattati con l’erbicida e come poi si può eventualmente ritrovare come residuo nei cibi o nei mangimi che vengono venduti”. Generalmente, infatti, a venire testati sono gli effetti del solo principio attivo presente nell’erbicida, decontestualizzandolo rispetto alla soluzione in cui è disciolto quando viene commercializzato, cosa che fa una certa differenza dal momento che nella soluzione si trovano anche diversi coadiuvanti che aiutano l’azione del principio attivo.
L’analisi dei risultati? Controversa e contestata nonostante, come hanno affermato gli stessi autori, da soli i risultati dello studio non possono considerarsi risolutivi nel dibattito ancora aperto sui possibili effetti per la salute umana e animale del consumo di ogm. Tuttavia “il lavoro che è stato pubblicato su una rivista internazionale peer-reviewed garantisce la validità scientifica dello studio e la serietà professionale del team che ci ha lavorato, perché se così non fosse, significherebbe mettere in discussione la rivista intera e tutti coloro che a vario titolo ci lavorano”, ha commentato il prof. Federico Infascelli, ordinario di Nutrizione animale all’Università di Napoli Federico II e ascoltato da Slow Food. I dubbi e quesiti che lo studio di Séralini apre sono sicuramente preoccupanti anche perché, ha concluso Infascelli, “Gli autori mettono a confronto materiali e metodi da loro impiegati con quelli di lavori precedenti volti a dimostrare la non tossicità degli ogm, che risultano essere per molti aspetti più incompleti di questo”.
Ma come ha ricordato Marco Cattaneo su Le Scienze“la quasi totalità degli esperti si è detta scettica sul design dell’esperimento, sul ceppo di topi scelto, sui metodi di analisi dei risultati, persino sulla selezione delle fotografie pubblicate”. Insomma, secondo una parte della comunità scientifica l’articolo di Séralini e colleghi non ha le caratteristiche della “buona scienza”, e secondo alcune autorevoli fonti citate da Cattaneo (il Science Media Centre britannico, biofortified.org e Stats Chat) non dimostra proprio nulla. Simile l’analisi di Giordano Masini agricoltore e blogger: “Gilles-Éric Séralini, più che uno scienziato, è l’incarnazione di un paradosso: nonostante i suoi studi vengano regolarmente snobbati (e smontati) dalla comunità scientifica, lui continua a godere di un’apertura di credito pressoché illimitata da parte della politica e del mondo dell’informazione. Che si tratti di un classico esempio di cherry picking, ovvero del vizio di raccogliere solo quei dati che possono portare argomenti alla propria posizione precostituita, ignorando consapevolmente tutti gli altri? Per Masini “da uno scienziato che l’anno scorso aveva acquistato il riconoscimento di scienziato dell’anno da una società specializzata nella vendita di titoli onorifici fasulli nelle più disparate discipline, ci si può aspettare questo ed altro”.
Difficile trovare il bandolo della matassa in una storia che vede scienza e mercato forse non solo apparentemente compromessi. Tuttavia, come sostiene Greenpeace, il dibattito che circonda lo studio francese ha chiaramente evidenziato come tuttora non esistano protocolli adeguati e universalmente riconosciuti per l'esecuzione di test a lungo termine.

 “Tutti gli ogm attualmente consumati da esseri umani e animali nell'Ue sono stati approvati sulla base di test di durata compresa tra 28 e 90 giorni effettuati dalle stesse aziende biotech che ne chiedono la commercializzazione. Questo non è assolutamente sufficiente per identificare i problemi che possono emergere durante l'arco della vita di uomini e animali o delle generazioni future” ha dichiarato Federica Ferrario, responsabile campagna ogm di Greenpeace Italia. Attualmente l’Agenzia Europea per la sicurezza alimentare (Efsa) riconosce che è fondamentale adottare una metodologia adeguata per una seria ricerca scientifica, ma omette di menzionare il fatto che attualmente non esistono metodi concordati e riconosciuti. Servirebbe una legge chiara sull’etichettatura degli alimenti, cosicché non solo siano riconoscibili i cibi contenenti ogm, come indicato nei Regolamenti 1829 e 1830/2003/CE, ma anche i prodotti come carne e formaggi, derivati da animali nutriti con mangimi ogm.
E intanto? Il consiglio della Ferrario è chiaro: “I risultati dello studio di Séralini sono molto preoccupanti e per questo li andremo a verificare in modo approfondito. Resta il fatto che non ha senso correre rischi inutili, bisogna applicare il principio di precauzione e adottare subito una moratoria all'importazione e alla coltivazione di ogm a livello europeo”. Ne è convinto anche il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Mario Catania, che ha chiesto al Ministro della Salute, Renato Balduzzi, di verificare al più presto i dati contenuti nel recente studio di Séralini.
Alessandro Graziadei

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