Una donna ha in mano due cime di broccoli e una busta di verdura e dice di non avere i soldi per comprare nemmeno i generi di prima necessità: “Ho una pensione di 600 euro con cui dobbiamo vivere io e i miei tre figli disoccupati”. Un uomo, prima elettricista, afferma di essere disoccupato da tre anni. “Ho fatto di tutto senza riuscire a trovare un lavoro stabile. Ora con una busta di pomodori e una cima di broccolo, io e mia moglie, andremo avanti per una settimana”. E poi “Capita sempre più spesso di vedere persone che rovistano nei cassonetti alla ricerca di qualcosa ancora buono da poter mangiare”, anche loro sono parte dell’enorme schiera di quelle persone, fino a poco tempo fa considerate “normali”, rimaste vittime di una crisi economica che ha distrutto migliaia di famiglie. Scene e frasi delle cronache greche degli scorsi mesi la cui economia ha subito un crollo del 25% dal 2008 a oggi. Tradito dal capitalismo e da un mercato senza regole, oltre che da una notevole dose di corruzione, una gestione quantomeno allegra delle finanze pubbliche e da delle richieste di rigore sproporzionato da parte degli organismi internazionali la Grecia prova ora a ripartire puntando sull’iniziativa dei cittadini.
Perfino il New York Times lo scorso mese è andato a vedere cosa succede a questa parte dell’economia Greca, che sta cercando di valorizzare le imprese sociali, i gruppi di acquisto solidali, i collettivi e il volontariato estromettendo dal mercato qualunque attore tradizionale, sia esso la grande distribuzione, lo pubblica amministrazione, le associazioni di categoria o qualunque altra organizzazione che non siano i produttori e i consumatori stessi. Gli esempi riusciti non mancano. Savvas Mavromatis proprietario di una piccola azienda familiare che produce detergenti non ha mai avuto pensieri anticapitalisti ed era molto scettico davanti ai teoremi di attivisti che lottano “per eliminare i profittatori del mercato”. Ma, nel tentativo di mantenere la sua attività a galla, sotto il peso delle fatture non pagate e delle continue richieste di tangenti ha deciso lo scorso anno di provarci e ha iniziato a vendere i suoi prodotti attraverso il Voluntary Action Group (un collettivo senza scopo di lucro) direttamente ai consumatori invece che ai negozi e ai commercianti come aveva sempre fatto . Un piccolo e donchisciottesco gruppo quello dei Voluntary Action Group, che non si definisce comunista o anticapitalista, ma che si propone l’obiettivo di aiutare le persone a sopravvivere e spesso ci riesce. Quattordici mesi dopo, infatti, Mavromatis può dire di aver salvato la sua azienda dalla crisi economica grazie a questa rete contraria agli intermediari che sorprendentemente è riuscita nel tentativo di ridefinire alcuni termini del commercio.
Le iniziative sperimentali come quelle seguite da Mavromatis, portate avanti tra l’altro anche dagli attivisti del discusso partito Syriza, sono sorte ai margini di molte città in varie parti della Grecia. Anche se non sembrano poter offrire una soluzione a lungo termine, e sono troppo piccole per alterare la forma complessiva dell’economia, rappresentano uno sforzo per affrontare una crisi economica ben diverso dalle strumentalizzazioni politiche della beneficenza di Alba Dorata e delle sue distribuzioni di cibo ai soli greci. Spuntano così qua e là coordinamenti di consumatori molto simili per certi versi ai nostri Gruppi di Acquisto Solidale (Gas), assolutamente non profit, che si rivolgono direttamente ai produttori e concordano con loro un prezzo basso e fisso per alcuni prodotti essenziali, accettando pagamenti solo in contanti “per non ingrassare le banche”. I soci del coordinamento effettuano gli ordini su un sito, l’associazione trattiene una piccola parte per le spese, ma la distribuzione della merce è a costo zero perché è effettuata da volontari, occupati o disoccupati, che lavorano su turni.
“Allo stesso modo si procede per le cure mediche” ha spiegato Sonia Mitralia, femminista greca e attivista dei movimenti anticapitalisti. “È vero che c’è un’emergenza per quanto riguarda l’accesso ai bisogni fondamentali della popolazione, sappiamo, per esempio, che ci sono 30.000 tagli di elettricità al mese, ma il problema più grave è che ci sono 3 milioni di persone che non hanno assistenza sanitaria. Proprio intorno a questo problema è nato un movimento di solidarietà con iniziative autogestite un po’ in tutta la Grecia: ci sono strutture per fornire medicinali e cure mediche ed esistono anche farmacie popolari e distributori gratuiti di medicinali”. Ce ne sono per esempio a Salonicco e ad Atene. “Io stessa sono attiva in una struttura nell’ex aeroporto Elleniko che ha dato cure già a diverse migliaia di persone” ha detto la Mitralia. Medici e infermieri volontari si alternano inoltre in strutture mobili poste in parcheggi pubblici e visitano gratis, distribuendo farmaci donati da privati.
Qualunque sia il settore, lo scopo, assicurano i promotori di queste reti solidali, non è distruggere il mercato tradizionale, anche se oggi in Grecia certamente nessuno morirebbe per difendere l’euro, ma “metterlo in pausa” in attesa di tempi migliori. E tutto questo, sottolineano, avviene a costo zero per lo Stato, che già ha i suoi guai. “Si tratta di una novità assoluta per la Grecia e non solo - ha detto al New York Times Fiori Zafeiropoulou esperta di impresa sociale e cooperazione - Noi siamo abituati alla corruzione, all’incertezza del diritto, a trattare con lo Stato come se ci dovesse fare un favore, ora qui sono invece i cittadini che agiscono in prima persona”. Ora non vogliamo mitizzare il popolo greco più di altri, non stiamo dicendo che magicamente in qualche cittadina del Peloponneso stanno radunati i più virtuosi uomini del pianeta. I greci non sono diversi dalle altre popolazioni del mondo. Il messaggio importante dell’esperienza greca è un altro. Le notizie “eurocentriche” che ci investono ogni giorno rischiano di farci dimenticare come dietro a uno stato, o meglio, davanti, c’è necessariamente un popolo, che nella sua ricerca di soluzioni si affida sempre più all’economia sociale, al dono, al non profit all’interno di una decrescita economica forzata, non certo felice, ma certamente utile e sensata. L'Europa forse dovrebbe porre più attenzione alle conseguenze di politiche economiche pensate quasi sempre per salvare gli stati anziché i popoli.
Alessandro Graziadei
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