domenica 29 giugno 2014

America Latina: “i popoli indigeni non sono immobili”

Probabilmente in pochi sono riusciti a vedere il gesto di Jeguaká Mirim un giovane rappresentante dei Guarani, visto che le telecamere hanno prontamente cambiato inquadratura. Ma Jeguaká, uno dei tre ragazzi brasiliani che durante la cerimonia di apertura della Coppa del Mondo 2014 ha liberato delle colombe bianche, ha approfittato dell’occasione per chiedere il riconoscimento dei diritti territoriali indigeni mostrando una sciarpa rossa su cui si leggeva “Demarcazione subito!. Un problema “Importante ed urgente - ha ricordato Survival International - visto che nonostante i Guarani vivano in cinque stati e siano la tribù più numerosa del Brasile, gran parte del loro territorio ancestrale gli è stato rubato per far spazio ad allevamenti di bestiame e piantagioni di canna da zucchero”.
Oggi molti Guarani sono costretti a vivere in riserve sovraffollate o in campi ai margini della strada dove dilagano malnutrizione e malattie, e in alcune comunità, come quella di Jeguaká nota come Krukutu, gli indigeni vivono ai margini di grandi aree urbane e non hanno praticamente più terra”. A causa della perdita dei loro territori, i Guarani-Kaiowá del Mato Grosso do Sul soffrono del più alto tasso di suicidi al mondo e i loro leader vengono presi di mira e uccisi ogni volta che cercano di rioccupare piccole aree della loro terra ancestrale. Per questo i Guarani, Survival International e altre organizzazioni per la difesa dei diritti dei popoli indigeni hanno denunciato in queste settimane il “Lato oscuro del Brasile” e hanno chiesto al Governo brasiliano di rispettare la propria costituzione e la legge internazionale, demarcando il territorio per l’uso esclusivo della tribù.
Il padre di Jeguaká, lo scrittore guarani Olívio Jekupe, ha affermato che il simbolico gesto durante la cerimonia inaugurale dei mondiali “ha forse dimostrato al mondo che non siamo immobili… Mio figlio ha denunciato al mondo quello di cui abbiamo davvero bisogno: la demarcazione delle nostre terre.” Come dice Jekupe i popoli indigeni sono tutt’altro che immobili e con le armi dell’ironia e del diritto continuano da decenni una lotta che incomincia a dare alcuni piccoli, ma certamente significativi successi, proprio come il gesto di Jeguaká Mirim. Un primo esempio lo troviamo nella risposta indigena alla pubblicità di Coca-Cola e FIFA, in cui si promuove la Coppa del Mondo utilizzando l’immagine di un Indiano sorridente accompagnata dalla scritta “Benvenuti alla Coppa di tutto il mondo”. Survival International con il sostegno dei Guaranì ha ideato un “contro spot” con un’immagine provocatoria in cui Nixiwaka, della tribù degli Yawanawa, indossa una maglietta con la scritta “Lasciate vivere i Guarani!. Di recente, infatti, la Coca-Cola, uno dei principali sponsor della Coppa del Mondo, è stata coinvolta nella lotta territoriale dei Guarani “perché compra zucchero dal gigante americano Bunge, che a sua volta si rifornisce di canna da zucchero coltivata nella terra ancestrale della tribù” ha spiegato Survival. Per questo i Guarani hanno chiesto alla Coca Cola di rispettare i loro diritti e smettere subito di comprare zucchero dalla Bunge anche attraverso questa nuova protesta mediatica che ha il merito di aver suscitato non poca curiosità.
Ma non è l’unico successo che i popoli indigeni stanno raccogliendo. Il Presidente paraguaiano Horacio Cartes ha firmato lo scorso 12 giugno uno storico progetto di legge per l’espropriazione di 14.400 ettari di terra a favore degli Enxet del Paraguay settentrionale. Dal 1991 la tribù rivendica il diritto alla proprietà della sua terra ancestrale e nell’attesa, almeno 19 membri della comunità sono stati uccisi.  “La comunità Enxet di Sawhoyamaxa ha vissuto per vent’anni in misere condizioni lungo i bordi di una superstrada dopo che il loro territorio era stato comprato dall’allevatore tedesco Heribert Roedel, proprietario della compagnia Liebig. Gran parte della sua fortuna derivò da una frode commessa ai danni del pubblico tedesco, che Roedel convinse ad investire nella terra paraguaiana” ha spiegato Survival. Con i soldi ottenuti dalla truffa agli investitori tedeschi, Roedel  acquistò vasti appezzamenti di terra nella regione del Chaco in Paraguay e sfrattò Enxet che lì vivevano da tempo immemorabile. Grazie anche all’aiuto dell’organizzazione locale Tierraviva, nel 2001 gli Enxet hanno portato il loro caso davanti alla Corte Inter-americana dei Diritti Umani e nel 2006, la Corte ha giudicato il Governo del Paraguay colpevole di aver violato il diritto territoriale degli Enxet e ha stabilito che i 14.400 ettari dovevano essere restituiti alla comunità di Sawhoyamaxa. Così otto anni dopo la loro attesa è finita: “Ci siamo ripresi la nostra Madre Terra” ha detto ai giornalisti il leader Enxet Leonardo González. “Senza di lei non potremmo esistere, essere liberi, camminare nè essere felici”.
Una storia di sofferenza culminata in un importante successo come quella del popolo Asháninka, della giungla del Perù centrale. Un gruppo di ricercatori del governo peruviano ha scoperto nelle scorse settimane la più grande fossa comune del Paese all’interno del loro territorio ancestrale. La fossa contiene i resti di circa 800 persone che, per la maggior parte, sarebbero Asháninka e Matsigenka. Negli anni ’80 gli Indiani furono decimati dai violenti conflitti intercorsi tra la guerriglia maoista, conosciuta come “Sendero luminoso”, e le forze anti-guerriglia. Ancora oggi il loro territorio è minacciato da progetti petroliferi, gasdotti, dighe idroelettriche, traffico di droga e deforestazione, ma le loro proteste non sono rimaste inascoltate e quest’anno la leader asháninka Ruth Buendia ha ricevuto il prestigioso Premio ambientale Goldman per il suo impegno e le azioni legali intraprese contro la diga Pakitzapango. La diga faceva parte di uno dei sei progetti idroelettrici pianificati da un accordo energetico tra Brasile e Perù, e avrebbe costretto migliaia di Asháninka ad abbandonare le proprie case, ma grazie a Buendia e la sua organizzazione CARE gli Asháninka sono riusciti a fermare la diga. Un altro riconoscimento sulla via della demarcazione delle terre indigene che fa ben sperare per il futuro!

Ma la strada per proteggere tutti i territori indigeni e rispettare la promessa di migliorare il coordinamento transnazionale per proteggerli è ancora lunga. Per gli Indiani incontattati che vivono nella foresta amazzonica brasiliana vicino al confine con il Perù, infatti, c’è ancora il rischio di “tragedia” e “morte”. Questo è quanto denunciato da alcuni funzionari brasiliani a seguito del sensibile aumento di avvistamenti di gruppi isolati nell’area. Secondo gli esperti, gli Indiani hanno attraversato il confine con il Perù per fuggire dalle ondate di taglialegna illegali che stanno invadendo il loro territorio. Adesso stanno per entrare nel territorio di altri gruppi di Indiani isolati del Brasile e di alcune comunità stanziali. “Dove andranno gli Indiani incontattati? Se le loro terre non saranno protette, morirannoha dichiarato in una recente visita in Europa il famoso leader amazzonico Raoni Metuktire, che ha guidato la lotta dei Kayapó per il loro territorio e contro la distruzione dell’Amazzonica. “Per le tribù incontattate i confini non esistono, per questo Brasile e Perù devono lavorare insieme per impedire che si perdano vite umane” ha dichiarato ieri Stephen Corry, Direttore generale di Survival International. “Nel corso della storia, ogni qual volta le loro terre sono state invase, i popoli incontattati sono stati distrutti. È essenziale che il loro territorio sia protetto adeguatamente. Entrambi i governi devono intervenire se vogliono che i loro cittadini sopravvivano”.
Alessandro Graziadei

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