Cinque anni dopo la fine ufficiale della guerra civile, festeggiata il 18 maggio scorso e gestita dal Governo del presidente Mahinda Rajapaksa in modo autoritario applicando “l’impunità dei vincitori”, lo Sri Lanka non trova pace e il conflitto etnico tra Singalesi e Tamil ha solo cambiato nome lasciando spazio a quello religioso tra buddisti e mussulmani. Purtroppo non si tratta di una notizia inaspettata. Su una popolazione di 21,6 milioni di persone, il 73,8% è di etnia singalese. La religione ufficiale è il buddismo, praticato dal 69,1% della popolazione e con appena il 7,9%, l’islam è la seconda religione del Paese, seguita per lo più da membri di etnia e lingua tamil. Anche per via della strumentalizzazione di queste percentuali, che ricalcano le vecchie divisioni etniche, è esplosa il 15 giugno scorso la violenza dell’estremismo buddista contro la minoranza mussulmana dopo un comizio organizzato a Aluthgama dall’organizzazione fondamentalista Bodu Bala Sena (Bbs), letteralmente Forza del potere buddista e meglio nota come “brigata buddista”.
Già nel 2013, gli attacchi contro i musulmani e i loro luoghi di preghiera erano stati centinaia. Lo aveva denunciato Amnesty International nel suo rapporto annuale 2013 (.pdf) e lo aveva segnalato con preoccupazione l’allora Alta commissaria per i diritti umani Navi Pillay. Quest’anno, a marzo, vi aveva fatto riferimento anche il Consiglio Onu dei diritti umani, nella risoluzione che aveva istituito una commissione d’inchiesta sui crimini di guerra commessi durante il conflitto armato. Ora come in Myanmar, dove dal maggio del 2012 lo Stato occidentale del Rakhine è teatro di un violento conflitto etnico-religioso fra buddisti e musulmani, anche ad Alutgama e Beruwala nella regione turistica nel sud-ovest dello Sri Lanka, la minoranza musulmana conta in questi giorni un bilancio provvisorio di un centinaia di feriti, quattro morti (tra cui un neonato di appena una settimana), una moschea distrutta oltre a decine di case e negozi dati alle fiamme.
Come ha riferito negli scorsi giorni AsiaNews da diversi mesi il Bbs e altre organizzazioni analoghe attaccano in modo verbale e fisico le comunità mussulmane e si appellano al boicottaggio dei loro negozi giustificando i loro atti persecutori e violenti con la scusa “di voler proteggere la popolazione singalese e la sua religione” dai tentativi di musulmani e cristiani di "praticare la conversione di buddisti e sovvertire una società a maggioranza buddista". Per questo “nel suo comizio ad Aluthgama Galagodaaththe Gnanasara Thero, monaco buddista leader del Bbs, avrebbe incitato alla violenza radicale tra singalesi buddisti e musulmani. Al termine del raduno, i militanti del Bbs hanno marciato nelle zone a maggioranza islamica della città, intonando slogan anti-musulmani e lanciando pietre contro alcune case e una moschea”, provocazioni che sono degenerate in scontri violenti. Non è chiaro quando le forze dell’ordine siano intervenute per disperdere i fondamentalisti, tuttavia, nonostante il coprifuoco posto dal governo ad Aluthgama ed esteso anche alla città di Beruwala, a maggioranza islamica, gli scontri sono proseguiti anche negli scorsi giorni quando migliaia di musulmani hanno organizzato un hartal (manifestazione) per chiedere al governo di mettere al bando il Bbs.
Dopo gli attacchi contro i musulmani, l’Associazione per i Popoli Minacciati (Apm) ha chiesto una migliore protezione per tutti i cittadini dell’isola. I musulmani delle due città, ha spiegato l’Associazione, “hanno accusato la polizia di aver assistito alle violenze senza essere mai intervenuta” mentre “le autorità hanno richiamato tutti alla calma minimizzato gli incidenti e parlando di semplici scontri tra gruppi di popolazione”. “Se il governo dello Sri Lanka ha davvero a cuore la protezione delle minoranze etniche e la libertà di credo, allora deve intraprendere un’azione decisa contro l'incitamento all’odio degli estremisti buddisti” cominciando con il “vietatare l’organizzazione nazionalista singalese Forza del potere buddista perché da mesi ormai provoca disordini a livello nazionale contro la minoranza musulmana” ha precisato l'Apm.
Non siamo però alla guerra civile. Alcuni leader religiosi cristiani hanno subito espresso un’aperta condanna al brutale attacco subito dalla comunità musulmana. Marimuttu Sathivel, sacerdote anglicano membro del Christian Solidarity Movement (Csm), ha affermato la necessità di “chiedere perdono ai nostri fratelli musulmani, dal momento che il Bbs (che li ha colpiti) e la polizia, l'esercito e i politici (che hanno permesso che ciò accadesse) non l'hanno ancora fatto”. Anche padre Ashok Stephen, sacerdote cattolico e direttore del Centre for Society and Religion (Csr), ha criticato il comportamento della polizia. “Le forze dell'ordine - ha sottolineato Stephen - sono sempre molto solerti nel frenare la più piccola manifestazione organizzata da studenti universitari contro il governo. Eppure, a stento prende provvedimenti per prevenire simili violenze e tace quando avvengono questi omicidi”. Anche la comunità buddista moderata è insorta contro le violenze pagandone direttamente le conseguenze visto che il monaco Wataraka Vijiyha Thero, noto per le sue aspre critiche nei confronti della Bbs, è stato trovato il 19 giugno senza sensi alla periferia di Colombo. Il religioso ha subito un pestaggio nel distretto di Panadura ad opera di “ignoti” e i suoi soccorritori lo hanno trovato nella notte nudo e con diverse ferite da armi da taglio sul corpo.
Al momento la polizia dello Sri Lanka, supportata per contenere la violenza da centinaia di militari, ha rimosso da qualche giorno il coprifuoco ed ha arrestato 49 persone. Un primo passo ben accolto dalla comunità islamica che per voce di Iyad Madani, segretario generale dell’Organisation of Islamic Cooperation (Oic, una delle più importanti associazioni islamiche al mondo), ha chiesto di “mantenere rapporti calmi e pacifici tra le due comunità, ma esortiamo le autorità a restaurare lo Stato di diritto, investigare sull’accaduto e assicurare tutti i colpevoli alla giustizia”. Un appello importante anche se per l’Apm questa non è stata una violenza spontanea tra gruppi di popolazione bellicosa come ha minimizzato la polizia, “ma un tentativo mirato di far esplodere le tensioni tra le minoranze religiose e la maggioranza buddista”, oltre che un attacco alla democrazia e ai diritti umani in Sri Lanka. “Questo conflitto ha ben poco a che fare con la religione - ha concluso l’Apm - si tratta soprattutto di invidia per il successo che i tanti musulmani hanno a livello commerciale e se questo odio nazionalista non verrà presto vietato e seriamente combattuto dalle autorità, il rischio di una deflagrazione del conflitto diventerà sempre maggiore”.
Alessandro Graziadei
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