Oggi in India gli interessi economici e il drammatico peggioramento dei diritti di alcune minoranze etniche e religiose sembrano marciare a braccetto. A poche settimane dall’insediamento con la vittoria elettorale del suo partito BJP (Bharatiya Janata Party - Partito del popolo indiano) alle elezioni parlamentari indiane, infatti, il Premier nazionalista hindu Narendra Modi ha dichiarato la costruzione della mega-diga di Polavaram “un progetto di interesse nazionale”. Ma la parola nazionale non sembra la più appropiata. Il progetto della diga di Polavaram prevede la costruzione di un muro di contenimento alto 45 metri, lungo 2,3 km ed è pensato per la produzione energetica e per l’irrigazione agricola. “Secondo gli oppositori al progetto - ha spiegato la scorsa settimana in un comunicato stampa l’Associazione per i popoli minacciati (Apm) - la promessa della futura irrigazione di quell’area è solo propaganda per il semplice motivo che l’85% dei campi agricoli della zona sono già perfettamente irrigati, trattandosi delle zone della foce del fiume Krishna e del fiume Godavari”.
Ma questa non è l’unica perplessità che accompagna il faraonico progetto. Il bacino di raccolta e i due canali di irrigazione previsti con la costruzione della diga cancelleranno 276 villaggi attualmente sparsi su un territorio lungo 150 km in diversi stati federali. Per accelerare la costruzione della diga Modi ha deciso unilateralmente, senza alcuna consultazione con le autorità locali e la popolazione coinvolta, una riforma territoriale che modifica drasticamente i confini degli stati federali di Telangana e Andhra Pradesh. Per l’Apm “Con la riforma territoriale e il conseguente spostamento di competenze, Modi spera di riuscire ad avviare i lavori della mega-diga di Polavaram, da anni bloccati a causa delle molte istanze legali presentate dalle popolazioni locali contro la costruzione” accelerando così anche il dislocamento forzato di 300.000 persone che dovranno lasciare la propria terra che sarà inondata con la costruzione della diga.
La maggior parte delle persone che subiranno le nefaste conseguenze di questo progetto sono Adivasi il cui spostamento forzato viola apertamente il diritto alla terra della popolazione nativa e che adesso, con il maggiore spezzettamento delle competenze locali e il passaggio a "progetto nazionale", troveranno sempre più difficile opporsi a un’opera che per molti rischia di creare una catastrofe ambientale e umanitaria peggiore di quella creata dalla diga di Narmada Sagar. “La riforma territoriale di Modi mira chiaramente a suddividere e quindi indebolire la popolazione nativa” ha chiarito l’Apm. “Finora i circa 6 milioni di Adivasi costituivano il 7% della popolazione di Andhra Pradesh, con la riforma la loro percentuale sarà in entrambi gli stati minima togliendo loro un notevole peso politico”. I rappresentanti dei popoli Adivasi temono inoltre che il governo Modi abbia in serbo altri e nuovi dislocamenti forzati per la realizzazione di altri mega-progetti tra cui la costruzione di canali che colleghino tra loro 37 fiumi. “Quest’ultimo progetto è stato pensato proprio dal partito BJP di Modi, ma è rimasto finora nel cassetto per mancanza di fondi. Con l’insediamento di Modi, questa situazione potrebbe cambiare nonostante le critiche di ambientalisti e attivisti per i diritti umani che definiscono il mega-progetto come una follia” ha aggiunto l’Apm.
Uno dei tanti casi dove gli interessi economici “sommergono” i diritti di chiunque si trovi lungo la strada del profitto quindi? Non proprio. Sulle isole Andamane, su cui vivono i popoli indigeni tra i più antichi e maggiormente minacciati al mondo, la campagna elettorale del BJP prometteva l’assimilazione dei popoli indigeni, tra cui gli Jarawa che hanno coscientemente scelto di restare isolati dalla cosiddetta civiltà e sono costantemente minacciati da autentici “safari umani”. L’assimilazione forzata delle popolazioni indigene non solo violerebbe le disposizioni di legge indiane sulla tutela dei popoli indigeni, ma di fatto significherebbe la cancellazione coatta di comunità e culture uniche. Per l’Apm, quindi, la situazione delle minoranze etniche e religiose in India sarebbe in pericolo indipendentemente da progetti come quelli di Polavaram: “Da anni si assiste ad un preoccupante aumento delle violenze nei confronti di tutte le minoranze religiose e etniche in tutti gli stati federali indiani in cui il BJP è al potere”. Nel 2002 per esempio bande di nazionalisti hindu si resero responsabili di un vero e proprio pogrom contro la popolazione musulmana nello stato del Gujarat il cui governatore era all’epoca proprio Narendra Modi. In quell’occasione oltre 1.000 persone di religione musulmana furono uccise e più di 2.000 case e 2.400 esercizi commerciali furono distrutti e dati alle fiamme mentre la polizia restò a guardare. “Nel 2008 la violenza dei nazionalisti hindu dello stato federale di Orissa si scatenò contro i credenti cristiani” ha ricordato l’Apm. “Allora 53.000 persone di fede cristiana furono cacciate da complessivamente 315 villaggi, 151 chiese furono distrutte, 4.640 case saccheggiate e bruciate, circa 60 persone di fede cristiana furono uccise e molte furono minacciate di morte se non si fossero convertite all'induismo”.
In queste prime settimane dopo le elezioni si può quindi dire che sono i circa 200 milioni di Indiani appartenenti a una minoranza religiosa (oltre i circa 90 milioni di Adivasi) i veri perdenti di questa tornata elettorale e se l’India vorrà difendere la sua posizione di maggiore stato democratico in Asia, il Premier indiano Narendra Modi dovrà mettere non pochi freni ai radicali hindu e probabilmente rivedere la “legge anti-conversione” che prevede per chiunque voglia cambiare religione "la richiesta di un permesso al magistrato locale almeno 30 giorni prima della conversione", pena una multa o il carcere fino a tre anni. Negli ultimi dieci anni, però, questa legge è stata introdotta in tutti gli stati federali governati dal BJP del nuovo primo ministro indiano. Un precedente che non fa ben sperare.
Alessandro Graziadei
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