sabato 7 novembre 2015

In cammino verso Parigi... #ognipassoconta!

La buona notizia è che la battaglia contro i cambiamenti climatici non è ancora persa, ma servono obiettivi più ambiziosi. Quanto più ambiziosi? Tanto! Per questo Yeb Sano, già negoziatore delle Filippine per i cambiamenti climatici, ideatore di The People’s Pilgrimage ed Ambasciatore di OurVoices, ha iniziato il 30 settembre scorso da San Pietro un pellegrinaggio che lo porterà il 30 novembre alla XXI Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima (COP21) di Parigi, alla presenza di 196 capi di stato e di governo. Organizzato e promosso, per la tratta europea, da FOCSIV – Volontari nel mondo con la collaborazione della Coalizione Italiana per il Clima con il nome di “Una Terra, una Famiglia Umana. In cammino verso Parigi.” questo cammino destinato a confluire il 29 novembre nella Global Climate March (la grande Marcia prevista a Parigi e in centinaia di città del mondo) è un modo per chiedere ai potenti della terra interventi immediati per contrastare i cambiamenti climatici, come la riduzione dell’innalzamento della temperatura sotto 1,5 gradi entro il 2020 (entro il 2050 sarebbe troppo rischioso), il passaggio totale alle fonti rinnovabili con l’abbandono delle fonti fossili entro il 2050 e il finanziamento del Fondo Verde per le popolazioni più povere

Servirà l’appello di Sano? Rispetto alle fallimentari Cop che l’hanno preceduta, quella di Parigi si appresta ad iniziare all’insegna di un impegno politico maggiore. L’obiettivo, infatti, è fermare le emissioni già al 2020: dopo dovranno scendere e non salire. Prima l’Unione europea, poi gli Usa e la Cina (rispettivamente il terzo, secondo e primo emettitore di gas serra al mondo) si sono già impegnati a tagliare le proprie emissioni di CO2, e questo rende sempre più probabile che il mondo possa evitare di superare i 2 °C di riscaldamento globale entro i prossimi 5 anni. Per l’Europa il Deep decarbonization pathway project (Ddp) è forse l’esempio più lampante di questo impegno. Per la prima volta, quest’anno anche l’Italia è entrata a far parte del progetto e sono state individuate importanti soluzioni per la de-carbonizzazione del nostro Paese con l’obiettivo dichiarato di raggiungere un -50% di gas serra emessi nel 2050 rispetto al 1990. Si tratta di soluzioni basate sulle energie rinnovabili, tutte tecnologicamente già percorribili, che comporterebbero una bolletta energetica per il Paese più bassa e rallenterebbero solo di poco la crescita del Pil. 

Tuttavia, al momento, per l’Unfccc, l’organismo Onu che organizza e presiede la Conferenza sul clima, gli impegni adottati finora dai Paesi del mondo che si riuniranno a Parigi non bastano per evitare un "cambiamento climatico catastrofico". Secondo il nuovo Synthesis report on the aggregate effect of the intended nationally determined contributions, che analizza nel dettaglio gli oltre 140 piani di tagli alle emissioni che i Paesi del mondo hanno depositato sul suo tavolo entro il 1 ottobre 2015, “per ora le promesse fatte hanno la capacità di limitare il previsto aumento della temperatura a circa +2,7 °C entro il 2100”, un risultato definito come “del tutto insufficiente”. Un risultato non tanto diverso da quello ipotizzato anche dal Joint research center dell’Unione europea, secondo il quale “i tagli alle emissioni decisi finora non bastano, e anche se venissero correttamente implementati condurranno comunque a un aumento delle temperature di 3 gradi centigradi entro il 2020. Un grado di troppo”. 

Anche secondo l’analisi congiunta dell’International institute for applied systems analysis e del Potsdam institute for climate impact research, se Ue o Usa lanceranno obiettivi ambiziosi di riduzione della CO2 allora sarà possibile rimanere entro i 2 °C. Un traguardo tutt’altro che impossibili, se gli Stati Uniti decidessero di ridurre le proprie emissioni del 50% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010 (adesso l’impegno è a tagliarle del 22-24%) o in alternativa, se l’Ue tagliasse la CO2 del 60%, anziché del 27% come annunciato nell’ultimo pacchetto clima-energia. Previsioni e numeri già forniti dalle associazioni ambientaliste più di anno fa, le cui critiche sono state però ignorate dall’Unione europea. Eppure le misure per arrivare a questi risultati sono relativamente semplici, anche se costose e delicate per le grandi multinazionali del petrolio e del carbone.

Intanto a dimostrazione che la battaglia per il clima e gli inquinanti non è una sfida impossibile c’è il buco dell’ozono. Secondo la World Meteorological Organization (WMO) il 2 ottobre scorso il buco dell’ozono ha raggiunto la sua massima estensione del 2015, con una superficie di 28,2 milioni di km2 e, in base ai dati della Nasa, è il terzo più grande buco nell’ozono osservato dopo i record del 2000 e del 2006. Per Geir Braathen, scienziato del WMO “Questo ci dimostra che il problema buco dell’ozono è ancora con noi e che dobbiamo restare vigili. Ma non c’è motivo per un allarme e la situazione non può che migliorare”. Il Protocollo di Montreal sulle sostanze che riducono lo strato di ozono, da quando è entrato in vigore nel 1989, ha gradualmente eliminato la produzione e l'uso delle sostanze chimiche più pericolose, come i CFC o clorofluorocarburi, che venivano utilizzati negli impianti di refrigerazione e isolamento. “Il recupero sostanziale dello strato di ozono è è previsto per la metà del XXI secolo […]. Potremmo continuare a vedere grandi buchi di ozono antartici fino a circa il 2025, a causa delle condizioni meteorologiche nella stratosfera e perché le sostanze chimiche dannose per l’ozono persistono nell’atmosfera per diversi decenni dopo che sono state eliminate, ma il processo è avviato e fa ben sperare, se continueremo con questo impegno e in questa direzione” ha spiegato Braathen.

Insomma la buona notizia è che la battaglia contro i cambiamenti climatici è possibile e non è ancora persa, ma servono obiettivi più ambiziosi. Se a Parigi ne saremo capaci, però, è ancora tutto da dimostrare.

Alessandro Graziadei

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