Non affronterò in questo articolo le ragioni del Sì e quelle del No al prossimo referendum del 17 aprile sulle trivellazioni entro i 12 miglia dalla costa del Belpaese. Per chi cercasse delle argomentazioni (possibilmente le più scientifiche e le meno partigiane possibili) rimando all’ottimo e dettagliato pezzo "Le bufale sul referendum del 17 aprile" di Dario Faccini pubblicato su ASPO Italia, un'associazione per lo studio del picco del petrolio e del gas formata da esperti indipendenti nel campo dell’energia, del clima, dell’ambiente e dell’economia. Costi energetici, posti di lavoro, quantità di gas estratto sono tutti dati ben documentati da Faccini. Ma oltre ai legittimi dubbi che il referendum pone, come ha ricordato la campagna NO Triv, “il voto del 17 aprile è un voto immediatamente politico, in quanto, al di là della specificità del quesito, residuo di trabocchetti e scossoni, esso è l’unico strumento [per quanto ancora tristemente raggirabile] di cui i movimenti che lottano da anni per i beni comuni e per l’affermazione di maggiori diritti possono al momento disporre per dire la propria sulla Strategia Energetica nazionale che da Monti a Renzi resta l’emblema dell’offesa ai territori”.
Così, visto che con la COP 21 di Parigi si è timidamente deciso di contrastare i cambiamenti climatici lasciando finalmente una parte degli idrocarburi nel sottosuolo, il referendum sembra l’occasione buona per mandare un segnale di coerenza alle istituzioni italiane che di coerenza non ne vogliono sentir parlare a differenza dell’amministrazione di Barack Obama. Sì perché il presidente a stelle e strisce, rendendo nota la settimana scorsa la bozza del piano 2017-2022 per le trivellazioni offshore in mare aperto, meglio conosciuta come Outer Continental Shelf Oil and Gas Leasing Program, ha detto che saranno disposti “nuovi standard restrittivi basati sulla lotta al cambiamento climatico”. Obama sembra quindi continuare lungo la strada di un lento, ma inesorabile divorzio dai combustibili fossili, confermando quanto disse nel discorso sullo stato dell’Unione: “Ora dobbiamo accelerare la transizione per uscire dalle fonti di energia vecchie e sporche. Invece di sovvenzionare il passato, dobbiamo investire nel futuro, soprattutto nelle comunità che si basano sui combustibili fossili”.
Nelle prossime settimane, il governo federale Usa organizzerà audizioni pubbliche sul nuovo Piano in tutti gli Stati Uniti, offrendo così all’opinione pubblica la possibilità di esprimersi in merito alla proposta. Al momento però, si può tranquillamente dire, che sono stati sconfitti i governatori di Virginia, North Carolina e South Carolina che erano favorevoli alle trivellazioni ed hanno invece vinto i cittadini, gli ambientalisti e le 110 amministrazioni comunali e di contea delle comunità costiere che si opponevano alle trivellazioni, temendo per la pesca, la fauna selvatica e il turismo in una vasta area dell’Oceano Atlantico al largo degli Stati Uniti del sud-est. Come se non bastasse contro le trivellazioni offshore nell’Atlantico si era addirittura espresso l’esercito statunitense con un rapporto commissionato nel 2015 dal Southern Environmental Law Center e che ha rilevato che “con le trivellazioni offshore ci sarebbe stato poco o nessun beneficio economico per la East Coast, mettendo invece a rischio gran parte delle attività economiche della regione”.
Ecco, giusto per dare il senso delle proporzioni di quello che è in ballo in termini energetici, solo lungo la costa atlantica degli Stati Uniti, parliamo di una quantità di combustibili fossili infinitamente maggiore rispetto alle poche risorse che si vorrebbe ancora estrarre nei mari italiani e che attualmente, secondo Legambiente, “incidono per meno dell’1% del petrolio e del 3% del gas del fabbisogno nazionale”. Il paragone con l’Italia risulta ancora più incredibile pensando che la decisione di Obama è stata probabilmente condizionata della battaglia degli ambientalisti che hanno trovato (almeno a parole) il sostegno anche dei due candidati democratici alla presidenza della Repubblica: Bernie Sanders e Hillary Clinton. Ma il Sierra Club, la più grande e diffusa associazione ambientalista americana, chiede di più e annuncia una campagna contro le trivellazioni fino a quando anche l’Artico e il Golfo del Messico non saranno protetti dalle Big Oil e dalle fuoriuscite di petrolio. Michael Brune, direttore esecutivo di Sierra Club, ha detto che l’amministrazione Obama è da “applaudire per aver ascoltato le decine di migliaia di cittadini lungo la costa orientale che chiedevano di proteggere l’Oceano Atlantico, salvaguardando le sue spiagge e le economie costiere. Dopo aver guidato il mondo verso lo storico accordo sul clima di Parigi e il patto con il Canada per proteggere l’Artico, ci auguriamo però che l’amministrazione proseguirà i suoi sforzi e e blocchi le nuove trivellazioni nel Golfo del Messico e nell’Oceano Artico”.
In un appello ai suoi sostenitori e a Obama, il Sierra Club ha sottolineato che “Ora più che mai, stiamo assistendo ai crescenti impatti di origine antropica nello sconvolgimento del clima, alimentati dalla nostra continua dipendenza da petrolio, gas e carbone. Il presidente Obama ha un’opportunità fondamentale per estendere la sua leadership climatica alla prossima amministrazione utilizzando il prossimo piano quinquennale Outer Continental Shelf (Ocs) e mantenere 60 miliardi di tonnellate di dannoso inquinamento da carbonio delle riserve di petrolio e di gas offshore nel sottosuolo dove restare”. La storia americana potrà aiutare Obama a prendere anche questa importante decisione? Forse sì, visto che tutti gli americani ricordano nel 2010 il catastrofico disastro petrolifero della BP nel Golfo del Messico. Questo è il più eclatante, ma dal 1964 ci sono stati 40 grandi sversamenti di petrolio e delle fuoriuscite più piccole si verificano su base quotidiana. Il Bureau of Ocean Energy Management (Boem) stima che negli ultimi 45 anni siano fuoriusciti più di 500.000 barili di petrolio, non dichiarati, nelle acque americane.
È il momento di andare oltre i combustibili fossili e verso la transizione pulita delle energie rinnovabili? Negli Stati Uniti pare di sì. “L’industria del petrolio e del gas lotterà duramente per avere altri 5 anni di trivellazione pericolosa al largo delle nostre coste. Se vogliamo fermare i peggiori impatti della distruzione climatica, sappiamo che non abbiamo altri 5 anni per mantenere gli investimenti nei combustibili sporchi” ha concluso Brune. In Italia invece aspettiamo il referendum del 17 aprile.
Alessandro Graziadei
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