La Mauritania ha abolito ufficialmente la schiavitù nel 1981 e ha promulgato delle leggi che la criminalizzano ulteriormente sia nel 2007 che nel 2015. Il risultato? Come avevamo ricordato la scorsa estate e secondo il Global Slavery Index, che calcola il numero di persone in stato di moderna schiavitù in 167 Paesi, in Mauritania il 4% della popolazione, circa 500.000 persone, vivono ancora “in catene”. Se poi questa situazione la denunci, allora in catene rischi di finirci pure tu, come è capitato a due attivisti anti-schiavitù mauritani Biram Dah Abeid e Brahim Ramdhane che sono ormai in carcere da più di 500 giorni. Arrestati per aver preso posizione contro la schiavitù, la loro liberazione è stata legata alla condizione di collaborare con i servizi di sicurezza e le autorità statali. Per i due attivisti dell'organizzazione anti-schiavitù Initiative pour la Résurgence du Mouvement Abolitioniste (IRA) “le condizioni poste sono inaccettabili, come lo il fatto stesso di porre delle condizioni alla loro liberazione”.
Biram Dah Abeid e Brahim Ramdhane sono stati arrestati l'11 novembre 2014 durante una manifestazione contro la schiavitù nella città di Rosso. Biram Dah Abeid in particolare è stato arrestato mentre tentava di mediare tra i manifestanti e le forze dell’ordine che impedivano ai manifestanti di entrare in città per consegnare al governatore locale una petizione contro la schiavitù. Biram Dah Abeid è ben conosciuto dalle autorità mauritane ed ha la “colpa” di essere un attivista mauritano per l'abolizione della schiavitù che nel 2008 ha fondato l'IRA "una organizzazione di lotta popolare" di cui è ancora il presidente. Per l’IRA “Gli attivisti sono stati accusati di appartenere ad un’organizzazione illegale e in un processo farsa sono stati condannati a due anni di reclusione. Vale la pena però ricordare che il mancato riconoscimento della nostra organizzazione, non è certo da imputare ad Biram Dah Abeid, che ha fatto domanda di riconoscimento dell’organizzazione non governativa anni fa, ma in caso alle istituzioni che trovano sempre nuovi pretesti per bloccarne l'iter burocratico”.
Per questo l’appello dell’associazione mauritana, lanciato anche sulla piattaforma Change.org con una raccolta firme, ha trovato una nuova eco la scorsa settimana anche grazie all’Associazione Popoli Minacciati (APM) che ha criticato duramente il comportamento delle autorità mauritane e ha chiesto “l’immediata liberazione degli attivisti”. Per l’associazione, infatti, “Nonostante la legge mauritana vieti la schiavitù, il governo sembra impegnarsi molto più nel mettere a tacere chi denuncia attivamente il perdurare di questa pratica indegna piuttosto che nel perseguire gli schiavisti”. Già in agosto l’APM aveva protestato contro il verdetto emesso dalla Corte d'Appello mauritana che aveva confermato la condanna a due anni di carcere per i due attivisti. “Ancora una volta i due attivisti hanno subito un processo arbitrario, svolto a porte chiuse, senza la partecipazione di osservatori e trasferito dalle autorità nella cittadina di Aleg per evitare proteste della popolazione di fronte alla Corte di Giustizia. Non c’è da stupirsi se per protesta i due attivisti hanno rifiutato di essere presenti al processo” aveva ricordato l’APM.
Per l’IRA il perdurare della schiavitù in Mauritania oltre ad essere intollerabile dal punto di vista dei diritti umani nuoce notevolmente all’immagine del Paese. Anche se lo scorso 12 agosto l’Assemblea nazionale della Mauritania ha approvato una nuova legge nella quale la schiavitù viene definita un "crimine contro l’umanità", ad oggi sembra essere rimasta lettera morta e “fintanto che le leggi contro la schiavitù non vengono applicate e anzi si processano e condannano le persone che si battono per la reale abolizione di questa terribile pratica, il governo risulta poco credibile e non fa altro che nuocere ulteriormente alla sua immagine internazionale”. Per l’APM il tempo sembra essersi fermato in Mauritania uno stato dove “Gli schiavisti godono troppo spesso di protezione e benevolenza a livello istituzionale. Polizia, autorità e giustizia spesso ostacolano attivamente l'abolizione effettiva della schiavitù e mentre gli schiavisti denunciati ottengono importanti sconti di pena, vengono invece criminalizzati gli attivisti che denunciano pubblicamente il perdurare di questa pratica disumana”.
Molti governi del mondo, le Nazioni Unite e numerose associazioni hanno chiesto un giro di vite reale sul tema e la liberazione immediata dei due attivisti che per ora collezionano solo premi. Nel 2015, infatti, quando i due attivisti mauritani già erano reclusi in carcere, il ministero degli esteri olandese ha conferito all'organizzazione anti-schiavitù IRA il proprio premio per i Diritti umani. Nel 2013 Biram Dah Abeid è stato insignito del Premio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite e nel 2011 del Premio per i diritti umani della città di Weimar. Ad oggi Biram Dah Abeid per la sua attuale condizione di prigioniero di coscienza denunciata anche da Amnesty International è stato soprannominato “il Mandela della Mauritania”, status che al pari dei premi, per ora, non ha contribuito a salvarlo dall’ingiusta galera.
Alessandro Graziadei
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