Sembra che qualcuno abbia preso troppo seriamente i rischi corsi da Mowgli nella giungla di Shere Khan o forse i rischi di Shere Khan nella giungla di Mowgli! Così nella celebre Riserva delle tigri di Kanha di Mandla e Balaghat, nel Madhya Pradesh indiano, dove Rudyard Kipling ambientò il celebre romanzo Il Libro della Giungla, ormai dal 2014 Survival Interantional denuncia una situazione paradossale: “migliaia di turisti scorrazzano per il parco su rumorose jeep per fotografare le tigri assediate, mentre le comunità Baiga, che per generazioni si sono prese cura dell’habitat di questi animali, vengono distrutte dagli sfratti forzati” ha commentato Stephen Corry il direttore generale di Survival. Per l’ong quanto sta accadendo a Kanha esemplifica bene il lato più preoccupante di una certa industria ambientalista e di alcuni miopi conservazionisti “che sembra non siano in grado di cogliere la tragica ironia di questa situazione. Se l’India non permetterà ai Baiga e ai Gond di tornare ai loro villaggi e non impedirà che altri abitanti siano cacciati via, queste comunità verranno completamente distrutte”.
Il risultato di questa situazione è che Khana è oggi pubblicizzata come l’ambientazione del famoso libro di Kipling e l'India incoraggia il turismo sostenendo che “non c’è altro posto al mondo in cui si possono vedere [le tigri] così spesso”, ma pochi visitatori sono consapevoli delle violenze e delle intimidazioni inflitte ai popoli indigeni nel nome della conservazione della tigre, proprio nella foresta in cui il “cucciolo d’uomo” di Kipling è cresciuto accanto agli indimenticabili Bagheera e Baloo. Così mentre in queste settimane esce nelle sale il remake del celebre film della Disney tratto da Il Libro della Giungla, molte famiglie delle comunità Baiga e Gond sfrattate hanno denunciano di aver ricevuto solo una parte del risarcimento promesso, mentre altre non hanno ricevuto neanche quello. “Ci hanno detto che avremmo avuto una nuova terra, ma non hanno fatto nulla. Alcuni hanno ricevuto del denaro, ma non la terra - ha detto un indigeno sfrattato dal villaggio di Jholar, a Kanha - Qui c’è solo sconforto. Abbiamo bisogno della giungla”.
Adesso le minacce di sfratto pendono anche sulla vicina riserva di Achanakmar nonostante la forte opposizione delle tribù, e su quella di Amrabad, solo per citarne alcune. Secondo il Dipartimento Foreste del Ministero dell’Ambiente delle Foreste e del Cambiamento climatico indiano, le tribù hanno accettato “il trasferimento volontario”, ma per Survival in realtà “sono state costrette ad accettare lo sfratto” con piccole ricompense, ricatti, minacce e violenze. Alcune tribù si sono trasferite in campi di reinsediamento governativi, mentre altre vengono semplicemente cacciate via e costrette a vivere in condizioni di povertà ai confini del loro territorio. “Prima, tutto era la giungla. Noi eravamo la giungla, la giungla ci dava tutto - ha raccontato a Survival un anziano Baiga - Eravamo felici. Eravamo forti e in forma. Ora è tutto recintato e non abbiamo più niente. Non siamo più forti. Non siamo più sani. È la nostra giungla. Dovremmo essere noi a proteggerla”.
Secondo Survival le grandi organizzazioni della conservazione sono colpevoli di supportare questa situazione perché “Non denunciano mai apertamente gli sfratti”. Per questo Corry si augura che il remake della Disney “aiuti a richiamare attenzione sulle sofferenze che i popoli indigeni di tutta l’India devono subire nel nome della conservazione della tigre”. Del resto “Il crollo della popolazione delle tigri registrato nel secolo scorso non ha avuto nulla a che fare con le tribù. Era dovuto alla rapida industrializzazione, e ai massacri operati dai cacciatori coloniali e dalle élite indiane. Eppure, in tutta l’India, le tribù ne stanno ancora pagando il prezzo: vengono cacciate dalla loro terra ancestrale per essere rimpiazzate da migliaia di turisti” ha concluso Corry.
Ma sarà poi vero che Mowgli e Shere Khan non possono convivere? In realtà molte tribù indiane venerano le tigri e vivono pacificamente al loro fianco da generazioni, tanto che si può tranquillamente dire che non esistono prove che gli sfratti proteggano gli animali. Al contrario è molto più probabile che li danneggino, perchè escludono la popolazione locale dagli sforzi per la conservazione. Come ha spesso ricordato Survival “I popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale. Dovrebbero essere in prima linea nella conservazione della tigre, e invece ne sono esclusi. Vi sono addirittura prove del fatto che nelle aree da cui le tribù non sono state mandate via, vivono più tigri”. Tra il 2010 e il 2014, per esempio, la popolazione delle tigri nella Riserva di BRT, nello stato di Karnataka, è quasi raddoppiata, passando da 35 a 68 esemplari. Qui, a differenza di quanto accade nel resto dell’India, gli indigeni Soliga hanno potuto continuare a vivere a fianco delle tigri, nel cuore della riserva facendo registrare un incremento dei felini decisamente superiore al tasso di crescita medio nazionale.
Per Survival prendersela con le tribù distoglie l’attenzione dai veri bracconieri, sempre più spesso bande di criminali che commerciano con i mercati internazionali. In quanto “occhi e orecchie della foresta, i popoli indigeni sono nella posizione migliore per prevenire, catturare e denunciare i bracconieri oltre che per tutelare l’ambiente naturale dove con poco vivono da sempre”. Perché alla fine, i popoli indigeni ci dimostrano che la convivenza tra uomini e animali nella giungla non è mai stata un problema. “Bastan poche briciole, lo stretto indispensabile…” lo cantava anche Baloo!
Alessandro Graziadei
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