Negli ultimi cinque anni l’economia della Grecia si è contratta del 25% portando la disoccupazione generale al 30%, quella giovanile al 50% e il reddito pro-capite verso un calo del 28%. Il nuovo rapporto annuale UNICEF La condizione dell'infanzia in Grecia 2016 - I bambini a rischio elaborato insieme ad un team scientifico guidato dall’Università Democritea di Tracia e presentato ad inizio mese ha confermato il drammatico peggioramento delle condizioni di vita dei greci ed in particolare dei bambini: “la povertà infantile è aumentata tra il 1995 e il 2015 del 6,3% cioè, in termini assoluti, 122.340 bambini in più si sono confrontati con il rischio di povertà”. Nel 2014 la povertà infantile era al 25,3% con un totale di 424.000 bambini che vivevano in povertà, un aumento di 3 punti percentuali rispetto al 2010 (22,3%). Il livello di deprivazione materiale, che per l'UNICEF nel 2015 nelle famiglie con bambini era al 26,8%, riflette abbastanza bene la debolezza economica nell’acquistare beni ritenuti opportuni o necessari per una vita soddisfacente, un indicatore che oggi in Grecia distingue le persone che non possono permettersi l’acquisto di un determinato bene o servizio da quelle che non vogliono o non ne hanno bisogno.
In questo contesto economico e sociale domenica 8 maggio il Governo di Syriza ha approvato in extremis e quasi senza alternative, un pacchetto di provvedimenti su pensioni e tasse, con l’obiettivo di rispettare le richieste che permetteranno di portare a casa le prossime tranche di aiuti dall’Europa, evitando un nuovo rischio default. La riforma è passata dopo due giorni di dibattito e con una maggioranza risicata: 153 voti favorevoli contro 144 contrari. Un pacchetto che vale 5 miliardi di euro, proprio come richiesto da Europa e FMI, che prevede un aumento delle tasse per circa 3.6 miliardi di euro con l’Iva che passa dal 23% al 24%. Una riforma che ha portato in piazza a protestare tra Atene e Salonicco circa 25mila persone, ma che Tsipras ha blindato con alcuni salvagenti: “Il 90% degli assegni previdenziali non sarà toccato” e “il peso della crisi è spostato su chi può permettersi di pagare un po’ di più” grazie all'innalzamento della “tassa di solidarietà” sui redditi più alti, ha affermato il premier greco.
Ma i salvagenti che fanno notizia non sono solo quelli di Tsipras, ma anche quelli Jai e Irene. Poco più di 50 anni in due, la laurea conseguita in Inghilterra e tanta voglia di fare che li ha portati a fondare Odyssea, una ong che dallo scorso ottobre ripulisce le spiagge di Lesbo dai giubbotti salvagente lasciati dietro di sé da migliaia di migranti in arrivo dal mare provando a dare a salvagenti e rifugiati una seconda vita. A Jai, greco ma che deve il suo nome alla madre indiana, l’idea viene servendo pasti ai rifugiati con un’associazione di volontariato. Allora improvvisava tende di fortuna con i gommoni spiaggiati. “Tutto è iniziato in maniera molto casuale, quando sono venuto a Lesbo - ha racconta Jai Mexis - cercavo una soluzione al problema ambientale conseguente all’immigrazione. Era però già qualcosa di più di un esperimento: volevo dimostrare che anche per noi giovani greci c‘è spazio. Che tornando in patria possiamo creare qualcosa anche dalla semplice spazzatura composta anche da giubbotti salvagente” una materia prima a costo zero, che certo a Lesbo non manca. Così è partito un laboratorio, in cui componenti e tessuti dei giubbotti salvagente vengono recuperati e ri-assemblati per farne borse, astucci, portafogli o materassini, di grande utilità e non solo per gli stessi migranti che li confezionano.
“All’inizio i rifugiati non parlano neanche - ha raccontato Irene Pfisidi, compagna di Jay e coordinatrice di Odyssea - Sono terrorizzati, perché non sanno cosa li attende. I giubbotti salvagente però li conoscono bene, perché li hanno indossati per venire dalla Turchia. In qualche modo si tratta per loro anche di un esperimento volto ad esorcizzare il trauma della traversata”. È quanto prova a fare Roheen: afghano, 22 anni, è uno dei pochi sopravvissuti al naufragio dell’imbarcazione con cui è arrivato dalla Grecia. Tra chi non ce l’ha fatta, anche sua madre. “Ogni volta che vedo questi giubbotti salvagente è un pugno nello stomaco. È talmente dura che fatico a trattenere le lacrime. Rivedo mia madre. E rivedo la guardia costiera che mi dice che è stata inghiottita nel mare, che non sono riusciti a trovarla. Ora però i salvagente sono un'opportunità!" ha spiegato.
Tra poche settimane alla vendita nei negozi si affiancherà anche quella in rete. Il vero obiettivo è però diventare una risorsa per l’isola. “Questo è solo l’inizio, - ha detto Apostolos Staikos di Odyssea - l’ambizione è creare una piccola azienda, qui a Lesbo, che converta questi giubbotti salvagente in borse e altri articoli commerciali. Se il progetto andasse in porto, la metà dei dipendenti sarebbero isolani e la metà rifugiati. Ma perché ciò possa accadere, a questi ultimi dovrà anzitutto essere accordato il permesso di lavoro”. Un fatto non scontato visto che l’accordo firmato il 18 marzo scorso tra Unione europea e Turchia sui migranti ha già visto i primi trasferimenti in Turchia di migranti e rifugiati, siriani compresi, entrati irregolarmente in Grecia e per ora non ha migliorato i rapporti tra il vecchio continente e Ankara e tanto meno la condizione dei migranti. In poche settimane, infatti, si sono moltiplicate le denunce da parte di organizzazioni umanitarie contro il trattamento delle autorità turche nei confronti dei profughi, con Human Rights Watch che il 10 maggio ha denunciato addirittura “guardie di frontiera turche che sparano sui richiedenti asilo siriani che cercano di raggiungere la Turchia”. Siamo sicuri che la soluzione migliore per i migranti e l'Europa sia rispedirli in Turchia? Perché l'accoglienza è questione di diritti, civiltà, ma anche calcolo economico.
Alessandro Graziadei
Nessun commento:
Posta un commento