Fort McMurray nell’Alberta, una provincia del Canada, è stato nelle scorse settimane al centro della cronaca a causa di un vasto incendio che ha interessato un’area di circa 500mila chilometri quadrati, costretto alla fuga 100.000 residenti, causato la morte di due persone e distrutto 1.600 strutture abitative ed industriali. Un danno all’ecosistema e alla biodiversità della provincia incalcolabile che ha incenerito boschi ed aree abitate che costeranno agli assicuratori fino a 9 miliardi di dollari canadesi, pari a quasi 7 miliardi di dollari Usa in una provincia già economicamente provata dal crollo del prezzo del petrolio. L’Alberta e la zona di Fort McMurray in particolare, infatti, è ricca giacimenti di sabbie bituminose, dalle quali è possibile estrarre, dopo costosi processi, un combustibile tutt’altro che pulito, ma fondamentale per la strategia energetica del Paese, soprattutto in passato, quando i prezzi del barile di petrolio erano alle stelle.
L’incendio, che per fortuna non ha toccato i giacimenti, ha indotto un’ulteriore ridimensionamento al comparto industriale petrolifero facendo calare ulteriormente la produzione del 40% in un settore che ha già perso 40mila posti di lavoro. Per questo il Governo canadese e quello locale stanno pensando ad un’alternativa capace di salvare la provincia dalla depressione economica e tornare ad offrire all’Alberta un modello di sviluppo più sostenibile coinvolgendo anche la società civile. La Canadian Geothermal Energy Association (CanGea) si è fatta avanti con una proposta concreta: “utilizzare i pozzi dismessi per facilitare stavolta l’estrazione di energia pulita, quella geotermica, permettendo al contempo di riassorbire almeno una parte dei lavoratori licenziati dalle imprese petrolifere”. Il report presentato dall’associazione interessa potenzialmente molte aree del nord Canada, ma l’Alberta conta qualcosa come 400.000 pozzi già perforati, 170mila dei quali già abbandonati. “Molti di questi - ha spiegato Alison Thompson, presidente della CanGea - potrebbero essere riconvertiti per la realizzazione di piccoli impianti geotermici. Questi pozzi sono stati dimensionati per estrarre petrolio o gas, piuttosto che per il geotermoelettrico, ma i fluidi geotermici affiorano a sufficienza per il micro-elettrico”, una produzione di energia elettrica da geotermia su piccola scala, ma dai buoni risultati.
Un’ipotesi quella della CanGea che non esclude interventi più innovativi, come quei progetti industriali incentrati sulla così detta “acqua supercritica” che si sta cercando anche in Italia attraverso il progetto europeo di ricerca Descramble finanziato dall’Unione europea con 6.753.635 euro di cofinanziamento sui 15.615.955 euro totali, e che potrebbe consentire all’Europa di sfruttare l’energia geotermica in modo più efficiente e in più territori di quanto sia possibile oggi. L’obiettivo è quello di aumentare l’uso di questa fonte di energia rinnovabile e ridurre la dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili. Al progetto lavorano oggi ricercatori italiani, tedeschi e giapponesi che, fino al maggio del 2018, testeranno le tecnologie sperimentali in un pozzo geotermico in Toscana, nella zona di Larderello in provincia di Pisa. Il pozzo è stato perforato per una profondità di 2,2 km e ora si tenterà di arrivare tra 3 e 3,5 km sotto la superficie terrestre per riuscire a dimostrare che gli impianti geotermici possono funzionare con acqua estratta a livelli di pressione e calore mai raggiunti prima.
Gli impianti di energia geotermica usano vapore o acqua calda prelevata da pozzi trivellati fino a circa 2 km nella superficie terrestre per far girare le turbine e generare elettricità. Un operazione non sempre facile, ma secondo il coordinatore scientifico di Descramble, Ruggero Bertani di Enel Green Power “Il pozzo di Larderello verrà realizzato mantenendo i più elevati standard di sicurezza. I precedenti tentativi di raggiungere tali profondità in altri impianti geotermici in Italia, Giappone e Islanda non erano riuscito a causa degli effetti delle temperatura e delle pressione estreme su fluidi, gas e attrezzature”. Qui in Toscana l’acqua, tra i 3 e i 3,5 km di profondità, raggiunge valori di pressione 218 volte superiori a quelli in superficie, ed è sottoposta a temperature pari a circa 374°C. In questi condizioni ambientali estreme, l’acqua raggiunge quello che è chiamato uno stato “supercritico”. Si tratta di una condizione fisica in cui si riscontrano allo stesso tempo alcune proprietà tipiche dello stato liquido ed altre tipiche dello stato gassoso. Una condizione capace di decuplicare il potenziale energetico.
Riuscire ad attingere a queste “sorgenti supercritiche” in Toscana consentirebbe di ampliare la resa del singolo pozzo di perforazione. L’obiettivo principale del progetto è proprio quello di sviluppare le tecnologie per trivellare ed estrarre l’acqua supercritica che “permetterebbe agli impianti geotermici di ridurre il numero di pozzi necessari per unità di produzione elettrica, con conseguente risparmio sui costi e rafforzando la competitività del settore” ha spiegato il team di Descramble. Attualmente in Toscana Enel Green Power gestisce il più antico complesso geotermico del mondo con 34 centrali e detiene il know how della geotermia che esporta in tutto il pianeta. Gli oltre 5 miliardi e mezzo di KWh prodotti in Toscana forniscono calore utile a riscaldare circa 9.000 utenti nonché 28,5 ettari di serre, caseifici e ad alimentare l’importante filiera agricola, gastronomica e turistica. Insomma anche in Italia c’è già un’alternativa più sostenibile alle trivelle petrolifere, eppure in Italia, per i più ed il Governo, occorre esaurire prima i giacimenti di petrolio entro le 13 miglia marine senza troppo badare alle lungimiranti alternative, ai rischi ambientali e al cambiamento climatico.
Alessandro Graziadei
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