Ho sempre trovato alquanto paradossale che in guerra esistano armi “proibite”. Eppure capisco come anche nel punto più basso dell’esperienza umana, la guerra, il cui obiettivo è annientare l’avversario ad ogni costo, qualcuno abbia provato a vietare attraverso il diritto internazionale la possibilità di infierire su un ospedale o di utilizzare ordigni che colpiscono principalmente i civili ed i bambini. Un tentativo forse disperato, forse utopico, ma l’unico possibile per mettere dei limiti a qualcosa che per definizione trova il suo limite solo nell’eliminazione fisica e psicologica dell’avversario. Ecco perché, pur all’interno del paradosso che è la guerra, il recente annuncio fatto della missione di ricerca effettuata da Amnesty International nelle province di Sa’da, Hajjab e Sana’a che “le forze della coalizione a guida saudita hanno fatto ripetutamente uso di bombe a grappolo, armi di per sé indiscriminate e proibite dal diritto internazionale” mi fa schifo.
Mentre negli scorsi mesi l’Italia e il suo ministro della difesa Roberta Pinotti hanno minimizzato le spedizioni dall’aeroporto di Cagliari Elmas di bombe aeree destinate all’aviazione saudita, sostenendo che sono di fabbricazione tedesca e non italiana e dal Belpaese transitavano e basta, Amnesty ha denunciato che a causa di altre bombe, questa volta a grappolo ed inesplose, gli abitanti del nord dello Yemen che stanno tornando a casa dopo i bombardamenti degli scorsi mesi rischiano fortemente di morire o di riportare gravi ferite. Di fatto si salta in aria anche dopo il “cessate il fuoco” del 10 aprile scorso e “C’è urgente bisogno di assistenza internazionale per sminare i terreni e i paesi in grado di esercitare influenza devono sollecitare le forze della coalizione a guida saudita a fermare l’uso delle bombe a grappolo, armi di per sé indiscriminate e proibite dal diritto internazionale” ha spiegato Amnesty.
L’organizzazione umanitaria ha intervistato 30 persone, tra cui sopravvissuti a bombe a grappolo e ad altri ordigni inesplosi, così come i loro familiari, testimoni oculari, esperti di sminamento, attivisti e soccorritori. Sono anche stati documentati nuovi casi in cui, tra luglio 2015 e aprile 2016, numerosi civili sono stati uccisi o feriti da bombe a grappolo. Tra le vittime, anche nove bambini due dei quali rimasti uccisi. “Anche con la fine delle ostilità in alcune aree delle Yemen - ha aggiunto Lama Fakih, senior crisis advisor di Amnesty International - la vita dei civili, compresi i bambini, e i loro mezzi di sussistenza continuano ad essere in pericolo. Al rientro in quelli che ormai sono dei veri e propri campi minati, non potranno vivere in condizioni di sicurezza fino a quando le zone intorno alle loro abitazioni e i campi non saranno ispezionati e ripuliti dalle bombe a grappolo e da altri ordigni inesplosi” di fabbricazione statunitense, britannica e brasiliana.
Di fatto dal 25 marzo 2015, quando è iniziata la campagna aerea della coalizione a guida saudita, Amnesty International si è detta preoccupata per il possibile uso di vari tipi di bombe a grappolo in Yemen. Un uso confermato da Human Rights Watch e adesso da questa missione di Amnesty che ha potuto certificare l’uso di bombe a grappolo britanniche BL-755, fabbricate negli anni Settanta dalla Hunting Engineering Ltd. Questo tipo di bomba a grappolo contiene 147 sub-munizioni in grado di penetrare per 25 centimetri in veicoli blindati e che rilasciano oltre 2.000 frammenti diventando armi anti-persona e soprattutto anti-bambini. Ma l’elevato numero di sub-munizioni usato dalla coalizione e l'alta percentuale di mancata esplosione non solo hanno ucciso e ferito bambini, “ma hanno anche danneggiato gravemente i mezzi di sussistenza e trasformato i terreni in campi minati, rendendo difficile il pascolo così come i raccolti di banane, mango e pomodori” ha sottolineato Fakih.
Riconoscendo il grave rischio che la presenza di ordigni inesplosi costituisce per la popolazione civile, in aprile il Centro d'azione sulle mine dello Yemen (Yemac, l'unica agenzia di sminamento presente nel paese) ha iniziato a rintracciare e far esplodere ordigni nelle province di Sa'da e Hajjah, nonostante la formazione inadeguata e lo scarso equipaggiamento a disposizione. Nelle prime tre settimane di lavoro nelle due province, lo Yemac ha eliminato almeno 418 sub-munizioni da bombe a grappolo, ma adesso anche lo Yemac ha dovuto interrompere drammaticamente le sue attività a seguito della morte di tre dei suoi operatori uccisi dai resti di una bomba a grappolo. “La coalizione ha usato vari tipi di bombe a grappolo - ha concluso Fakih - ma noi abbiamo dimestichezza solo con quattro di essi. Siamo rimasti sorpresi da queste nuove versioni. Sono più sensibili, è difficile farle esplodere, ma metterle da parte inesplose è pericoloso. Abbiamo bisogno di formatori provenienti dai paesi che quelle bombe le producono e di una migliore tecnologia per distruggerle”.
Adesso quindi tocca alle Nazioni Unite agire con urgenza per marcare e ripulire le aree in cui si trovano gli ordigni inesplosi e spiegare alle comunità di quei territori come, nel frattempo, evitare pericoli. Se non verrà fatto lo Yemen rimarrà una bomba ad orologeria per i civili, in primis per i bambini. Da anni, Amnesty International e altre organizzazioni chiedono a tutti gli stati di porre immediatamente fine all'uso, alla produzione, ai trasferimenti e allo stoccaggio di bombe a grappolo e di aderire alla Convenzione del 2008. Fino ad oggi inutilmente, visto che né l’Arabia Saudita né gli stati membri della coalizione a guida saudita hanno aderito alla Convenzione.
Alessandro Graziadei
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