Il pacifismo è stato spesso ridotto al “semplicistico” ed “idealista” rifiuto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie fra gli stati. Ridicolizzato, quando non strumentalizzato, il pacifismo, con il suo tentativo di risoluzione nonviolenta dei conflitti, è però un valore universale che dovrebbe essere così largamente condiviso da diventare uno dei valori fondanti di un’opinione pubblica democratica capace di rivendicare la pace come diritto umano. Come fare allora a valorizzare il pacifismo in un momento dove terrorismo, teppismo, allarmismo e guerre sembrano condizionare tanto l’agenda politica quanto l’opinione pubblica? Una delle soluzioni più logiche dovrebbe essere il disarmo, ma la riduzione delle spese militari per ora rimane intoccabile, visto che in questo settore, almeno in Italia, le spese continuano a crescere, immuni ai tagli e alle crisi.
Anche quest’anno il dibattito attorno al disarmo si è riacceso con la Festa della Repubblica del 2 giugno. Al di là della sua coerenza con lo spirito repubblicano guadagnato con il suffragio universale e non con le armi, ogni anno, nonostante un suo significativo ridimensionamento, la parata militare ci costa ancora due milioni di euro. Un’inezia se si pensa che ogni giorno la nostra Repubblica spende quasi 50 milioni di euro in spese militari, 48 nel 2016, di cui quasi 13 milioni per l’acquisto di nuovi armamenti. Tutte spese contabilizzate dal nuovo Documento programmatico pluriennale della Difesa (2016-2018) e che salgono a 17,7 miliardi se si considerano i 1,27 miliardi di finanziamenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze alle missioni militari e i 2,54 miliardi del Ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) per i programmi di riarmo. Finanziamenti, quelli del Mise, che anche quest’anno garantiscono alla Difesa una continuità di budget per l’acquisto di nuovi armamenti per un totale di 4,6 miliardi di euro.
L’altro dato significativo che emerge dal nuovo Documento programmatico è che la spesa per il personale, invece di diminuire come previsto dalla riforma Di Paola, nel 2016 aumenterà del 2,7 per cento rispetto allo scorso anno scorso, con 10 miliardi di euro messi a disposizione per pagare 90mila ufficiali e sottufficiali e 82mila soldati di truppa. Per non parlare della famigerata “pensione ausiliaria”, una regalia sopravvissuta alla guerra fredda ridotta, ma non abolita, che continua a costare oltre 400 milioni all’anno o i 200 preti-generali e preti- colonnelli che pesano ancora sulle casse dello Stato per 20 milioni l’anno tra stipendi e pensioni. A sorprendere anche l’aumento del 21,6 per cento delle spese per “funzioni esterne” della Difesa con i suoi 118 milioni contro i 97 del 2015, che comprendendo anche i voli militari di Stato dovrebbero fare i conti con il leasing dell’”Air Force Renzi”, il cui costo dovrebbe essere di circa 15 milioni di euro l’anno.
Eppure in questi ultimi anni la corsa alle armi, non solo italiana, non ha scongiurato la delinquenza e la guerra. Anzi. Se negli USA le armi causano 30 mila morti civili all'anno, in campo militare l’idea distruttiva in base alla quale “la guerra è inevitabile” e dunque dobbiamo essere pronti a farla tutte le volte che è necessario sembra nascondere una nuove forme di colonialismo piuttosto che offrire una soluzione convincente all’instabilità globale. Una considerazione che sta alla base dell’appello della Tavola della Pace e dalla Rete della Pace che lo scorso 10 giugno hanno inviato tutti i costruttori di pace ad opporsi a queste politiche irresponsabili e a rafforzare l’impegno per la pace anche partecipando domenica 9 ottobre 2016 alla Marcia PerugiAssisi della Pace e della Fraternità. “Facciamo in modo che la PerugiAssisi sia la marcia di coloro che si oppongono a questa realtà, che si indignano, la rifiutano e si impegnano quotidianamente a trasformarla costruendo pace, accoglienza, solidarietà, dialogo, nonviolenza e fraternità” hanno chiesto gli organizzatori che si oppongono non solo a questa continua corsa agli armamenti, ma ad “un modello di vita insostenibile che produce ingiustizie, crisi e guerre”.
Per le due realtà che da anni mobilitano una buona parte del pacifismo italiano, “ad aggravare la situazione si stanno facendo strada in Europa alcune idee e politiche pericolose che aumentano le paure, accentuano le divisioni, avvelenano i rapporti e allontanano le soluzioni”. Per la Tavola della Pace “Una prima idea pericolosa è quella di chi sostiene che possiamo fare a meno dell’Europa” perché anche se l’Europa che oggi conosciamo non ci piace, questo non vuol dire che dobbiamo buttarla via. Occorre piuttosto “rifare l’Europa realizzando l’originale progetto di pace, giustizia sociale e fratellanza”. Solo così sarà possibile contrastare un’altra idea pericolosa come quella che “dobbiamo impedire a chi cerca rifugio nel nostro continente di arrivare da noi”. Questa idea “ci sta avvelenando l’aria che respiriamo rendendoci ogni giorno più soli, più poveri e impauriti. È l’idea che corrode la nostra capacità di affrontare assieme le grandi e piccole sfide del nostro tempo proprio quando constatiamo che solidarietà e cooperazione sono le fondamenta della convivenza” ha spiegato la Rete della Pace.
Per gli organizzatori della PerugiaAssisi le istituzioni hanno il dovere di proteggere chi è in pericolo e assicurare il rispetto del diritto internazionale perché come più volte abbiamo provato a spiegare anche su Unimondo non è vero che “la solidarietà è un lusso che non ci possiamo più permettere!”. Fino a prova contraria ad oggi l’immigrazione non è un problema economico, ed anzi potrebbe essere una risorsa. Certo i tempi sono difficili, “La sfida della pace è immensa, ma non impossibile” e ritrovarsi in tanti tra Perugia ed Assisi il prossimo 9 ottobre potrebbe essere un modo per cominciare a ricostruire la pace ed il pacifismo italiano, come altre volte è successo nella storia di questa importante e pacifica marcia.
Alessandro Graziadei
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